ELVIS E GLI ALTRI

Questi mesi sono stati avari di tempo e soddisfazioni, ma non ho smesso di vedere film e di annotare le mie impressioni per ricordarmeli e per presentarveli, se vi fa piacere. Questa è la tornata di settembre, a breve arriva anche quella di ottobre.

LIGHTYEAR (Angus McLane, 2022)

L’altra sera, per accontentare la Creatura, ho visto Lightyear con zero aspettative e zero interesse (diciamo che riconosco il valore dei film di Toy Story, più che altro il terzo, ma non sono mai stati tra i miei preferiti).
E invece dai, l’ho trovato gradevole. Sì, è vero, è una sorta di origin story di uno dei personaggi più pallosi dell’universo Pixar, ma si muove su un territorio diverso, più vicino a The Incredibles, fantascienza già vista ma inedita in un film animato, come se avessero sviluppato in meglio gli spezzoni alla Call of Duty di Ralph Spaccatutto.

Ci sono un sacco di strizzate d’occhio ai classici della fantascienza con la F maiuscola che capiscono solo i più grandi (Alien, 2001, Interstellar, per dire) e c’è un gatto robot che intrattiene i più piccoli (la recensione della Creatura infatti è “meno male che c’è il gattino, io seguo solo lui”). C’è anche una sequenza a montaggio verso l’inizio del film che – maledetta Pixar – fa di nuovo lo scherzetto dell’inizio di Up.

La storia in brevissimo: Lightyear è uno space ranger che vive di sensi di colpa per aver condannato un equipaggio di centinaia di persone a vivere su un pianeta ostile. Prova quindi in tutti i modi a recuperare la velocità smodata™️ con la quale l’astronave potrebbe portare tutti a casa. Ogni giro di prova che lui fa per testare nuovi carburanti dura 4 minuti per lui e 4 anni per chi rimane ad aspettarlo. Seguono paradossi temporali, invasioni robot e un cattivo inedito e molto convincente.

Si spara molto, per essere un film Pixar, quindi boh se come me avete bambini che aborrono l’uso delle armi magari potete saltarlo. Comunque non è affatto male. #recensioniflash

THOR: LOVE AND THUNDER (Taika Waititi, 2022)

Impossibile non definire Thor: Love and Thunder una gigantesca cacat… ehm, baracconata. Eppure, il film si fa amare (se siete fan del personaggio) proprio per alcune delle sue trovate più tamarre o surreali (le capre urlanti, o la colonna sonora nella sua interezza, per dire).

Il personaggio più centrato del film è sicuramente Gorr il macellatore di dèi (un nome fottutamente jackkirbyano), interpretato da un Christian Bale esageratamente sopra le righe ma anche unico vero personaggio tragico della storia (anche Jane Foster lo è, ma è meno incisiva).

E niente, è uno di quei film di Taika Waititi fatti con i soldi (e si vede) ma un po’ meno belli di altri film di Taika Waititi fatti con meno soldi. C’è tutto quello che i fan Marvel vogliono vedere e si continua nel filone un po’ smargiasso di Ragnarok, suonando un po’ sempre lo stesso tasto. Non c’è molto altro da dire. #recensioniflash

PINOCCHIO (Robert Zemeckis, 2022)

Il peggior live action Disney mai visto? Finora, tristemente, sì. L’unico credito che dò a Zemeckis per questo orribile pastrocchio è l’aver riportato la storia in Italia e precisamente nei dintorni di Siena. Per il resto, dio mio, che papocchio.

D’accordo, non è un film di Marco Bellocchio, ma un guizzo creativo in più non avrebbe guastato. Il Pinocchio di questo film è volutamente identico (ma in 3D) a quello del 1940. Le canzoni nuove sono orribili e quelle vecchie rifatte in modo moderno e corretto, ma poco appetibile.

Geppetto (Tom Hanks) è caratterizzato come un anziano un po’ svitato che ha perso il suo marmocchio e costruisce un burattino come surrogato del vero figlio che aveva (assolutamente non necessario e non in linea con il Pinocchio di Collodi). Alcune creature in CGI sono sinceramente imbarazzanti (il gallo e la volpe su tutti, ma anche il grillo non scherza un cazzo). Nel paese dei balocchi non si fuma ma si beve birra (vabbè). Il concetto di easter egg disseminate negli orologi a cucù di Geppetto è tristissimo.

