ANCORA UN’ESTATE PER CATHERINE BREILLAT

Catherine Breillat è nota per essere una maestra del dramma erotico, e L’étè dernier non fa eccezione. È la storia di Anne (Léa Drucker), avvocata e madre altoborghese di mezza età, nella cui casa piomba Théo (Samuel Kircher, da tenere d’occhio come il fratello Paul, entrambi figli di Irène Jacob, per dire).

Théo è il figlio di primo letto del marito Pierre (Olivier Rabourdin) ed è un adolescente problematico, magnetico, gentile con le bambine di Anne ma scontroso ai limiti dell’inciviltà con il padre e con Anne. Ma è anche molto sexy. Talmente sexy che… avete capito: la storia bruciante tra figliastro e matrigna è dietro l’angolo.

All’inizio sembra una roba folle, ma funzionale ad entrambi. Anne ha bisogno di ritornare “giovane e spensierata”, Théo però purtroppo si innamora come solo un adolescente sa fare. E poco a poco, la storia viene fuori nei contesti meno opportuni.

Il film è un remake a dire il vero abbastanza edulcorato di un film danese di qualche anno fa. La differenza maggiore è nel personaggio di Anne, che Breillat non giudica mai, osserva soltanto, e non riesce a darle quella cattiveria e quella spietatezza che la protagonista del film danese ha. 

Perché in L’étè dernier non c’è solo la storia di sesso e il thriller hitchcockiano (anzi, chabroliano), ma c’è una sottile riflessione sul potere e sulle relazioni sbilanciate. In questo caso Anne avrebbe, teoricamente, il coltello dalla parte del manico. Finale un po’ spiazzante, ma ci sta. Su Mubi.

IL PRIMO SLAM DUNK NON SI SCORDA MAI

Non sono un cultore di Slam Dunk, non leggevo il manga e ho visto pochissimi episodi della serie anime. Però ho voluto vedere il lungometraggio (più di due ore) di Takehiko Inoue, The First Slam Dunk, spinto dalle recensioni entusiastiche viste in giro.

Effettivamente è un anime potente, giocato tutto sulla partita chiave che porterà i Shohoku a battere la Sannoh High e i protagonisti ad arrivare al traguardo dell’NBA. Ma la partita viene inframmezzata da molti flashback, che dovrebbero portarci dentro la storia e la psicologia dei vari giocatori.

In realtà ricordo che la serie era più centrata sul “genio del basket” Sakuragi (quello coi capelli rossi rasati), mentre qui il maggior spazio è dato all’underdog Ryota, che ha alle spalle una tragica storia di basket e amore fraterno, lutti in famiglia e bullismo a scuola. 

Non che non siano tutti underdog in un certo senso, i giocatori del Shohoku. Qualcosa è raccontato anche delle loro storie. Diciamo che se sei un superfan trovi The First Slam Dunk un interessante ribaltamento di prospettiva su un materiale che conosci a menadito. Se invece non ne sai molto, non è facilissimo entrare nelle dinamiche di squadra.

Detto ciò, anche se non si è appassionati di basket, qualunque sequenza si svolga in campo è un capolavoro di animazione, movimento, dinamismo, sonoro. Sembra rotoscoping ma non è: è il genio di Inoue.

HIT MAN: LINKLATER E L’ACTION

Hit Man di Richard Linklater è probabilmente il film che farà di Glen Powell (qui anche sceneggiatore e produttore) una vera star, più ancora di Anyone But You. Siamo dalle parti dei film “di genere” di Linklater (Bernie, School of Rock), che per quanto pop e divertenti mantengono sempre parte di quel piglio indie e riflessivo di Boyhood o della serie “Before qualcosa”.

I killer a pagamento (gli hit man) come si sa sono delle figure di fantasia. Come spiega il protagonista non esiste veramente qualcuno disposto a farsi un ergastolo per la tua bella faccia uccidendo al posto tuo, nemmeno per tanti soldi. Ma la gente non lo sa, e questo fa la fortuna della polizia di New Orleans, che incastra diversi personaggi sulla base della loro intenzione di uccidere qualcuno tramite terzi.

Come fanno? Semplice, c’è Gary (Glen Powell, appunto) che la mattina insegna filosofia al college, vive solo con i suoi due gatti Ego e Id e ha come hobby pallosissimo il bird watching con cui ammorba i colleghi, e il pomeriggio collabora con la polizia impersonando un finto killer a pagamento per fare da esca ai potenziali criminali.

Inizialmente Gary è timido, poi ci prende la mano e tra mille travestimenti si adagia nel personaggio di Ron, un killer dal cuore d’oro, affascinante e volitivo che fa breccia nel cuore di Madison, una giovane sposa che vorrebbe far uccidere il marito violento. Ron/Gary esce per un attimo dal ruolo e la dissuade, perché è già innamorato.

Da questo momento Hit Man smette di essere una commedia d’azione e diventa un film multistrato, un po’ romcom, un po’ screwball comedy, un po’ neonoir ironico (ci ho sentito molta eco dei primi Coen), un po’ riflessione filosofica sull’identità, sul superomismo, sull’etica e sulla politica. I casini si accumulano sempre di più e i due personaggi principali dovranno svelare l’uno all’altro alcuni segreti…

Il film è tratto da un articolo di true crime ed è basato su un personaggio reale: alla fine viene chiarito in quali punti del film è stato usato un po’ di “abbellimento narrativo”. Insieme a The Fall Guy (ma in questo caso con meno stunt fisici e più introspezione) uno dei migliori film del genere visti quest’anno.