33,3 PERIODICO

Lo diceva anche Dario che non si può farne a meno. Riprendi tutto quello che ti passa sotto gli occhi, poi selezioni. E lui è uno che ha la faccia che buca lo schermo. Ma non è solo questione di immagini. Non è nemmeno questione di storia. “La storia può nascere solo da un personaggio”, dice Loris masticando la pizza. “Altrimenti è una costruzione arbitraria“. E pensi che ha ragione, il punto è quello. Non puoi essere credibile nel comunicare te stesso se lo fai attraverso il filtro di qualcosa che non ti appartiene. Discutere, ragionare. Rumori di discoteca da fuori. L’ennesima caccola che esplode tentando di bucarti i jeans.

Fa caldo. La luce filtra dai serramenti chiusi. Marco si lascia andare, descrive luoghi, idee, persone. Gesticola ampiamente – cosa che non fa mai. Quale reazione avrei io, quale reazione avresti tu. Differenze, complementarità. La teoria del 33,3 periodico. “In quattro si sta bene in modo paritario”, dice. “In due in modo più intimo”. Lecca la cartina e solleva lo sguardo. “In tre c’è un disequilibrio, una disparità che porta verso l’infinito”. Chi l’avrebbe mai detto che la serata avrebbe finito per svoltare in filosofia.

A volte in quattro ore riesci a rivivere una vita intera di esperienze. Certo, ti devi impegnare un po’. Ma puoi cambiare ogni pochi minuti. Siamo bambini. Ci piace: suonare il piano protesi in avanti, camminare in parcheggi deserti. guardare le mutandine della maestra. Siamo giovani. Ci piace: buttarsi in bici giù dalle colline, strimpellare la chitarra intonando canti popolari siciliani, mangiare panini alla salciccia dopo la mezzanotte. Siamo adulti. ci piace: fendere la neve sulle tavole da snowboard, dare da mangiare alle anatre, stare sdraiato sull’erba a fumare e guardare le nuvole. C’è chi il muro lo sfonda a testate, chi prova a saggiarne la resistenza bucando in più punti e chi aspetta, studiando il modo di passarci di fianco.

Qualche colpo sulla tastiera, un paio di render. “Il mio è mille volte più veloce”, sussurra Loris. Marco fa una smorfia divertita. Il coro greco, alle spalle del maestro, crea la giusta atmosfera di delirio per il montaggio verticale. Dario ci chiama a sé, gli occhi fissi nei nostri. Lo vedi un’ultima volta, ti sembra che funzioni. Ti sembra esattamente come l’avevi immaginato. Ti sembra, per un attimo, che quella somma di numeri periodici abbia fatto una corsa in avanti, verso l’infinito. Poi è ora di sfogarsi, di rimettere in gioco gli strati primitivi della coscienza. The Need for Speed. Dai canyon all’autostrada, la nebbia, i guardrail.

Ti sveglia un rumore. Ti sollevi impercettibilmente per guardare l’ora con un occhio socchiuso. Le cinque e quaranta. Hai sognato tutto. O forse l’hai semplicemente rivissuto.
Due volte. Come Bond. James Bond.