Insomma, imbarazzante, cringe, tempo perso. #recensioniflash

GULLIVER’S TRAVELS (Dave Fleischer, 1939)

La curiosità è questa. Ma nel tempo intercorso tra Biancaneve e Pinocchio, momento di massima fioritura e di alacre lavoro degli studi Disney, esisteva qualche altro pazzo che aveva pensato di fare un lungometraggio di animazione? Ovviamente sì: Max e Dave Fleischer!

Gulliver’s Travels si trova tutto su YouTube, è bellissimo (se vi piace quel periodo di storia dell’animazione) ed è ovviamente molto diverso dal canone Disney. Più cattivo, più surreale, più “deformato” (in alcuni personaggi) e più realistico in altri (tipo Gulliver stesso).

Alcune scene sono famose ancora oggi, anche se non le avete mai viste forse potreste riconoscerle (Gulliver che si libera dai lacci, Gulliver che parla col re lillupuziano). La cosa strana del film è appunto la giustapposizione all’interno dello stesso lungometraggio di due diversi stili di animazione, uno dedicato a Gulliver che è al limite del rotoscoping e uno dedicato ai lillupuziani, al limite del rubber hose animation.

A Disney, con Biancaneve da un lato e i sette nani dall’altro, questa commistione era venuta decisamente meglio. #recensioniflash

MEMORIA (Apichatpong Weerasethakul, 2022)

Mi è un po’ difficile parlare di Memoria di Apichatpong Weerasethakul (ovviamente ho copincollato il nome, non crederete mica che sappia scriverlo da solo). Si tratta di un film misterioso, una detective story, nientemeno, dove però l’investigazione si basa essenzialmente su un… rumore.

All’inizio Tilda Swinton, inglese espatriata a Bogotà, sente un rumore durante la notte, si sveglia e si chiede “ma stanno ristrutturando nell’appartamento a fianco?” (ovviamente no, non stanno ristrutturando). Poi tipo di colpo tutti gli antifurti delle macchine di un parcheggio iniziano a suonare di colpo insieme. Poi smettono (dopo due minuti buoni di piano sequenza con antifurti a palla).

Poi scopriamo che Tilda sente spesso questo tonfo (e lo sente solo lei). Curioser and curioser, come direbbe Alice Liddell. Tilda consulta un ingegnere del suono, forse parte una sorta di storia romantica, non è molto chiaro.

L’investigazione prosegue, e Tilda si ritrova nella foresta amazzonica a casa di un pescatore che si chiama come l’ingegnere del suono (e potrebbe essere un suo doppio nel multiverso) e ha con lui un’esperienza extracorporea o di premorte o salcazzo che ci fa capire che il tonfo potrebbe essere un rumore che viene dal passato e riverbera nel presente… o addirittura, come nell’inquadratura finale del film che non voglio spoilerare perché è uno dei WTF più enormi della storia del cinema), dal futuro!

Comunque sia, fidatevi che è un gran film, non a caso ha vinto a Cannes, però non è il classico film da consumo veloce. Richiede attenzione, partecipazione, meditazione, e un po’ di sostanze stupefacenti non guastano. #recensioniflash

LAST AND FIRST MEN (Jòhann Jòhansson, 2018)

Last and First Men è un film che trovate solo su Mubi, e solo se cercate veramente bene. È un film con Tilda Swinton, e io l’ho guardato per quello. Ma Tilda in realtà è solo la voce narrante. Il film, in realtà, è una sequenza infinita di inquadrature di architettura brutalista yugoslava. E basta.

Il film segna il debutto alla regia di Jòhann Jòhannsson (il compositore islandese) che però è morto dopo averlo terminato. Mi viene da dire che me lo aspettavo. Le musiche sono dello stesso regista e sono ovviamente ipnotiche, angoscianti, a tratti soporifere.

È dura arrivare alla fine (e capirci qualcosa). Last and First Men (che Wikipedia sostiene essere tratto da un romanzo di fantascienza degli anni ’30) non è un film per tutti. Però le immagini sono molto belle, e se non riuscite a prendere sonno è meglio di un Roipnol. #recensioniflash

ELVIS (Baz Luhrmann, 2022)

Baz Luhrmann ci ha da sempre abituato a film ipertrofici, barocchi e postmoderni, ed Elvis ovviamente non fa differenza. Confrontandosi con il Mito con la M maiuscola, il regista non perde la sua “mano pesante” e confeziona un biopic a doppio taglio in cui la storia personale di Elvis si intreccia con quella del demoniaco colonnello Parker (Tom Hanks) – il vero deus ex machina e narratore della storia – che apre e chiude le danze dal suo letto di morte.

