KINDS OF KINDNESS TI CAMBIA

Ho visto Kinds of Kindness di Yorgos Lanthimos in sala, per caso, prima che lo togliessero dalla programmazione. Ne sono lieto perché amo molto Lanthimos e la sua visione del mondo, e sono anche lieto di essere arrivato impreparato: non avevo credo nemmeno visto il trailer (non che il trailer riveli chissà che, peraltro).

Ero solo molto incuriosito dal fatto che dopo il successo planetario di Poor Things, Lanthimos, Emma Stone e Willem Dafoe avessero deciso zitti zitti di fare un altro film a stretto giro, promuovendolo pochissimo e mantenendo il riserbo più assoluto.

Poi ho capito: Poor Things era il modo in cui Lanthimos “ha fatto i soldi” per poter fare immediatamente un film “dei suoi”. Kinds of Kindness ha molto più a che fare con Dogtooth e Il sacrificio del cervo sacro che con La favorita o Poor Things

Torna lo sceneggiatore Efthymis Filippou e costruisce con Lanthimos tre mediometraggi di circa un’ora l’uno che vanno a costituire Kinds of Kindness. In tutti e tre i film ci sono gli stessi attori (Emma Stone, Jesse Plemons, Willem Dafoe, Margaret Qualley, Joe Alwyn, Hong Chau e Mamoudou Athie) in ruoli sempre diversi. In tutti e tre i film c’è Yorgos Stefanakos nel ruolo di R.M.F., un personaggio che ricorre nei titoli dei tre episodi, The death of R.M.F., R.M.F. is flying e R.M.F. eats a sandwich.

Ognuno degli episodi racconta una storia di potere e dominio di una persona su un’altra all’interno di relazioni tossiche e bizzarre regole e convenzioni portate alle estreme conseguenze, con il solito umorismo deadpan e il solito cinismo esasperato che guarda agli umani con il piglio di un entomologo (in più Lanthimos si comporta con i suoi personaggi un po’ come il bambino con la lente di ingrandimento che brucia le formiche che sta osservando).

Alcune cose non mi hanno convinto moltissimo: il terzo episodio è un po’ più debole – anche se c’è una sottotrama veramente diabolica dedicata a Joe Alwyn – il secondo episodio gioca un po’ troppo con la dicotomia sogno indotto dagli psicofarmaci / realtà. Ma in generale me lo sono goduto molto (oddio, “goduto” non è il termine giusto per un film di Lanthimos, ma ci siamo capiti). 

Volutamente non mi dilungo sulla trama perché è meglio che rimanga una sorpresa. Ci sono comunque dei momenti altissimi, come quando Plemons, disperato con gli amici per la perdita della moglie propone di vedere tutti insieme “quel video”, e poi si scopre che è il video di un’orgia che i quattro hanno fatto scambiandosi i partner, o l’ordalia alla quale Hong Chau e Willem Dafoe sottopongono i membri della loro setta psicosessuale per “decontaminarli”.

Comunque, si esce dal cinema cambiati, e questo è qualcosa.

BUFFY+LYNCH=I SAW THE TV GLOW

Un oggetto stranissimo, I Saw The TV Glow di Jane Schoenbrun. Lo guardo perché è un film A24, e io tendenzialmente devo vedere tutti i film A24. Lo guardo e mi prende, perché ha quell’andamento ipnotico lynchiano bizzarro che ben si sposa con i miei gusti.

Dopo un po’ mi rendo conto che è un film che mescola le atmosfere lynchiane con una secchiata di riferimenti alla serialità televisiva anni ’90 e in particolare a Buffy The Vampire Slayer (c’è persino un cameo di Amber Benson e la serie tv nel film usa lo stesso font di Buffy).

Alla fine mi rendo conto che in realtà è tutto una grande metafora della condizione transgender e che avrei dovuto capirlo fin dall’inizio quando Owen, il protagonista bambino, cammina trasognato sotto una enorme bandiera transgender, appunto.

Comunque: è la storia di Owen (Justice Smith, ma da piccolo è interpretato da Ian Foreman), giovane un po’ problematico, che incontra una ragazza con qualche anno in più, Maddy (Brigette Lundy-Payne, vista in Atypical). I due legano sulla base dell’apprezzamento per una serie TV a carattere parapsicologico intitolata The Pink Opaque, in cui due amiche, Tara e Isabel, combattono contro i mostri inviati da Mr. Melancholy (una “faccia sulla luna che è a metà tra Méliès e un video degli Smashing Pumpkins). 

A un certo punto Maddy, che di suo è un po’ intensa, scappa di casa. Dopo qualche anno torna, intercetta Owen cresciuto e comincia ad insinuare che forse The Pink Opaque non era proprio solo uno show ma che (sempre forse) Owen in realtà è Tara e lei è Isabel (o il contrario, a un certo punto mi sono confuso). Dichiara di aver vissuto “nello show” da quando è scappata.

Insomma, si comincia a pensare che forse la vita vera è un inganno e che Owen e Maddy siano in realtà veramente Tara e Isabel sepolte vive dal perfido Mr. Melancholy. Tutto questo porta a un finale estremamente bizzarro e volendo anche un po’ cronenberghiano che non vi svelerò ma che ha senso se pensiamo che è tutta una metafora della disforia di genere.

In linea di massima vedere questo film è un po’ come mangiarsi i funghetti, quindi come si usa dire “non è per tutti”, però oh, a me è piaciuto.

LA SAGA DI FURIOSA

Cosa può dire di Furiosa: A Mad Max Saga uno che ritiene Mad Max: Fury Road il film del decennio 2010-2019? Si tratta di un altro capolavoro di narrazione per immagini? Forse no. Si tratta di un film comunque interessante e godibile? Certamente sì. Rispetto al predecessore, al quale è legato a doppio filo in quanto “prequel spin off”, è una spanna sotto, ma è comunque un film di George Miller, per cui insomma, non fatemi dire.

Furiosa dura quasi tre ore e ci racconta la storia di Imperator Furiosa (prima che diventi imperator), il personaggio che in Fury Road era di Charlize Theron, che aiutava a fuggire nell’outback l’harem di mogli bambine di Immortan Joe. 

E il primo difetto di Furiosa (il film) è proprio che Furiosa (il personaggio) non è ovviamente interpretato da Charlize Theron, ma per tutta la prima ora di film da Alyla Brown e per le due ore seguenti da Anya Taylor-Joy, che a me piace assai ma che in confronto a Charlize mi pare, non so, poco credibile.

Comunque la storia è bella, si approfondisce questo personaggio che viene dalla tribù matriarcale delle Vuvalini, rapita dagli scagnozzi di Dementus (un originale Chris Hemsworth) che le ammazzano la madre e infine la vendono a Immortan Joe come sposa bambina

Ma Furiosa cresce, fugge, si spaccia per maschio, diventa pilota di blindocisterna, incontra un mentore in Pretorian Jack, finisce in mezzo a una guerra tra Dementus e Immortan Joe, alla fine perde un braccio (no spoiler, lo sappiamo da quasi dieci anni che ha un braccio prostetico) ma riesce a catturare Dementus e a vendicarsi, diventando Imperator per Immortan Joe.

Detto ciò, la questione è che ci sono i grandi spazi, le grandi scene di azione, c’è l’estetica milleriana e c’è il montaggio superlativo, senonché… forse c’è qualche dialogo di troppo, non so. Mi ha convinto meno. Avercene comunque, di film così almeno una volta ogni 10 anni.