L’ANELLO MEDIO DEL VULCANIANO

Ci sono momenti nella vita di un uomo in cui la sua donna comincia a sospirare dietro ad un altro. Ci sono momenti (e sono anche peggiori) in cui la propria donna sospira dietro al calibro degli anelli che un altro regala alla sua partner. Quand’è così, un uomo deve fare fronte comune e difendere l’orgoglio sessuale. Ci sono amici che li senti poco, ma restano sempre amici. Persone simpatiche, con cui c’è affinità. Persone che a volte sono anche molto diverse da te. Tu apprezzi la diversità e godi della loro compagnia. Io per esempio sono un casinista, adoro mettere in imbarazzo le persone, rido spesso e sono un po’ minchione. Stefano no. Lui è vulcaniano. Nel senso che se io fossi il capitano Kirk (o, per trovare una similitudine migliore, il macchinista Scott) lui sarebbe il signor Spock, dal pianeta Vulcano. Non ha le orecchie a punta ma ha lo stesso sopracciglio inarcabile, il mezzo sorriso e la parola pesata. Non che non abbia emozioni, ci mancherebbe, è innamoratissimo della sua fidanzata, gli piace ridere e chiacchierare. Ma è un tipo estremamente riservato. Capita di uscire in gruppo e di burlarsi bonariamente del fatto che lui e la sua fidanzata non siano ancora sposati. Lui resta impassibile. E la sera dopo come se niente fosse tira fuori tutti i suoi carati e fa una proposta di matrimonio in piena regola, di quelle che ormai si vedono solo nei film! Non esiste. Il partito dei maschi accalappiati (nel senso che sono state le nostre partner a fare a noi la proposta, e non il contrario) insorge. Come dice Leaud, Stefano è come i cinesi: arriva sul mercato, lo invade con un romanticismo zuccheroso e ci butta sul lastrico. Emotivamente parlando, s’intende! E tutte le mogli a bisbigliare quanto è figo Stefano, quanto è romantico Stefano, lui sì che ci sa fare… Non ci sono cazzi: deve partire il manifesto del maschio medio! Non permettiamo ai vulcaniani di far crollare il nostro mondo affettivo! Uffa!

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LE STRADE SI SEPARANO

Oggi le strade dei due protagonisti di CasaIzzo si sono separate per qualche ora. Il sottoscritto andava a fare una lezione di guida di due ore, per prendere confidenza con il mezzo. La dolce metà decideva dopo 7 anni di smistare qualche tonnellata di roba dal suo armadio, per evitare di dover acquistare un’estensione di guardaroba. Io inforco la moto alle 11 e ne scendo alle 13 (ora in cui, come raccontiamo sul blog BP, c’è l’appuntamento per le riprese finali del corto). Voi naturalmente saprete cosa vuol dire stare in moto senza scendere mai per due ore filate a gennaio. Io ovviamente non lo sapevo. Usando lo scooter per non più di 20 minuti al giorno (divisi in due comode tranche da 10) non sento il vero gelo. Oggi, smanettando in prima, seconda, terza e anche in quarta per le vie dietro la Gran Madre (luogo noto ai torinesi per essere molto tranquillo e pittoresco ma anche pieno di sensi unici e tranelli per patentandi) mi sono letteralmente ghiacciato le palle. Andrea, l’istruttore, lui no. Lui ha i pantaloni da biker e due sottocaschi due, uno sull’altro. Io arrivo bello come il sole col mio casco jet e i pantaloni di tutti i giorni. Grave errore. Ad ogni stop tento di sgranchire la gamba del cambio che sembra paralizzata in un angolo di 90°. Dopo un’ora e mezza di guida comincio a perdere colpi e a far bloccare la moto ad ogni partenza. Ma adesso so di più. Ad esempio so che per uscire da una rotonda devi mettere una freccia. O che per svoltare a sinistra da una strada a senso unico bisogna prima buttarsi a sinistra e svoltare buttandosi subito a destra. Andrea vuole fissare l’esame di guida al più presto, fiducioso nelle mie capacità. Ancora non sa che ho molta difficoltà a distinguere la destra dalla sinistra, se non posso seguire un’altra persona davanti a me. Tornato a casa, trovo la moglie alle prese con l’armadio. Non si è limitata a un po’ di ordine: ha sventrato completamente Askedal, il mitico guardaroba blu dell’Ikea. Il letto è nascosto sotto una montagna di vestiti, borse, maglioni, maglie, pantaloni, sciarpe e quant’altro. A malapena resto sveglio per distinguere i vari gruppi in cui sta suddividendo i vestiti: le scatole della roba estiva che verranno riposte in cima all’armadio; le scatole di roba che si può dar via; le borsate di roba che è talmente malridotta che si può solo buttare; le scatole di roba che non va più ma che spiace dar via perché c’è il legame affettivo; le scatole di roba che va ancora ma che per un motivo o per l’altro non è al top delle preferenze di stagione. Infine, last but not least, la roba che ha il suo posto d’onore nella parte centrale dell’armadio: maglie, camicie, pantaloni e maglioni di taglia giusta, che piacciono e vengono comunemente indossati in questi mesi. Osservo l’armadio: a me sembra praticamente di nuovo pieno. Osservo la roba ammucchiata fuori dalla stanza. Un paradosso senza risposta. Come diamine avrà fatto, per sette lunghi anni, a tenere tutta quella roba nella sua parte dell’armadio? Non lo saprò mai. Ho guardato mia moglie, questo curioso essere che proviene dall’altra metà dell’universo, e ho provato un senso di orgoglio. Bisogna essere dei geni, per gestire così un guardaroba.

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1982 – ROSSI, TARDELLI, ALTOBELLI

1982. Rossi, Tardelli, Altobelli. Un luglio soffocante, come sempre a Torino. L’asfalto ti rimanda indietro con gli interessi il calore del sole. Maglietta e jeans appiccicati alla pelle, nel tentativo di arrampicarsi sul tetto del garage di via Nigra. Da lì, con pochi salti ben calibrati, ci si può muovere sospesi a sei metri da terra per tutto l’isolato. G. non ce la fa a saltare. La mamma gli prepara troppa pasta al forno. Nessuno resta indietro con lui, il bottino è troppo appetitoso. Sui tetti ci trovi di tutto, roba caduta dai balconi dei palazzi circostanti. Big Jim senza un braccio, palline che rimbalzano, pugni di robot sparati nella direzione sbagliata, Super Tele ancora buoni da gonfiare, bambole decapitate, sigarette quasi intere da fumare, qualche topo morto. Tutta roba eccitante. Roba da collezionare. Poi un riquadro d’ombra, un ghiacciolo all’anice con i tesori nascosti nelle tasche. La luce cambia colore. Si rientra. Rossi, Tardelli, Altobelli. L’intero quartiere esplode.

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