POTTERISMO SENZA LIMITISMO

Ai potteriani, si sa, non va mai bene niente.
Comunque.

Nonostante siano circa 12 anni che qui da noi si va avanti a strascico con le storie di Harry. Nonostante ormai questa saga (che con quella di Matrix e quella del Signore degli Anelli costituisce la vera mitologia del primo decennio del ventunesimo secolo) abbia anche un po’ rotto i coglioni… Eccoci di nuovo qua, a parlare di Harry Potter e i Doni della Morte. Un nuovo scintillante episodio che non è nemmeno l’ultimo, visto che ce lo hanno segato in due parti. Il sospetto è che lo abbiano fatto per rastrellare più soldi possibile, ma dai… vediamola dal lato positivo. Almeno stavolta il film non sembrerà un album di figurine Panini sfogliato al volo e chiuso sul più bello.

Beh, sì… più o meno. L’impressione generale rimane.

Cioè, come succede da almeno due episodi a questa parte, non esiste più la possibilità di partire tranquilli, di far montare la tensione, di spiegare un po’ meglio. No, si parte al brucio (cazzi tuoi se non ti sei riguardato il DVD dell’episodio precedente prima di andare al cinema) e poi è tutto un susseguirsi di episodi cruciali, di fughe, di battaglie, di “eureka!” tutto sommato un po’ stiracchiati.

La buona notizia è che stavolta c’è un po’ di approfondimento psicologico in più. Anche perché l’ultimo volume della saga è tutto approfondimento psicologico. La recitazione dei ragazzi appare finalmente un po’ migliorata e la cosa emerge in molte scene interessanti. La (perdonatemi il neologismo) “adultizzazione” della vicenda è ormai portata alle estreme conseguenze, per quanto possibile: i bambini piangono di paura in sala, con grande soddisfazione dei maggiori di 14 anni.

I Doni della Morte è un film invernale, desaturato, soffocante e sporco. Ma soprattutto desaturato. Tutti gli esterni sono studiati per dare un senso di desolazione e se possibile sono ancora più azzeccati del solito. Tra le scene chiave, non male quella del colloquio con Bathilda Bath (genuinamente terrificante) e quella della distruzione del medaglione (con citazione audiovisiva della furia di Galadriel).

Bill Nighy e Rhys Ifans fanno la loro porca figura nei ruoli di Scrimgeour e di Xenophilius Lovegood. La scena a casa Lovegood lascia abbastanza il segno, soprattutto perché introduce una delle sorprese più gradite del film: la versione animata della fiaba dei Doni della Morte. Improvvisamente irrompe nel film potteriano una scheggia di Lotte Reininger, sciolta in una sensibilità grafica degna di Tim Burton e Terry Gilliam messi insieme. Sembra quasi di trovarsi in un’altra serie, quella degli Sfortunati Eventi che – ahimè – non ha più avuto alcun seguito cinematografico a causa di incassi non proprio stellari.

A parte tutto, un film da vedere, preparandosi in tempo a quella sensazione da coitus interruptus che ti prende quando Voldemort agita la sua bacchettona di sambuco (non è una battuta a sfondo sessuale) e scatta la dissolvenza in nero. Adesso dobbiamo aspettare luglio per mettere la parola fine a questo mito, probabilmente più adatto – col senno di poi – ad una megaproduzione televisiva (Harry Potter: la serie in sei stagioni da 12 episodi di 45 minuti l’uno… Can you dig it?).

Comunque, va detto, un po’ di limone in più ci stava solo bene…

FREAKS & GEEKS RELOADED

Quanto sembra lontano il 1999? Pensateci.
Internet era già una parte preponderante delle nostre vite, ma non c’erano i blog, i social network, e soprattutto non esisteva ancora il fenomeno di “scaricarsi le serie tv“. Si scaricavano un po’ di MP3, certo. Ma a parte quello, poca roba. Perciò una perla televisiva come Freaks and Geeks ce la siamo persa un po’ tutti.

