Per tutta l’estate ho dovuto aspettare di scrivere questo post, perché da noi non c’è stato il weekend americano del Barbenheimer, ossia il giorno “X” in cui Barbie e Oppenheimer sono usciti insieme consentendo a molti fan di spararsi cinque ore consecutive in sala. Quindi ho visto Barbie a fine luglio e Oppenheimer a fine agosto (momento in cui ho scattato la foto da multiplex che accompagna il post).
Poi in realtà non è vero che “aspettavo di scrivere”, dato che come ho segnalato ieri, ho avuto tre mesi di aridità creativa che ancora un po’ non riuscivo a scrivere nemmeno la lista della spesa. Comunque sia, dai. Sono riuscito a vedere entrambi i film culto del 2023, che hanno riportato la gente al cinema d’estate. E allora, chi vince?
Oppenheimer è l’ultima fatica di Christopher Nolan, un regista che a me sta cordialmente sulle palle e i cui film seguenti a Inception mi sembrano tutti un tentativo di far salire lo stuporone conditi dalla sindrome del “guarda come sono bravo“. Ma lasciamo da parte queste antipatie personali: Oppenheimer è un grande film – è grande cinema.
Infatti dura tre ore e andrebbe visto su un gigaschermo dato che è girato con cineprese IMAX. Ma a parte questo, sinceramente, è un ottimo risultato. Prendi una storia importante come quella della creazione della bomba atomica, la cuci addosso a un biopic del personaggio più controverso del tempo, la intrecci con una rappresentazione di uno smottamento della politica americana nel corso di 40 anni di Storia.
Scrivi una sceneggiatura complessa su una serie di post-it e poi con un trucco di “Prestige” li mescoli tutti sul tavolo in modo da incasinare i piani temporali e costringere lo spettatore a fare attenzionissima per non perdersi nulla, anche se butti dentro almeno 40 personaggi secondari che tanto secondari non sono.
Ti circondi di collaboratori top ai quali chiedi il meglio: Cillian Murphy sempre intensissimo, Robert Downey Jr. nel ruolo di una vita, Ludwig Goransson che ti assale le orecchie con una musica concreta allucinante che persino il mio iPhone mi ha segnalato “allerta rumore e potenziale danno all’apparato uditivo”, Hoyte Van Hoytema che si produce in un valzer tra bianco e nero, colore, astrazioni e universo quantistico.
Alla fine non può che venir fuori un film importante, coinvolgente, mai noioso (va detto), e con una certa ambizione di dire qualcosa sul nostro passato che spiega un po’ anche il nostro presente. Oppenheimer è come un icosaedro di cristallo custodito in una wunderkammer, tu ci guardi dentro e vedi mille sfaccettature diverse, lo ammiri e ti stupisci, poi esci dalla sala e devi andare su Wikipedia a cercare i nomi e le storie di tutti i personaggi (a parte J Robert Oppenheimer e Albert Einstein) perché alla fine fondamentalmente ci hai capito poco.
Barbie non è un film altrettanto imponente. Eppure secondo me è lui il vero film dell’anno, quello che ti dà da pensare per settimane dopo averlo visto, quello che è sufficientemente pop da arrivare a chiunque ma sottilmente ricco di livelli interpretativi, quello che può ambire allo status di cult movie.
A parte il fatto che Greta Gerwig e Noah Baumbach mi sono istintivamente più simpatici di Nolan, i due sono riusciti a scrivere una riedizione di Pinocchio (la bambola che diventa una donna vera) dribblando tutti gli ostacoli che il fare un film su una proprietà intellettuale così famosa poteva porre.
Certo, il film è prodotto da Mattel, ma la multinazionale del giocattolo deve aver capito che farsi prendere per il culo è la strategia vincente. Nel mondo reale, Will Ferrell è il CEO di una Mattel distopica e patriarcale, mentre a Barbieland tutte le Barbie vivono l’utopia femminista, fino a che cellulite e pensieri di morte non fanno breccia nella vita di Barbie Stereotipo. Quando Barbie e Ken (a proposito, sia Margot Robbie che Ryan Gosling sembrano nati per i rispettivi ruoli) vanno in esplorazione nel mondo reale, Ken resta folgorato dal patriarcato, che per lui vuol dire cavalli, pellicce e una mojo dojo casa house dove chillare con i suoi bro (gli altri Ken).
Vi diranno che Barbie è un film violentemente femminista e anti-uomo (come le mine, LOL). Ovviamente non è vero. Barbie è un film necessario, che ha portato nel mainstream discussioni e punti di vista sul femminismo che Gerwig e Baumbach dosano perfettamente tra una risata e un numero da musical. Sì, forse ad un certo punto c’è un monologo un po’ enfatico di America Ferrera sulla condizione della donna nel patriarcato (ma l’enfasi è un decimo rispetto a qualunque dialogo di Oppenheimer) e alcuni personaggi sono tratteggiati con l’accetta (la ragazzina antipatica, trattata un po’ come Florence Pugh in Oppenheimer, poche scene e scarso approfondimento).
Però Barbie è un film che può spostare qualcosa nel dibattito culturale presente, Oppenheimer no. E soprattutto: Barbie ha i rollerblades rosa, Oppenheimer no.