CHINATOWN BLUES (IL DURO DEL TAKE AWAY)

Sbuffi di vapore dalla bocca. I giorni più freddi dell’anno. I giorni peggiori per questo tipo di affari.
Solo Tom Waits per riscaldarmi le orecchie con un massaggio ruvido.
Il posto non è lontano, ma sembra un’eternità che metto un passo davanti all’altro. Niente macchina, certo. Mantenere un profilo basso.
Ripercorro con la mente ogni singolo momento che mi ha portato a questo.
E’ una questione di necessità. Quando arrivi a non avere più nulla, puoi accettare qualsiasi cosa.
Ecco, è qui a destra. Poi nel vicolo. Se possibile il gelo è aumentato. Cerco di sfuggire alla luce cruda dei lampioni, di evitare i fari delle rare macchine che passano. Profilo basso. In questo quartiere c’è poco da scherzare.
Inosservato, apro la porta del locale. Il cinese è là, in fondo, dietro una cortina di birre. Gli occhi fissi su qualche spazzatura televisiva. Finge di non notarmi.
Poi, senza staccare lo sguardo dallo schermo:
Sei tu?
– Sì. Ti hanno avvertito.
Non è una cosa immediata.
Il suo italiano è quasi perfetto, ma va a singhiozzo, come una voce in una rete senza campo.
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SCUOLA DI BACI

– Non ne hai il coraggio.
– Vuoi vedere?
La tiene ferma contro il muro, lei non reagisce. Lo guarda con un sorriso negli occhi. Si butta contro di lei, come per darle una testata. La bacia a bocca aperta, con imprecisa avidità. Dieci secondi. Lei lo respinge e lo attira a sé nello stesso tempo. Quindici. Si staccano. Lei si pulisce la bocca col dorso della mano.
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