L’ERA DELL’OTTIMISMO

Un nuovo anno. E’ solo un numero. Eppure la gente sembra più fiduciosa e sorridente.
Se il primo gennaio è il giorno del limbo (un po’ come il 25 dicembre, solo che almeno scegli tu con chi passare la distorsione spazio-temporale), il 2 gennaio è il vero inizio dell’anno.
Naturalmente, in ufficio. Come negli ultimi quindici giorni.

I vantaggi del due gennaio sono diversi: non c’è un cane in giro, sugli autobus trovi persino alcuni posti a sedere, le vecchine sorridono con le borse della spesa, come se la roba il due gennaio costasse di meno. La neve è sparita, tutto è freddo e asciutto. Io… Io assumo un incedere meno curvo e strascicato. Mi faccio contagiare, forse. Sono scettico, ma qualcosa sembra cambiato. Quasi cammino a tempo, anche se non ho musica con me (batterie del lettore esaurite). Leggo molto, spero di scrivere altrettanto. Mi aspettano i pazzi del 2 gennaio, quelli che telefonano lamentandosi che negli uffici pubblici aspettano solo i ponti per sparire tutti. Mi aspettano un paio di articoli già in ritardo sulla deadline. L’ennesima visita dal veterinario. Ma se tutto va bene dopo la befana non mi vedete più per sei giorni.

Visto che sento questa punta di ottimismo potrei anche pormi degli obiettivi per il nuovo anno. Soltanto che non riesco nemmeno a focalizzare cosa veramente potrei voler fare. Vorrei cambiare, dare una svolta, diciamo… avviare qualche progetto per troppo tempo trascurato. Soprattutto, vorrei farlo perché lo voglio. Non perché mi lascio trascinare dagli eventi.
Anche se essere reattivi è già una tale fatica che non so quanto posso riuscire ad essere propositivo.

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