COMFORT SEVENTIES

Ciao raga, questa sera ho deciso di farvi un regalo. Ero lì che cazzeggiavo e mi è venuto questo impulso di ripescare un po’ di cose che ascoltavo quando ero veramente molto piccino, diciamo tra i 5 e gli 8 anni.

Se mi seguite qui o là o su o giù sapete che io di base sono sempre stato un tipo post punk, wave/goth, electro, per cui chitarre giusto ritmiche, basso e dub laddove possibile, morte agli assoli e all’easy listening, no ai virtuosismi e al classic rock, schifo alle ballad.

Ma non è sempre stato così, ovviamente.
Anche io, come tutti i GenXer, sono cresciuto in un brodo primordiale di Bee Gees e Supertramp, Chicago e Journey, Meat Loaf e Queen, Pink Floyd e Genesis, Billy Joel e Linda Ronstadt. E molto altro che sono andato a scovare per proporvi questa playlist che rappresenta una sorta di “comfort zone anni ’70” cui torno veramente di rado.

Si tratta in sostanza della musica che ascoltavo col mio papà. Lui era del ’39, quindi la musica dei suoi vent’anni era al massimo – per dire – Frank Sinatra. Elvis proprio tirato per i capelli. Eppure a 35 anni, quando a quei tempi si era considerati già vecchi, lui comprava dischi e me li proponeva sul piatto Technics, e li ascoltavamo in cuffia insieme.

Poi è ovvio che la formazione personale passa anche attraverso la ribellione ai gusti di papà, e del resto lui dopo gli Alan Parsons Project ha un po’ smesso di cercare roba nuova da ascoltare. Però questa è la roba che ascoltavamo insieme.

Sono due ore e venti di playlist.
Godetevela in macchina, nel traffico, o mentre fate jogging in queste mattine di primavera, e ricordatevi com’era 45 anni fa. O immaginatevelo, se non eravate ancora in giro.

THE HARBINGER: QUELLO SBAGLIATO, PERÒ

Questo è il secondo film a tema suicidio che vedo nel giro di pochi giorni. Il primo era Smile, e già lì c’era qualcosa di strano. Con The Harbinger andiamo spediti verso la locura. Favorisco il già imbarazzante trailer.

Questa tortura autoinflitta deriva dal fatto che avevo intercettato una recensione dei 400 Calci su The Harbinger (2022) e mi ero segnato il titolo. Poi però loro parlavano di un horror metaforico sul lockdown, mentre il mio The Harbinger (sempre 2022) è un horror per modo di dire su una catena di suicidi misteriosi dove c’entrano il Diavolo e il folklore nativo americano, scritto e girato male e recitato mille volte peggio.

Abbiamo il topos della bambina posseduta che fa brutto, il padre che ha firmato un misterioso contratto con non si sa bene chi (questo per dire che nella prima mezz’ora di film non si capisce un cazzo, ma potrebbe anche essere intrigante se non fosse che sono tutti dei cani maledetti), la madre che non si capisce bene che ruolo abbia in tutto ciò.

Poi c’è la comunità di ficcanaso in cui cominciano a suicidarsi le persone, poi sembra che arrivi lo spiegoneTM, poi non si capisce più un cazzo di nuovo e alla fine parte la locura con Satana in corna e zoccoli, anime di morti nella guerra civile, talismani magici, sacrifici umani, le cavallette. In tutto ciò, la sottotrama della sciamana nativa americana stranamente esperta di esegesi biblica è decisamente qualcosa.

Sembra di vedere un brutto horror anni ’80, tipo un sequel di Phantasm di Coscarelli, per dire, ma senza la deliziosa consapevolezza trash di questi ultimi. Terrificante. E comunque dovrebbero mettere una legge per cui non puoi nello stesso anno intitolare due film esattamente nello stesso modo.

SMILE: SORRIDI E ANNUISCI

Smile di Parker Finn è un thriller con elementi soprannaturali che alla fine vorrebbe essere un horror vero e sbraca, con creature improbabili ed effetti speciali approssimativi. E vabbè, vi ho rovinato il finale. O forse vi ho salvato. Comunque, trailer.

La trama indubbiamente è abbastanza intrigante: la protagonista è una psicoterapeuta che viene a contatto con una sorta di entità malvagia che “sorride” (da cui il titolo del film) e che prende possesso delle persone portandole a suicidarsi in modi fantasiosi e grandguignoleschi. Chi assiste ad uno di questi suicidi viene a sua volta perseguitato dall’entità che “assume le sembianze di amici e conoscenti” facendoti prendere gli spaventoni e dopo 4, massimo 5 giorni entra dentro di te e ti spinge al suicidio creativo. Sempre però avendo cura di farlo davanti ad un testimone, che a sua volta assisterà al suicidio e diventerà la nuova vittima, che vedrà l’entità per 4 o 5 giorni e poi dovrà suicidarsi male… in un ciclo continuo che è già in odore di sequel.

Quello che non è male di questo film è la parte investigativa, sui cold cases rivisitati, e anche la parte psicologica (considerato il mestiere della protagonista) non fa cadere le balle. Dove cade tutto è sulla Creatura MalvagiaTM che sembra uscita da un brutto film anni ’80, non saprei nemmeno descriverla senza scoppiare a ridere. Anche il modo in cui la creatura “prende possesso” del malcapitato è un po’ ridicolo – o meglio, sarebbe figo se alla regia ci fosse Brian Yuzna, per dire. 

Purtroppo quindi Smile resta un horror che non fa paura… e posso apprezzare che non sia l’ennesimo remake, sequel o prequel, ma il fatto che comunque ne genererà non promette nulla di buono.