Da Tupelo a Beale Street, da Graceland a Las Vegas, la storia di Elvis come tutti la conosciamo si dipana tra un colpo d’anca di Austin Butler e uno sguardo diabolico di Tom Hanks. Luhrmann ovviamente spinge il pedale al massimo, divide lo schermo, mette in scena tic, droghe, musica e luci, si prende qualche libertà con lo speciale ’68 Comeback e chiude con una morte fuori campo.

In mezzo, la nascita del merchandising, la tensione poi replicata da ogni rockstar tra indie e mainstream, il grande gioco del gossip, le droghe, lo show che must go on, la (Memphis) Mafia, il gioco d’azzardo, il TCB (Taking Care of Business), Gladys e Priscilla vittime degli eventi. Un film-mostro di due ore e quaranta che ha l’aspetto di un incubo americano e che rimane negli occhi per un bel po’ dopo che si sono spente le luci. #recensioniflash

I USED TO BE FAMOUS (Eddie Sternberg, 2022)

Netflix fa leva sulla nostalgia (la mia almeno) per un periodo di synth pop e boy band con questa storia di un tizio che appunto era in una boy band e poi 20 anni dopo finisce a suonare la tastiera in strada e/o a bussare alle porte dei pub per vedere se può alzare qualche sterlina.

Mentre è lì che armeggia con la tastiera un bel giorno gli si avvicina un teenager autistico che lo segue facendo percussioni su un bidone ed ecco che scatta la scintilla: i due potrebbero diventare un duo (e in effetti lo diventano) e smuovere le folle di South London.

Come avrete capito è un film a tratti un po’ sentimentalistico sull’amicizia vera, su suonare insieme e sul potere della musica, e dell’amicizia, sul rapportarsi con persone neurodiverse (l’attore stesso è nello spettro autistico) e via dicendo.

Però devo dirvi che l’ho trovato ben fatto, per nulla ricattatorio e poi ha delle bellissime musiche e un finale non troppo prevedibile. Quindi, consigliato. #recensioniflash

IL GRIDO (Michelangelo Antonioni, 1957)

A un certo punto quest’autunno mi è preso il trip di vedere tutto l’Antonioni possibile su Mubi, e in particolare film che non avevo mai visto, come quelli precedenti a L’avventura. Il Grido, nella fattispecie, è il film perfetto per rallegrare una giornata piovosa.

Scherzi a parte, non voglio mettermi qui a dirvi quanto vale la pena vederlo, è un capolavoro a metà strada tra neorealismo e disagio esistenziale tipico dell’Antonioni più tardo, è la storia di Aldo, operaio la cui vita va sempre più alla deriva in senso sentimentale, professionale, esistenziale. La moglie Irma lo lascia e lui se ne va con la bambina in un vagabondaggio nelle terre del Po (teatro del primo documentario di Antonioni stesso) fino all’inevitabile finale.

Le feste, i balli, il sesso, le possibilità di lavoro, il fango, gli argini, gli incontri, tutto è svuotato di senso e si completa nel “grido” finale. Curiosa, almeno per me che non lo avevo mai visto, l’applicazione del “neorealismo interiore” alla classe operaia. #recensioniflash

DRIFTING HOME (Hiroyasu Ishida, 2022)

Mi è piaciuto molto questo anime su Netflix che parte da una premessa molto disaster movie (un palazzo in rovina si ritrova misteriosamente in mezzo all’oceano e il gruppo di bambini che è nel palazzo deve sopravvivere tra tempeste e navigazione, trovando cibo e aiutandosi tra loro) ma che ovviamente è il pretesto per una storia di passaggio dall’infanzia all’età adulta (o più adulta diciamo).

Kosuke e Matsume sono come fratello e sorella, ma qualcosa di misterioso li ha allontanati. Si tratta della morte del nonno di Kosuke (che era come un nonno anche per Natsume, che era stata accolta nella famiglia pur non facendone parte). Il nonno abitava in un complesso di appartamenti che sta per essere demolito e i ragazzi, seguiti da un gruppetto di amici, vanno a visitarlo un po’ per sfida, un po’ per curiosità.

Da lì in poi la logica fantastica del film prende il sopravvento, ovviamente poi nel palazzo c’è anche uno strano ma rassicurante bambino fantasma albero, e tutto l’equipaggio dovrà capire come tornare a casa.

Il film si perde spesso in lungaggini che probabilmente allo spettatore occidentale potrebbero sembrare inutili, ma dopo un paio d’ore arriva al punto. Visivamente comunque è una gioia per gli occhi. #recensioniflash