Io l’ho recuperata adesso, ci sono arrivato per vie traverse che non è il caso di riportare qui.
E posso dirvi in tutta sincerità una cosa che di solito non dico a vanvera: scaricatelo, scaricatelo, scaricatelo.

Freaks and Geeks è una serie ideata da Paul Feig e prodotta da Judd Apatow (il re mida della commedia made in USA degli ultimi dieci anni). So già cosa state per dire: Apatow vi fa venire in mente parolacce, comicità di bassa lega, continui riferimenti a pratiche sessuali di vario tipo, etc. Eppure Apatow ha anche un lato serio, e forse l’ha dimostrato fin troppo con il suo altalenante Funny People. Ma non ci interessa più di tanto: Freaks and Geeks è in realtà più una creatura di Feig, un tizio che sicuramente non conoscete ma che ha messo il suo zampino anche in The Office, Arrested Development, Weeds e persino Mad Men.

Freaks and Geeks è una serie unica. Intanto perché ne esiste una stagione soltanto. La stagione conta 18 episodi. La NBC ne ha trasmessi 12, dopodiche la serie è stata cancellata. Le proteste dei telespettatori incazzati hanno fatto sì che venissero trasmessi altri tre episodi. Gli ultimi tre sono stati trasmessi un anno dopo da Fox, e la serie è infine uscita in DVD, in versione completa, nel 2004.

Se l’hanno cancellata al 12° episodio, direte voi, vuol dire che la serie faceva schifo. Sbagliato. Time Magazine la inserisce nella lista dei 100 migliori programmi televisivi di tutti i tempi. La mia opinione? La serie era troppo “vera”. Freaks and Geeks racconta la vita di alcuni studenti in una high school del Michigan nel 1980. Il tema non è nuovo. Da un lato i freaks, i ragazzi cattivi che fumano erba, fanno sega a scuola e se ne fregano. Dall’altro i geeks, gli sfigati che stanno per conto loro e sono terrorizzati dalle interazioni sociali. In mezzo, la protagonista Lindsay Weir, che passa con una certa difficoltà da una categoria all’altra.

Quello che rende la serie fresca, vitale e vera è la scelta perfetta degli attori (quasi tutti talenti poi utilizzati in future produzioni Apatow come James Franco, Jason Segel, Seth Rogen, Martin Starr), l’ambientazione spaziotemporale quasi soprannaturale nella sua accuratezza e ovviamente la scelta delle musiche che – a uno come me che andava a scuola in quegli anni – fa ribaltare sul divano (Styx, Journey, Kiss, Who, Van Halen, Rush). Cioè: il 1980. Niente ragazzini che mandano SMS, niente ricerche su Internet, ma che dico: niente computer in casa (si vede un terminale Unix in una delle ultime puntate, al massimo), niente di niente. Sam Weir, il fratellino geek di Lindsay, per natale chiede un Atari VCS 2600! La stessa console che avevo io!

Al di là della più totale identificazione dei quasi-quarantenni nei personaggi, la serie è scritta in stato di grazia, perennemente in bilico tra l’esilarante e lo sgradevole. Nessuno dei personaggi è veramente positivo o negativo, un momento accade un miracolo e un altro momento tutto va a rotoli – un po’ come nella vita. Nulla a che vedere con gli studentelli televisivi precedenti, contemporanei o futuri – genere Beverly Hills 90210, Dawson’s Creek, O.C. Qui sono tutti “normali” (a parte James Franco che è sempre stato un gran figo, anche ai suoi esordi).

Il finale è dolceamaro e inaspettato ma fondamentalmente in linea con l’evoluzione dei personaggi (ognuno dei quali ha il suo arco narrativo ben definito). La migliore recensione possibile è “una serie del 1999 che sembra veramente prodotta nel 1980”.
Non per ingenuità, ma per sguardo empatico verso un mondo che non c’è più.

FERIAE AUGUSTI

Si avvicina il picco assoluto dell’estate italiana (anche se sembra che l’autunno abbia fatto irruzione con un largo anticipo, ma si sa… sono i monsoni). Se non siete via, se dedicate alla vostra città deserta il culto ferragostano, se siete presi dall’horror vacui, ho deciso di annotare qui per voi alcuni passatempi estivi degni di nota.
I miei, per l’appunto.

