ROBOT DREAMS, TRA CHAPLIN E ALLEN

Robot Dreams di Pablo Berger ha vinto l’Annie Award e il Festival di Annecy, L’European Film Award come miglior film d’animazione, è stato candidato all’Oscar… e niente, poi lì si è scontrato con dei mostri sacri. Ma è veramente uno dei film animati più belli di sempre.

Intanto è assolutamente internazionale, dato che non si parla. E poi è un “classico”, nel senso che prende moltissime situazioni da film dell’epoca del muto (Chaplin su tutti) e le declina in chiave moderna, ambientando il film in una New York anni ’80 che immerge il tutto in un bagno di nostalgia per Gen-X e Millennial, oltre che richiamare esplicitamente un’estetica da Woody Allen dei tempi d’oro.

In realtà Robot Dreams è un film pensato soprattutto per bambini, ma con easter egg, citazioni e situazioni che possono appassionare gli adulti con riferimenti a Basquiat, alla breakdance, ai Talking Heads, al CBGB e a tutta la cultura dell’East Village dove in effetti si trova la casa di Dog, il protagonista (un cane).

Dog si sente solo, e acquista per corrispondenza un amico robotico da montare. Con lui inizia a divertirsi e a vivere la vita, finché un bel giorno non vanno a Coney Island e il robot rimane un po’ arruginito e senza batteria: non riesce più ad alzarsi dal telo. Da quel momento Dog e Robot sono costretti a separarsi: la spiaggia chiude e riaprirà solo il 1 luglio successivo, unico momento in cui Dog potrà recuperare il suo amico.

Ci riuscirà? Sì e no, come si vedrà nel corso del film che racconta la vita di Dog alla continua ricerca di altre esperienze e i sogni di Robot, sempre immobile sulla spiaggia che anela a ricongiungersi con il suo amico.

Il finale è sorprendente nel suo non essere un vero e proprio lieto fine e insegna anche agli adulti qualcosa di dolceamaro sulle relazioni. Un piccolo capolavoro.

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