LA GRANDE TRUFFA DEL NATALE

C’è questa cosa, che tutti i miei amici sanno e sulla quale scherzano: io detesto il Natale. Comincio a stare a disagio a novembre, quando in città piazzano le luminarie, e mi passa il 7 gennaio, quando si torna a lavorare. Persino mio figlio a cinque anni sa che “è meglio non mettere le canzoni di Natale perché poi papà sta male”.

Un po’ è un inside joke della nostra famiglia e del gruppo di amici, un po’ è qualcosa di vero. Veramente io con l’avvicinarsi del Natale cado in uno stato di negatività, angoscia e depressione tale che devo solo passare i giorni a ringraziare le persone che mi amano per continuare a farlo passando sopra questo inesplicabile fenomeno. La cosa è tanto più curiosa in quanto non ricordo esattamente da quanto tempo io mi sento così a Natale. Sicuramente c’entra qualcosa anche il mio compleanno, che cade il giorno precedente, e che superati i 40 tende a diventare più simile a una visione di sabbia che si esaurisce nella clessidra che non a una tappa da celebrare.

Da piccolo il Natale era già qualcosa di ambiguo. La festa – la mia festa – veniva in qualche modo usurpata dalla festa di Gesù. Non ho mai veramente festeggiato un compleanno con i miei amici, che quella sera erano tutti impegnati in baldorie familiari o in messe di mezzanotte. E non è che io ricevessi “un regalo solo” per Natale e compleanno, è proprio che la mia festa individuale si scioglieva in un rito collettivo, e io coltivavo già allora una sorta di rancore verso questo bambino circondato da animali, stelle, pastori e magi che mi privava dell’attenzione che io e solo io avrei meritato in quel giorno.

In più, tolti gli amici e la spensieratezza dall’equazione, il Natale diventava esclusivamente una questione familiare, con gli stessi riti, le stesse parole, gli stessi cibi, le stesse persone, anno dopo anno, dall’infanzia all’adolescenza, fino all’età adulta. I riti, una cosa che ho sempre mal sopportato. Eppure mi rendo conto che devono essere presenti nella vita di una persona se non altro per potersi autodefinire in contrapposizione ad essi. All’università sono riuscito a fatica ad affrancarmi dalla famiglia, facevo un po’ la fame ma vivevo libero. Tornavo a Natale, certo, ma forte di una vita che era la mia, non più la loro. Il tempo di una cena, ed ero già altrove. Potevo decidere di sottomettermi al rito per l’affetto che mi legava ai miei genitori, o – più avanti – ai genitori della mia compagna e successivamente moglie.

Poi, certo, nel 2006 c’è stato il primo Natale senza mio padre. E nel 2013 il primo Natale con una nuova persona, mio figlio. Questi due eventi cruciali, attorno ai quali ho girato molto intorno anche in mesi di terapia, sono andati in qualche modo a disturbare quel bambino triste e rancoroso che odiava Gesù e il Natale. Quel bambino vuole attenzione e vuole rassicurazioni, e per quanto abbia l’apprezzabile tendenza a spuntar fuori raramente, il periodo natalizio lo attiva in modo particolare. Ed ecco, si produce nel suo repertorio di momenti depressivi, crisi di ansia, difficoltà respiratorie, alterazioni dell’umore, e via dicendo.

Nel Natale / compleanno è cristallizzato il mio desiderio di poter essere figlio, spensierato, accudito, deresponsabilizzato (intendiamoci, lo sono stato quando era il momento, non è che fossi un piccolo adulto, e tuttavia qualcosa deve essermi mancato). Nel Natale / compleanno questo bambino interiore si risveglia e piange i Natali / compleanni che sente di non aver vissuto. Nei Natali / compleanni dopo il 2006 e dopo il 2013 la situazione è radicalmente peggiorata, in quanto la morte di un padre e soprattutto la nascita di un figlio (che per un milione di altri motivi è il regalo più grande che la vita mi abbia mai fatto) sanciscono senza pietà il fatto che tu non sarai mai più “figlio”, nessuno ti potrà accudire, consigliare o deresponsabilizzare, e anzi, scusa tanto, ma devi essere 24/7 “padre”, e devi essere tu ad accudire, consigliare, farti carico delle cose.

Certo, razionalmente potreste dire (me lo dico anche io spesso, non mi offendo se me lo dicono gli altri) “cazzo hai 48 anni*, non è certo l’età della spensieratezza”. Giusto, per carità. Resta il fatto che il Natale è un trigger per queste sensazioni. Il Natale mi ricorda che gli anni che restano sono meno di quelli che sono passati. Il Natale mi ricorda che non c’è nessuno a consigliarmi come fare il padre, anche se per carità, la risposta è sempre dentro di me (ma è sbagliata). Il Natale mi ricorda che i familiari ancora in vita sono anziani, e che sta a me sbattermi per cercare di fargli passare una buona giornata e non viceversa. Il Natale soprattutto mi ricorda che ho un figlio e dovrei sforzarmi di passargli passione e leggerezza, due qualità che considero fondamentali nella vita, e che dal 1 dicembre al 6 gennaio sembrano prosciugarsi completamente in me lasciando solo apatia e pesantezza (recupero gli altri mesi dell’anno, non temete).

Tutto questo sfogo di autoanalisi un po’ per far passare il tempo, un po’ per dirvi che, qualora dovesse capitare che io non risponda agli auguri o che – se spronato – vi risponda “Buon Natale un cazzo”, voi sappiate il perché.

*48 anni domani, per la precisione. Oggi ancora 47. Ho ancora il vezzo di non aumentarmi l’età se non è strettamente necessario.

2 risposte a “LA GRANDE TRUFFA DEL NATALE”

  1. Ah ah ah, BRAVO Axell BRAVO, ma sai che forse dovremmo tornare qui a commentarci l’un l’altro in poche decine di persone, in una bolla della bolla della bolla. Anche a me questo 2018 è indigesto ancor più e credo (forse) per i tuoi stessi motivi. Il governo dei cambiamerda mi fa sentire ancora più depresso del normale, perché come diceva un articolo che leggevo l’altro giorno credo sul Corriere, come italiani ormai siamo tutti depressi, apatici, incapaci di muovere un muscolo perché ormai siamo ridotti così, non c’è storia. Buon solstizio a te.

  2. Volevo provare l’ebrezza di commentare un post di un blog.
    Ecco, fatto.
    Auguri per domani buon uomo e tanta solidarietà. Io amo il Natale, ma questa edizione 2018 mi è particolarmente indigesta.
    Un caro abbraccio.

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