SUZUME, CAPOLAVORO O MANIERA

Mentre ero al Salone del Libro in questi giorni ho visto il romanzo da cui è tratto Suzume (l’ultimo anime di Makoto Shinkai) e mi sono ricordato che non vi ho parlato di questo film, che mi ha lasciato un po’ interdetto.

Intendiamoci, è sempre un nuovo film di Makoto Shinkai ormai universalmente riconosciuto come il “dio degli anime” cinematografici, costantemente campione di incassi con i suoi film (e Suzume non si smentisce, top al box office sia in Giappone che in Cina).

Il comparto visivo è sempre il punto di forza dei film di Shinkai e qui, in un film ispirato a disastri naturali come il terremoto del 2011, le luci, le ombre e i paesaggi naturali e urbani sono lo scenario impressionante attraverso il quale si muovono i protagonisti Suzume e Souta.

Il problema se vogliamo sta nel comparto narrativo… C’è un primo atto del film spettacolare: nei primi 10 minuti la liceale Suzume incontra il bel tenebroso Souta, decide di seguirlo in un villaggio in rovina, scopre “i portali” che conducono ad una sorta di aldilà dove un minaccioso vermone in CGI (unica cosa che mi ha lasciato un po’ perplesso) tenta di uscire per depositarsi sul Giappone suscitando terremoti e tsunami e ovviamente scopre anche che Souta è un “chiudi portali” discendente da una stirpe di “chiudi portali”.

Suzume rimuove un sigillo che si rivela un carinissimo gatto malvagio di nome Daijin (personaggio un po’ stile Kyubei di Puella Magi Madoka Magica) che trasforma Souta in una seggiolina di legno a tre gambe. Che detto così sembra una minchiata e invece è il motore di tutte le gag della parte centrale, un road movie attraverso il Giappone all’inseguimento di Daijin,

Poi devo dire che la storia si sfilaccia un po’ e diventa meno appassionante, fino ad un finale che invece mette in prospettiva alcuni elementi fino a quel momento incomprensibili in cui ha una parte importante proprio la seggiolina di legno, regalo che la madre di Suzume le fece quando lei era piccola…

Ma non facciamo spoiler. Per me è difficile capire se Suzume è un altro capolavoro o se ormai Makoto Shinkai si è perduto nei suoi manierismi.
Sinceramente ho amato di più Your Name e Weathering With You.
Suzume è bello. Però è un po’ freddo.

RENFIELD E LO SPIRITO DI BELA

Ci ho messo qualche giorno prima di scrivere qualcosa di Renfield, perché sulla carta è un film che spacca: vampiri, quel pazzo di Nicolas Cage nel ruolo di Dracula (a 34 anni da Stress da vampiro, LOL) e un mood che dal trailer faceva pensare moltissimo a What We Do In The Shadows, film e serie TV assolutamente TOP per chiunque ami il pericoloso incrocio tra commedia e horror.

Sulla carta spacca, dicevo, ma come sempre fare questo tipo di film è un gioco pericoloso. Basta esagerare uno degli ingredienti e si rischia di svaccare. In questo caso purtroppo un po’ di svacco c’è. Ci si diverte, c’è tantissimo splatter veramente esagerato, ma da un certo punto in avanti è tutto buttato in caciara.

Ma partiamo dall’inizio. Nei primi 15-20 minuti Renfield è tutto quello che si può desiderare da un film su Renfield con Nicolas Cage e Nicholas Hoult. Al primo basta rifare sé stesso con denti ferini e protesi facciali, il secondo è credibile nel ruolo di un “famiglio” che si vede in una relazione tossica con il proprio datore di lavoro e che per questo frequenta un gruppo di terapia dedicato (questo è il pitch del film ed era perfetto per un cortometraggio, in effetti).

Nel ripercorrere la loro storia insieme, il racconto di Renfield viene visualizzato tramite un remake inquadratura per inquadratura del Dracula di Tod Browning del 1931 con Bela Lugosi (la cui interpretazione ieratica è evidentemente la base dalla quale Cage parte per poi ricamarci su).

Poi però Renfield decide che vuole essere buono, uscire dalla relazione tossica, aiutare le forze dell’ordine e sgominare una banda di mafiosi locale. E lì il film si indebolisce, a causa anche di scelte di casting un po’ deboli come quella di Awkwafina (simpatica ma inadatta) o Ben Schwartz (molto più efficace nella serie Muppets Mayhem).

La cosa si risolve in un sacco di mazzate tra “famigli” coi superpoteri derivati dal sangue di Dracula che ovviamente nel frattempo si è alleato con i mafiosi. Una deriva splatter/fumettistica che probabilmente è stata fortemente voluta da Robert Kirkman da una cui idea è nato tutto il progetto.

Insomma, se siete “bimbi di Nicolas Cage” come il sottoscritto, il film va assolutamente visto. Altrimenti, mi sento di dire, anche no.

SUPER MARIO BOH

Diciamola tutta, io ne facevo anche a meno, del film su Super Mario Bros. – una serie di videogame assolutamente iconici e che per quelli della mia generazione fanno leva sull’effetto nostalgia canaglia ma la cui “storia” in generale si esaurisce in “arriva dal punto A al punto B evitando gli ostacoli e scopri che il tuo obiettivo finale si è spostato due livelli più in là”. E già dal trailer capivo di non aver tanta voglia di vederlo.

Poi, si sa, i bambini. Ma sono riuscito a spedire al cinema la mamma. Poi il suddetto bambino ti fa il lavaggio del cervello e allora insomma, vediamo almeno di trovarlo in lingua originale, perché l’unica cosa che poteva interessarmi era Jack Black che fa Meat Loaf che fa Bowser.

E in effetti posso dire con certezza che ogni inquadratura in cui Bowser appare e canta il suo amore per Peach è una delle vette dell’animazione di questi dannati anni ’20. Altro personaggio top è Lumalee, la stellina blu di Super Mario Galaxy, che qui ha il ruolo geniale di ricordare a tutti che la vita è un peso insostenibile e la morte è l’unico sollievo (un azzardo ben riuscito di Illumination).

Per il resto, come sottolineano gli interminabili video di YouTube che mio figlio mi costringe a vedere, il film di Super Mario è una lista pressoché infinita di easter egg e fan service infilati uno dietro l’altro. Mi ha divertito molto all’inizio del film la scena in modalità platform in cui Mario e Luigi devono arrivare sul posto del loro primo intervento idraulico, ma dopo la quinta iterazione di questo trick (mettiamo in scena i movimenti come se fossimo nel videogame X) mi ero un po’ stufato.

Per quanto apprezzabile (e soprattutto economicamente valido) sia stato combinare gli spunti narrativi da 40 anni di videogame di Mario e Luigi per costruire un’esilissima sceneggiatura, a me l’unica cosa che rimane è il pezzo di “Peaches“.