INSHA’ALLAH ÇA VA

Kenitra è famosa in tutto il Marocco principalmente per due cose: le puttane e l’alcool. Mio cognato ci lavora, e ci vive anche. Lui non concepisce il Marocco come meta turistica, giustamente, ma solo come una sterminata terra promessa, una frontiera dell’anima nell’ambito della quale è possibile – anzi è dovuto – costruire una vita nuova, libera dalle pastoie culturali e sociali della terra d’origine. Ha un rapporto di odio/ amore nei confronti dei marocchini. Non sopporta i procacciatori d’affari, ma stima indefinitamente i professionisti con cui ha a che fare. Insulta chiunque gli capiti a tiro mentre è in macchina, ma si ferma volentieri a parlare con tutti i negozianti della zona. Si irrita per alcune tradizioni apparentemente incomprensibili, ma infine si impegna sentimentalmente con una ragazza del posto.

A Kenitra, come a Rabat, Tanger e Asilah (i territori battuti in questa ultima scappata in Marocco) le parole chiave sono “Insha’Allah” (se dio vuole), “Ouaha” (d’accordo), “Coulchi lebès?” (tutto bene?) e “La la la la la…” (no, ripetuto indefinitamente, finché gli scocciatori non si allontanano). Stare in Marocco con mio cognato significa mediare tra la tendenza nostra a vedere il più possibile medine, kasbah, bei palazzi e giardini (che costituiranno pure un Marocco da cartolina ma sono estremamente affascinanti) e la tendenza sua a farci vedere zone industriali, siti in cui stanno costruendo villaggi che saranno agibili tra 10 anni, ma anche a farci interagire direttamente con le persone comuni (barbieri, cassiere dei supermercati, etc).

In Marocco si vive esattamente come qua. Anche lì c’è un re, anche lì ci sono innumerevoli scandali più che altro finanziari che coinvolgono il governo, anche lì c’è un notevole divario tra i pochi ricchissimi e una massa senza troppo potere d’acquisto, anche lì la corruzione è eletta a sistema generale di gestione degli affari, anche lì ci sono gli ipermercati e i favolosi centri commerciali, anche lì alle ultime elezioni ha stravinto un partito di talebani. Con l’unica differenza che lì la gente sorride di più, non si capisce bene il motivo.

Mio cognato vive in una palazzina che mi ricorda molto quella dove viveva mia nonna, a Formia. L’appartamento è luminoso, gradevole, parzialmente da arredare. Perché anche in Marocco, come da noi, non è facile strappare un buon contratto di lavoro. Comunque ci si prova, come dicevo. Si prende tutto quello che viene. Noi siamo felici di sapere che non è (più) solo. La sua fidanzata ufficiale è solare, graziosa, comunicativa. Lo aiuta in casa e quando possibile anche sul lavoro. Siamo soprattutto felici che la nostra famiglia, anche nella cerchia più stretta, diventi multiculturale. Pur con tutte le difficoltà del caso (non credo sia facile essere guardata male dai connazionali islamici, quando stai con un europeo).

Insomma, noi – se possibile – confermiamo questa tendenza a spostarci in Marocco almeno una volta l’anno. La vita che mio cognato si sta costruendo a fatica sta dando qualche buon risultato. Niente puttane e niente alcool per lui.
E poi se hai uno stipendio in euro la vita costa decisamente poco.
A patto, ovviamente, di mangiare solo kefta, couscous e tagine.

Una risposta a “INSHA’ALLAH ÇA VA”

I commenti sono chiusi.