Se avete l’estro di andare al cinema per farvi congelare dall’aria condizionata mentre siete ancora umidi di pioggia, in sala c’è ben poco. A meno che non siate appassionati di horror. Allora, questa settimana è uscito Splice di Vincenzo Natali (uno che ha dalla sua un esordio folgorante come The Cube). Pare sia fighissimo, quindi tocca vederlo. Lo stesso (forse) non si può dire per gli horror thai che chissà come mai escono sempre quando teoricamente non li vedrà nessuno. Dimenticate Pandorum, stuzzicante sulla carta quanto noiosissimo alla visione e buttatevi piuttosto su Predators (same old story, ma fatta con i controcazzi) o su Solomon Kane, un film tamarro ma con intelligenza. Ah, e poi ovviamente potreste recuperare Avatar o Toy Story 3 in qualche sala, ma occhio a non farvi fregare vedendoli in 2D! Se siete in astinenza da cartoon potreste scaric… ehm, noleggiare Piovono Polpette o Dragontrainer (comunque ottimi prodotti) in attesa di rituffarvi nel mondo di Molto, Molto Lontano.

Se preferite rimanere spiaggiati sul vostro divano di casa, suggerisco una full immersion in qualche serie TV di pregio. Recentemente si sono scandalizzati con me perché non avevo mai visto The Big Bang Theory e How I Met Your Mother. Ho provveduto molto in fretta, e vi suggerisco caldamente di fare lo stesso. Se invece non siete suscettibili al fascino delle sitcom, ma preferite un tipo di comicità indie, acida e corrosiva, suggerisco Hung (in corso la stagione 2) o United States of Tara (rispettivamente ideate da Alexander Payne e Diablo Cody). Per i più affezionati al drama: non vi sarete mica persi la quarta stagione di Dexter? Lo so, la terza era una palla. Poi però si sono rifatti alla grande. Non dimenticate di recuperare Glee, l’esordio col botto del 2010. E poi, che dire. È ricominciato True Blood, brutti succhiasangue pervertiti!

Il capitolo letture estive è un dramma: fin da Giugno io comincio a tenere “da parte” quei libri che mi sembrano avvincenti il giusto per poter rendere interessante un volo intercontinentale, o un certo numero di serate nella giungla in cui matematicamente Stefi dormirà e io resterò sveglio in compagnia di una torcia a dinamo (7,90 € da Decathlon, per niente cara). Per questa estate ho pensato: Toxic di Hallgrimur Helgasson, Il porto degli spiriti di John Ajvide Lindqvist e La vergine delle ossa di Luca Masali. Tre thriller (contro tre thriller, cit.) che mi paiono attraenti e ben congegnati, ma se voi avete altri suggerimenti ditemi pure.

Se poi volete solo chiudere gli occhi e sentire musica… Mah. OK, è uscito il nuovo degli Arcade Fire, se vi fidate. Terry Gilliam ha curato la regia del loro ultimo show. E poi vanno recuperati Heligoland dei Massive Attack, Rise Up dei Cypress Hill, Mondo Cane di Mike Patton (astenersi amanti della musica italiana… oppure no?), quello nuovo dei Gogol Bordello (a dire il vero non l’ho mica ancora sentito, ma ve lo dico sulla fiducia). Vabbè poi c’è il ritorno di Gil Scott Heron, che non è per tutti, mi rendo conto. E se siete dei vecchi dal cuore gotico non dimenticatevi che quest’anno c’è in giro anche la versione rimasterizzata e superlusso dell’immenso Disintegration dei Cure.

Se poi non vi piace andare al cinema, vedere serie TV, leggere o ascoltare musica…
Vedete di cambiare sito!
Anzi, fate una cosa. Affogatevi di parmigiana di melanzane su un prato antistante l’autostrada.
Dicono sia la cosa giusta da fare, a ferragosto.