TRISTE, SOLITARIO Y FINAL: IN A VIOLENT NATURE

Come Venerdì 13 ma girato da Terence Malick, o Gus Van Sant. Il trick di In a Violent Nature, l’horror pensoso e lentissimo che fa impazzire il mondo, è tutto qua.

Il regista canadese Chris Nash ha concepito questo film come un omaggio agli slasher più pecioni: basti dire che la trama è “zombi risorge da sottoterra perché gruppo di teenager stronzi si appropria di un ciondolo che lo teneva magicamente sepolto”. Poi lo zombi ha una backstory, che viene peraltro raccontata a voce da uno dei suddetti teenager (“grosso tizio con disagio mentale fa a pezzi squadra di boscaioli dopo che questi hanno ucciso la sua famiglia”).

Allora, ci siamo: è uno slasher pecione. Però… invece di avere suspence, jumpscare o quant’altro abbiamo attese, lunghissimi piani sequenza in cui seguiamo il killer inquadrandolo sempre di spalle (salvo primo piano orripilante ad un certo punto), in cui vediamo tanti alberi e tanta foresta, in cui di base non succede (quasi) mai nulla.

Ma è ovvio che i teenager dovranno pagare con una morte orribile il fatto di aver rubato il ciondolo, e le morti orribili arrivano (oh! se arrivano). Una in particolare è probabilmente la morte più elaborata e disgustosa che avrete visto negli ultimi anni in un horror. Un’altra è talmente esplicita, esasperata e tirata in lungo che invece di suscitare paura (o schifo, perché non è che In a Violent Nature sia un film che incute paura) da diventare, semplicemente, triste.

Tutto ciò senza contare un finale anticlimatico che gioca con i luoghi comuni dello slasher in modo a mio avviso un po’ antipatico, mettendo la final girl in una situazione potenzialmente pericolosa dove poi… ma vabbè, il finale non ve lo dico. Basti sapere che è uno di quelli sul quale fioriscono on line gli articoli tipo “In a Violent Nature ending explained“.

Ecco, In a Violent Nature è essenzialmente un film triste. Un po’ come A Ghost Story. Il che però è strano, dato che non è prodotto da A24 ma da Shudder.

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