LA MIA PARRUCCHIERA

Giorno di sciopero generale. Come accade in tutti i rari momenti in cui le incombenze lavorative non occupano tutti gli interstizi possibili della vita diurna, decido di fare quelle commissioni che diversamente non riesco mai a fare. Un giro in posta, uno dalla commercialista, uno dai creditori, e poi – tornando a casa per pranzo – l’illuminazione. Tagliarmi i capelli. Di norma, soffro del complesso di Sansone (non li taglio volentieri, e se lo faccio, lo faccio al massimo due volte l’anno). Oggi, però, mi girava così. E poi c’è Monica, la parrucchiera (degnamente accompagnata da Federica, la sciampista) che quando mi mette le mani nei capelli mi fa una specie di massaggio shiatsu che mi fa rovesciare gli occhi all’insù e gorgogliare di piacere. Da quando ho smesso di vivere con i miei, a 19 anni, non sono più andato dal barbiere. Il barbiere, quello vero, è affascinante. Quando ero piccolo io l’educazione sessuale avveniva quasi sempre sui calendarietti erotici profumati di proprietà del barbiere, che aveva sempre anche grande abbondanza di Oltretomba, Jacula, Sukia e Il Tromba nascosti tra le pieghe delle poltroncine in skai della sala d’aspetto. Oggi però il barbiere non mi fa più lo stesso effetto: purtroppo, o per fortuna, non ho più l’urgenza di scoprire a poco a poco il mistero del sesso, e così mi oriento verso la parrucchiera, che qui da noi viene amichevolmente chiamata "pennoira". Da quando vivo per conto mio, dicevo, ho sempre avuto una parrucchiera nel cortile. Soffrirei a cambiare casa e non avere una parrucchiera accanto all’ingresso. C’è stata prima Olga, e adesso c’è Monica. Da Monica non manca mai il gossip, che oggi era incentrato sul fidanzato possessivo di Federica, che la mena e le fa dei brutti lividi, ma lei lo difende perché ne è innamorata. Federica ha ventun anni, guarda Saranno Famosi e ha il viso pulito e un bel fisico. A parte i lividi. Comunque, adesso ho i capelli più corti, la barba più corta, e ho imparato dalle riviste di Monica il significato del termine Metrosexual. L’educazione sessuale non finisce mai.

IL DIALOGO INTERIORE

– Hhhhmmmmm….
Apri l’occhietto santo…
– Hhhhmmmmgggrrrrrrrr…
– E dai, alza il braccino… guarda l’ora…
– Hhhhmmmmpppffffff… seee seee… le… otto e mezza? Baaaaahhhhhh!!! Devo alzarmi vestirmi lavarmi!!!
– Su, dai, metti i piedi giù dal letto.
Frrrrrrrrreddo
– Certo che hai dei capelli da schifo…!
– Groan… se ho cinque minuti li lavo.
– Sì, beh, magari lavali, va’.
– Alla veloce però, che è tardi…
[…]
– Dai, dai che è tardissimo!
– Ma sì, ora finisco di legarmi le scarpe e che cazzo…!
– Sto ascensore, lo prende sempre prima qualcun altro…
– Adesso non facciamoci prendere dal panico, abbiamo un margine di ben quattro minuti!
– …E cerca di sistemarli meglio, i capelli, anzi tagliali… non vedi che vanno da tutte le parti?
– Umpf! Dio, ma che luce strana c’è, stamattina? Mah… Dove ho messo gli occhiali da sole…
– Presto, dai, attraversa… Ma facendo attenzione, porca puttana, non li vedi i pullman?
– Sì, ma se siamo in ritardo…. Guarda, il parchimetro laggiù segna sempre l’ora giusta…
– Le… aspetta che non ci tiro… le… sette e quarantacinque?!?!?!
Coooooosa?!?!?! Ma per forza la sveglia non ha suonato, suonerà tra mezz’ora!!!!
– Ehm… mi sono sbagliato…
– Ecco perché mi sento molle e stordito… ho dormito cinque ore!
– Eh, vabbè… Senti, sai che fai? Prendi il motorino e vai a lavorare lo stesso, poi alle quattro esci!
– Sì… alle quattro esco, e noi due facciamo i conti…! Vattene ora, e non farti più vedere!!!

L’IMPOSSIBILITA’ DI ESSERE NORMALI

C’è chi dice che non è il miglior Burton, perché non è "burtonesco". Eppure, secondo me, Big Fish è proprio il concentrato di tutto il mondo di Tim Burton da Frankenweenie in poi, con in più qualcosa di nuovo. Edward mani di forbice e Beetlejuice sono due capolavori assoluti di film "burtoneschi". Dopo quelli, il "burtonismo" poteva diventare maniera o autocitazione ironica. Ed Wood, fino adesso a mio avviso il suo film migliore, è un vero film di Tim Burton, senza essere per forza assolutamente burtonesco. Come Big Fish. La grossa novità che i detrattori del film non perdonano al regista è l’iniezione di realtà (o meglio di realismo) nell’atmosfera burtoniana. Invece secondo me è proprio il contrario. La fantasia, di cui Burton si nutre, non è più fine a sé stessa. In Big Fish la fantasia corrode la realtà, la investe e la divora, malinconicamente o allegramente o in entrambi i modi, come è tipico del regista. La storia dell’uomo bigger than life che fa della sua vita una continua narrazione, trasponendo (o facendo trasporre) anche la sua morte su un piano di realtà differente è significativamente il massimo cui Burton poteva giungere – volendo prendere per filosofia il suo approccio alla vita e al fare cinema. In Big Fish c’è il paese di Edward mani di forbice e c’è il castello dell’inventore, c’è il genio ostinato di Ed Wood e c’è il Pinguino di Batman il ritorno. C’è il circo, il freak, la mostruosità e il portento come normalità. C’è la lacrima facile, se vogliamo – o forse sono io che mi lascio influenzare dalla mia storia personale. Ma credo che al di là di questo chiunque senta la tensione tra il piano della realtà e quello della fantasia non possa fare a meno di sentirsi toccato. Menzione speciale a Billy Crudup (il figlio) per essere riuscito bene nel ruolo più difficile: quello dell’unico personaggio dimesso in un mondo di totale stravaganza. Dev’essere una bella fatica fare il normale in un film di Tim Burton…!