BLINK TWICE: RICCANZA E PATRIARCATO

Un problema che ho con i #metoo thriller (ormai è diventato un sottogenere) è che alla fine il messaggio è sempre lo stesso, quanto è brutto il patriarcato. E va bene, questo si sa. Non è che questa cosa comunque renda Blink Twice di Zoë Kravitz un film meno godibile.

Il film inizia con un trigger warning “violenza sessuale” molto esplicito. Poi prosegue per quasi un’ora e dieci disseminando piccoli indizi inquietanti in un contesto altrimenti ricco, spensierato e lussuoso, per poi esplodere con il plot twist (che ovviamente include violenza sessuale) nell’ultima mezz’ora.

Frida (Naomi Ackie) e Jess (Alia Shawkat, l’indimenticata Maeby di Arrested Development) riescono a farsi invitare sull’isola di proprietà del miliardario Slater King (Channing Tatum), di cui Frida è da tempo invaghita. Lui è un personaggio un po’ alla Elon Musk (anche se poi – vedremo – è più alla Sean Combs), un tech bro che va in terapia per risolvere non meglio identificati tormenti interiori.

La vita sull’isola è più che perfetta, finché l’accumulo di indizi inquietanti fa sì che Frida si ricordi qualcosa… e qui mi fermo. Blink Twice è un cocktail abbastanza riuscito di Promising Young Woman mescolato con Men, Get Out, Triangle od Sadness, Saltburn (nel senso che è appunto un film a tesi contro la violenza maschile e contro lo strapotere dei riccastri).

Più che altro non è nulla di nuovo sotto il sole, però è un nulla di nuovo fatto bene: Kravitz ha studiato bene la messa in scena, la scelta delle inquadrature e delle atmosfere (anche se stona un po’ il suo modo di mescolare violenza e umorismo – non sei Tarantino) ed è aiutata da ottime interpretazioni attoriali.

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