SFIDA ALLA GRAVITÀ: WICKED (PART 1)

Sono esattamente 20 anni che i maniaci del musical attendono un film di Wicked. Ora sono accontentati con un film-valanga, che travolge ogni aspettativa, soprattutto per il fatto a dir poco inconsueto che in realtà non è Wicked, ma Wicked Part 1, che si interrompe sul più bello (vabbè, Defying Gravity è forse uno dei più bei pezzi di Broadway di sempre) e soprattutto che da solo dura più di tutto il musical a teatro intervallo compreso (160 minuti).

Io, ignaro di tutto ciò, quando è comparso il titolo accompagnato dalla scritta “Part 1” ho pensato “eh vabbè come a dire che Il Mago di Oz è la parte 2“. E invece no, solo che dobbiamo attendere un intero anno prima di chiudere il cerchio.

Comunque, che vi devo dire: se i musical vi fanno cacare non è proprio la vostra tazza di té. Se come me invece non vedevate l’ora, Wicked è una festa continua per gli occhi e le orecchie, le coreografie sono complessissime e bellissime, Ariana Grande fa una Galinda/Glinda molto “Rivincita delle bionde” e oltre ad avere gli acuti più acuti mai sentiti in un musical ha anche dei tempi comici perfetti. Cynthia Erivo tiene (come è giusto che sia) il film sulle sue spalle verdi e sulla sua voce tormentata. Menzione speciale per la Madame Morrible di Michelle Yeoh e per Jeff Goldblum che fa Jeff Goldblum vestito da mago di Oz.

Gli ignari che vedranno Wicked penseranno vabbè ma è un mix tra Harry Potter, Wednesday e Wonka, non sapendo che Wicked è in realtà la fonte di ispirazione di molte di queste opere (vabbè non di Harry Potter che è del 1997, ma il libro di Gregory Maguire è del 1995, quindi ci potrebbe stare).

Comunque, mollate tutto e lasciatevi trasportare, Wicked è il grande ritorno del musical senza se e senza ma, con interminabili balletti, cori, costumi, arie arzigogolate e dialoghi cantati: una meraviglia assoluta. Una sola raccomandazione: dovete cercare le sale dove lo danno in lingua originale perché mi dicono dalla regia che con una scellerata decisione la Universal ha deciso di doppiare il film nella sua interezza, canzoni comprese. Come bestemmiare fortissimo in sala, proprio.

PICCOLI GRANDI FILM: LOOK BACK

In un periodo in cui non riesco quasi mai a stare molto sveglio la sera, e in cui mi sto rifugiando in animazione seriale che per gran parte è una rivisitazione dei classici della mia infanzia (Dan Da Dan, Ranma 1/2, Dragon Ball Daima, Lupin Zero), ho individuato su Prime Video il film perfetto (dura 53 minuti): Look Back di Oshiyama Kiyotaka, tratto dal manga di Fujimoto Tatsuki, quello di Chainsaw Man. Avendo letto il manga (one shot, un perfetto e dolente graphic novel) mi sono detto vediamo anche l’anime. Non sapendo che è abbastanza diverso dal manga e che è uno dei film di maggior successo in Giappone quest’anno.

Look Back è la storia di due ragazze, Fujino e Kyomoto, che disegnano yonkoma (strisce a fumetti di quattro vignette) per il giornalino della scuola elementare che frequentano. O meglio: Fujino, più ambiziosa e leggermente arrogante, frequenta mentre Kyomoto è una sorta di hikikomori che non esce dalla sua stanza, disegna benissimo ma è anche una fan adorante di Fujino.

La storia si sviluppa in modo molto giapponese (cioè meravigliosamente e misteriosamente ellittico) e vediamo sbocciare una partnership artistica che porta le due ragazze (prima alle medie, poi alle superiori) ad arrivare quasi al traguardo di diventare mangaka affermate. Senonché, ci si mettono di mezzo il destino – sotto forma di un rimando ai tragici eventi della Kyoto Animation del 2019 – e una piccola magia animata che per un po’ ci porta nel territorio del “what if“.

Kiyotaka e lo studio Durian animano il film con uno stile che è molto diverso da quello del manga ma molto efficace nel tratteggiare la psicologia dei personaggi: abbondano i primissimi piani con impercettibili animazioni delle espressioni del viso, le linee tratteggiate, i colori pastello e i giochi di luce (in particolare quello sul finale, carico di speranza e malinconia insieme). Un realismo delle emozioni ottenuto con un disegno particolare e certamente non molto naturalistico.

Piacerà moltissimo ai fan di Makoto Shinkai e di alcuni film Ghibli più “realistici”, anche se il character design si discosta abbastanza da questi modelli. Da vedere per capire come potrebbe evolvere l’animazione giapponese nei prossimi anni.

FLOW È IL FILM CHE NON TI ASPETTI

Flow è il film che non ti aspetti. Soprattutto, non ti aspetti che diventi improvvisamente non solo il miglior film d’animazione dell’anno (superando persino The Wild Robot che per me era già top del decennio) ma probabilmente miglior film dell’anno, punto. Di Flow sapevo zero, se non che era stato presentato a Cannes e aveva fatto un po’ di scalpore ad Annecy.

Boh, pensavo, potrei anche non guardarlo un film lettone con un gattino nero che nuota. Invece meno male che l’ho visto. Flow è un film essenziale e soprattutto universale. Non ci sono parole, quindi non c’è necessità di doppiaggio o sottotitoli. Gli unici suoni che si sentono nel film (a parte una bella colonna sonora pianistica e miyazakiana a cura dello stesso regista) sono i miagolii del gatto protagonista, l’abbaiare del cane, i grugniti del capibara, i versi del lemure e dell’uccello segretario che accompagnano il gatto nel suo viaggio.

Il regista Gints Zilbalodis, non nuovo alle storie senza dialoghi, ha prodotto e realizzato il film in modo particolare: ad esempio non ha utilizzato uno storyboard ma ha creato un ambiente virtuale tridimensionale molto esteso in cui ha piazzato le videocamere virtuali per fare una sorta di “presa diretta” delle animazioni – un po’ come un mondo esplorabile in un videogioco (a me è venuto in mente il vecchio “Myst“). 

La resa è mozzafiato, i movimenti e il comportamento degli animali assolutamente non antropomorfizzati, sono estremamente naturali, e la storia… Dunque, è la storia di un gatto in un mondo dove si percepisce che devono esserci stati degli umani che però non esistono più. In questo mondo a un certo punto arriva un’inondazione più forte di altre e tutto viene sommerso.

Come farà il gatto? Fortunatamente riesce a salire su una barca casualmente “guidata” da un capibara. Poi sulla barca saliranno anche un labrador, un lemure, e un misterioso uccello segretario. All’inizio il gatto è solo nella sua lotta per la vita. Alla fine, con una bella inquadratura che chiude il cerchio… non è più solo.

E il senso è tutto qua. Specie diverse, la cui convivenza in uno spazio ristretto è difficile, che imparano a collaborare per il bene comune. E credetemi, il film è una bomba.