ABBASSO ERAGON, ARIDATECE LABYRINTH

E’ ben nota la mia passione per il cinema fantasy, che al giorno d’oggi – si dice – va per la maggiore dato che non è più così costoso come una volta grazie alla potenza degli effetti digitali. Vero. Però ieri sera ho visto Eragon, e devo dire che tornerei mille volte ai miei amati Labyrinth, Legend, Willow, Princess Bride, Ladyhawke, Dark Crystal. Insomma, tutto quello che volete, ma in generale questo Eragon non compete nemmeno con i classici anni ’80. E parliamo di circa venti (20) anni fa! Stranamente non ho mai letto i libri di Christopher Paolini, forse per via della copertina che non mi ispirava, o perché pensavo che uno con quel nome non potesse scrivere fantasy di buon livello. Però mi assicurano che (come spesso accade) il libro è di gran lunga migliore del film. Ma io ho visto solo il film e posso dire che è di medio livello, si fa guardare, che per una volta hanno scelto un attore che non ha l’aria idiota di un Daniel Radcliffe o di un Elijah Wood, che Jeremy Irons è sempre lui, che Robert Carlyle è una scelta ottima e sorprendente. Però la storia è raffazzonata peggio che nei succitati film anni ’80, la sceneggiatura è approssimativa e il drago Saphira ha la voce di Ilaria D’Amico! Di Ilaria D’Amico, capite? Cioè, al confronto la voce italiana del Leone di Narnia è un capolavoro del doppiaggio! Uno cerca di impegnarsi con la massima disposizione d’animo a guardare un film di draghi blu che volano e me lo fai doppiare da una che fa il verso (male) a quelle doppiatrici di cartoni animati anni ’80 tutte ooh e aah? Non esiste. Tant’è vero che c’è già la crociata dei fan italiani su YouTube per dimostrare che qualunque essere di sesso femminile in Italia saprebbe doppiare Saphira meglio della D’Amico. Roba da far restare insonne per il resto della sua vita Rachel Weisz, che è la voce originale (e pare molto azzeccata) del drago… Voci rubate all’agricoltura… Mah!

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VIOLENZA GRAFICA E PARTI IN PRIMO PIANO

Nel giro di pochi giorni mi è capitato di vedere due film che mi ero perso nei mesi scorsi. Film che andavano sicuramente visti sul grande schermo ma tant’è… Mi accontento di 26”. Soprattutto, film che non avrei mai creduto potessero piacermi: sto diventando così altro da me stesso da non conoscermi nemmeno più? Prendiamo Apocalypto. Ci va veramente una fortissima sospensione dell’incredulità per essere disposti a vedere un film così. Poi c’è tutto il contorno esasperante della violenza, della censura e relativo immondo battage pubblicitario. In più, l’irritazione per gli exploit horror cristologici di un paio di anni fa. Però il film azteco incuriosisce, e alla fine ti prende. Perché Gibson è riuscito a fare del vero cinema, pura essenza visiva, pura azione. Apocalypto è un film che si potrebbe descrivere con un grafico: la storyline può essere disegnata su un pezzo di carta. Arrivare al grado zero della narrazione non è facile, ma spesso paga, e Gibson ci è riuscito. Mi ricorda quei film di avventura potenti che si facevano una volta e ora non si fanno più (action e fantasy pagano di più). Mi ricorda John Milius: ecco, l’ho detto. E poi c’è Children of Men. Quel folletto geniale di Cuaròn… Prima confeziona il miglior pottermovie a tutt’oggi, e poi se ne esce con questo progetto che sulla carta aveva tutti i numeri per risultare banale e tedioso (antieroe in un futuro distopico dove tutti sono sterili deve salvare l’unica donna incinta da complotti governativi ed eversivi). Anche qui, però, la forza di Cuaròn sta nel rendere il tutto puro cinema, con piani sequenza complessi e lunghi, orchestrati in modo da inchiodare gli occhi dello spettatore allo schermo. Un film sul futuro non futuribile ma fin troppo attuale (sembra un reportage di guerra più che un film di fantascienza). Ottimi attori ed effetti speciali grandiosi proprio perché invisibili (in sintesi qui hanno proprio inventato un nuovo tipo di videocamera). Caso vuole che entrambi i film contengano scene di parto molto crude ed esplicite, ma anche al limite dell’assurdo e del credibile: ne consiglio la visione alle lettrici neomamme, puerpere e gestanti (lo so che ci siete e siete tante)… Intendiamoci, entrambi i film sono parecchio violenti anche se a mio avviso non gratuiti né compiaciuti. Però sono un pugno nello stomaco. D’altra parte, citando Rob Zombie, la violenza nei media non va censurata o edulcorata, ma resa il più possibile esplicita ed efferata, per sottolineare la sua natura disgustosa. Voi che ne pensate?

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LITTLE MISS SUNSHINE, PICCOLE ILLUMINAZIONI

Ci sono quei periodi in cui veramente non ce la fai più. Periodi di sfiga in cui te ne succedono di tutti i colori: anche piccole cose, ma estremamente fastidiose. Sono i periodi in cui magicamente anche i problemi sul lavoro si moltiplicano, le scadenze puntano tutte su un determinato giorno e per di più sei costretto a passare le giornate in interminabili ed inutili riunioni. La congiunzione astrale fa sì che anche la genitrice sia preda di un tornado di ossessioni, disperazioni, depressioni e sensi di colpa di ogni razza e genere. In questi casi cosa fai? Non riesci nemmeno ad alzare la testa, non puoi. L’unica cosa da fare è sorridere e pensare che la vita è così, un tornado che ti sbatacchia da una parte e dall’altra senza alcuna speranza, ma tu la ami perché è vita, e perché ogni tanto il tornado ti porta anche un fiore. Questo è il senso di Little Miss Sunshine, il film che ho appena visto per aiutarmi a sorridere alla vita. Incuriosito anche dai due Oscar, che però (consentitemi) sono i classici Oscar lavacoscienza del tipo “dai, diamo il premio all’outsider che nessuno si aspetta”, un po’ come un premio della critica a Silvestri. Comunque sia, tipica commedia acida e geniale un po’ stile Me, You and Everyone We Know (meno acida) o Sideways (più acida) o Election (più o meno acida uguale). Con una famiglia messa quasi peggio della mia quanto a disfunzionalità: nonno eroinomane e satiro, papà fastidiosamente e fintamente all-american, mamma disperatamente white trash, zio gay studioso di Proust con tendenze suicide, figlio nietszchiano e muto per scelta e figlioletta ancora non (troppo) contaminata dalla follia e dalla vita. Nella struttura del road movie tutti soffrono e tutti gioiscono, qualcuno muore, qualcuno ritrova sé stesso e la bambina riesce a partecipare con un numero (veramente a sorpresa, vale tutto il film) all’orribile concorso “Little Miss Sunshine” e a infilare una scheggia di follia nel cuore marcio della società dello spettacolo. Penso che lo rivedrò anche domani, per evitare Sanremo. Tanto c’è Suz che lo guarda, e mi bastano i suoi reportage… 😛

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