RESTA LA MAGLIA DEGLI AFRICA UNITE

Sono mesi che volevo farlo. Eppure rimandavo. Il mio armadio, i miei cassetti, straripano di indumenti risalenti a 10 anni e 20 chili fa. Dalla giacca spruzzata di candeggina alla maglia dei Sonic Youth, dalle improbabili t-shirt stile "Italians do it better" alle camiciole semitrasparenti stile indiano. Dal maglione stile "Mark Darcy al party di Natale di Geoffrey e Una" all’ultimo calzino bucato di spugna bianca (mai più messi, ma testimoniano la gloriosa epoca del calzino bianco). Dalle striminzite giacche a vento primaverili agli spolverini neri usati in un’unica occasione (travestimento da Corvo, miglior maschera di Halloween nel 1994). Fino ad arrivare al fedele e stracciato giacchetto di jeans e al maglione nero sformato (risalenti circa a 18-20 anni fa). Il valore sentimentale ha lasciato vivere qualche maglietta di quelle "da mettere in casa quando fai i lavori". Nulla di più. Del resto, si tratta di cose che non guardo mai, non metto mai (ci mancherebbe – non ci sto dentro). Eppure fanno una certa impressione quei quattro o cinque borsoni accumulati vicino alla porta d’ingresso, pronti per finire nel limbo dei cassonetti degli indumenti usati. Si potrebbe definire questo repulisti come un voltare pagina. Eppure non è così. Purtroppo, o per fortuna, a casa mia si volta pagina ogni giorno. Svuotare armadi e cassetti è stato un ottimo diversivo, ma in fondo simile a quando stai leggendo un romanzo lunghissimo e torni per curiosità al capitolo iniziale. La coloratissima maglia degli Africa Unite (A.D. 1991), però, resta. Appiattita in fondo ad un cassetto. Come una piega fatta sull’angolo della pagina, per non dimenticare.