LA LENTA AGONIA DEI GENERI ITALIANI

Ma perché in Italia non ci sono più i film di genere? O meglio, perché quando ci sono vengono prontamente insabbiati e/o omologati al linguaggio paratelevisivo? Voglio dire, di grandi autori ne abbiamo avuti e ancora ne abbiamo, anche se si contano sulla punta delle dita. Eppure, mentre altre nazioni hanno un cinema popolare vitale, noi continuamo con i drammoni storici da camera o con i rimasugli putrescenti della commedia all’italiana. Sprazzi di cinema civile (l’unico "genere" che ci riesce ancora mediamente bene) e qualche farsa surreale. Niente più horror, niente più poliziesco, fantasy, fantascienza, western… Dove sono oggi i nuovi Umberto Lenzi, Sergio Corbucci, Lucio Fulci, Mario Bava (per citarne giusto quattro tra i più noti)? Il problema è la televisione che fagocita tutto, il prime time che costringe all’autocensura preventiva tutti gli autori? O il problema è la mancanza di storie e di scrittori popolari? Abbiamo visto che gli scrittori ci sono: Io non ho paura è un ottimo esempio di film di genere. Ma quando un Infascelli risulta più o meno normalizzato (Il siero delle vanità), e autori emergenti come Gianluca Sodaro o Nicola Rondolino restano in cartellone per soli tre giorni con i loro western (Cuore scatenato) e noir (3.6), io mi domando che cosa in effetti stia soffocando la rinascita del cinema italiano di genere. Voi avete una risposta?

ABBORDAGGIO TRA CINEFILI

Al Salone del Libro si fanno strani incontri… Ho già detto della mia esperienza dietro le quinte. Nel giro di corridoi di ieri sera, però, ho incontrato un tipo che sembrava uscito direttamente dal Festival ex-Cinemagiovani attualmente TFF. Nel senso che di solito i veri cinefili li trovi in quella sede, quelli che attaccano bottone con il vicino di poltrona perché tanto sanno benissimo che al Festival non si può che essere tutti cinefili. Quello di ieri sera si aggirava come una pantera in gabbia nello stand di un editore di video e DVD (quello vicino al Caffé Letterario, tanto per dare un riferimento). Appena ho preso in mano l’edizione speciale in cofanetto a tiratura limitata de I sette samurai di Kurosawa per ammirarla, mi ha riconosciuto, ed è piombato su di me decantandomi la qualità dell’edizione. In questi casi, il cinefilo abbordante tende a mettere alla prova l’altro (conosci il regista X? apprezzi il genere Y?). Il cinefilo abbordato (in questo caso io) ride sotto i baffi e non svela una vita dedicata alla visione (avrei potuto umiliarlo dicendogli che scrivo su DVD Magazine e che di edizioni speciali me ne intendo abbastanza, ma mi scoccia sempre fare lo sborone). Scoperta l’affinità sull’asse Scorsese-Tarantino-Kitano-Ferrara, il tizio non mi mollava più. Il cinefilo ama citare i film solo con i titoli originali, la conversazione tra cinefili spesso verte sull’espressione di un attore in un film o su un movimento di macchina particolare realizzato da X e citato da Y in un altro film. Insomma, ad un certo punto volevo pagare il mio Kurosawa e andarmene (Stefi si era eclissata ormai da una ventina di minuti). Perciò, gli ho sparato due brevi battute su Bis ans Ende der Welt in versione originale a quattro dischi, l’ho lasciato con qualcosa cui pensare e mi sono defilato. Questi cinefili pulp di oggi non sono poi così onnivori, dunque…