DENTRO LO SPIDER-VERSE

Devo riordinare le idee.
Spider-Man: Into the Spider-Verse, due ore circa di film in cui il mio cervello non ha fatto altro che ronzare un WHAT THE FUUUUUUUUUUUUUUUUUCK lungo quanto tutto il film e totalmente ininterrotto.

Partiamo da qui. Questo è un film Marvel. Ci sono stati altri film Marvel. Questo per me è il primo vero film seriamente Marvel. Marvel è la casa delle idee. Questo è il primo film Marvel che vedo strapieno di idee, idee a raffica, senza soluzione di continuità. Non denigro gli altri film di supereroi, (anche se mi erano venuti abbastanza a noia). Sono un genere a sé, danno risultati discreti, buoni, in qualche raro caso ottimi. Ma qui siamo in un altro campionato.

Il film è dedicato a Stan Lee e Steve Ditko, senza i quali non esisterebbe il personaggio più amato del mondo dei comics. Ma c’è da ringraziare molto anche Brian Michael Bendis, responsabile dell’universo Ultimate, da cui viene Miles Morales, lo Spider-Man adolescente che vediamo in questo film. La sceneggiatura però è di Phil Lord, uno che niente niente ci ha regalato due capolavori come Piovono Polpette e The Lego Movie (quindi azione a raffica, dialoghi brillanti, citazioni pop a buttare). Pare che a un certo punto ci abbia messo le mani anche Alex Hirsch (Gravity Falls), ma non c’è nei credits. Difficile di primo acchito orientarsi nella storia delle varie dimensioni parallele (soprattutto quando arriva l’inevitabile domanda del cinquenne “Papà, cosa sono le altre dimensioni?“)… Ma non mi soffermerò sulle varie declinazioni degli universi narrativi paralleli della Marvel, da cui provengono le sei Spider-Person del film, anche se sono alla base del film e generano orgasmi multipli in tutti gli amici geek. Sono comunque abbastanza ben spiegate da non disorientare lo spettatore.

Parliamo invece dei vari Spidey in gioco. C’è Miles, adolescente afroamericano tutto hip hop e street art (è Shameik Moore, lo Shaolin Fantastic di The Get Down), c’è un Peter B. Parker da un’altra dimensione, imbolsito e divorziato da MJ (è Jake Johnson, direttamente da New Girl e perfettamente in parte), c’è la Spider-Woman di Gwen Stacy (è Hailee Stanfield, ora in sala anche con Bumblebee), c’è Spider-Man Noir, tutto in bianco e nero hard boiled (è Nicholas Cage, punto), c’è Peni Parker con il suo mecha SP//DR (è Kimiko Glenn, già Brooke Soso in Orange Is The New Black) e c’è l’assurdo Spider-Ham direttamente da un universo tipo Looney Tunes (è John Mulaney, già voce di Andrew Glouberman in Big Mouth, lo show che scrive e produce per Netflix). Tipo che tre Spider-Persone su sei arrivano da show Netflix. Vabbè. Questo per dire che c’è da rivedere il film in originale, e mettiamoci anche Liev Scheiber nel ruolo di Kingpin.

Ma la cosa più sconvolgente, quella più WHAT THE FUUUUUUUUUUUUCK di tutte, è il dipartimento animazione. Centottanta (180) animatori a metterci le mani. Un casino, direte voi. In effetti. Un delirio visivo (gli anglosassoni lo chiamano “eye-candy”) che ti assale dal primo minuto sulle immagini delle case di produzione fino all’ultima inquadratura della scena post-credits (sì, c’è una scena dopo i titoli di coda che farà fare gridolini di piacere a tutti i 40-50enni anche non troppo geek, ambientata su Terra-67)… Un frullato di cinquant’anni di storia dei media visivi, dall’animazione alla pubblicità, dal fumetto al videogame, dalla fotografia alla stampa offset, dal writing alla ascii art, dalla morbidezza del manga alla spigolosità dell’animazione contemporanea, mixed media, tavole, vignette, didascalie e onomatopee su schermo, sfocature improvvise, glitch, rotoscoping alla Ralph Bakshi, retinature, effetti 3D “vintage”, frammentazione dei punti di vista, esplosioni, colori, vortici, caleidoscopi, il tutto mixato con un sound design da urlo e una colonna sonora che più hip hop non si può, che non siamo abituati a sentire in un film d’animazione “tradizionale”. Uno che studia a livello professionale o amatoriale il fumetto, l’animazione, il design trova pane per i suoi denti (e alla fine della visione si troverà comunque i denti rotti). Ma di questo hanno parlato molto meglio di me Roberto Recchioni e Alessandro Apreda nelle loro puntuali recensioni.

Questo Spider-Man non si può nemmeno dire che rompa con la tradizione, è talmente alieno, talmente nuovo che non ha veramente nulla a che fare con la tradizione, è il futuro.
Voglio rivederlo tantissimo, e voglio andare in quella direzione.

PS: ho visto il film con la Creatura, che mi ha freddato solo con due domande chiave, una è quella sulle dimensioni parallele che ho liquidato sussurrandogli “Sono mondi diversi”, l’altra è “Ma perché Kingpin è cattivo?” che avrebbe richiesto una approfondita analisi sulle scelte morali di Kingpin e quindi ho risolto con un “Perché sì, amore”. Comunque è un film che si fa guardare anche dai bimbi, al netto di un paio di scene di tensione un po’ intense e due o tre morti ammazzati (non è un cartone che indugia sulla violenza, comunque, non c’è mai sangue, per dire). E comunque c’è Spider-Ham (aka Peter Porker) che la Creatura chiama allegramente “PORCO SPIDERMAN”.

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