LO ZEN E L’ARTE DELLA MANUTENZIONE DELLA MOTOCICLETTA

Oltre ad essere un libro tra i più amati e riletti nella mia libreria, è anche storia recente per me. Del furto dello scooter i miei venticinque lettori sono già a conoscenza. Ma in questo fine settimana, forse per la prima volta dopo più di un anno di continue mazzate, qualcosa ha girato per il verso giusto. Nel garage di casa dei miei giaceva inutilizzata da un anno o poco più la Yamaha Virago dall’improbabile color caffelatte di mio padre. Per precauzione avevo smontato la batteria l’inverno scorso. "Perché non provarci?", mi sono detto… "Cosa vuoi che sia, in fondo… D’accordo, ha le marce, ma del resto non ho forse preso la patente A solo da un anno e mezzo?"… Detto fatto, mi avvento con brugole, cacciaviti e chiavi inglesi sulla Yamaha, rimonto il rimontabile e tento il jump start con i cavi. Al dodicesimo tentativo il motore parte. Sudato e gioioso stacco i cavi, parcheggio l’auto che mi è servita per dare la carica, salgo in sella, metto la prima e… La moto si pianta e non parte più. "Positività" – mi dico – "Riproveremo domani". E nell’assolato sabato mattina, previa visita scaramantica al luogo dove mio padre riposa, ritento l’intera procedura con mano più fiduciosa, lasciando la frizione molto, molto più lentamente. E la moto parte, ruggisce e si fa i suoi primi trenta km dopo un lungo periodo di inattività. Inevitabile la decisione di portarla a Torino. Prima un controllo professionale, certo. Prima l’acquisto di un casco e di un paio di accessori imprescindibili (leggi: borse laterali semirigide e retina portaoggetti). Ma dalla prossima settimana mi vedrete per la strada in versione Capitan America, garantito!

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PENA DI VIVERE COSI’ (NOVELLA DI GRANDE TRAGICO UMORISMO)

Ultimamente fatico anche a raccontarvi i cazzi miei, anche perché mi sembra sempre il solito sbattere contro il solito muro (di gomma). Insomma: siamo io, Léaud e il Mionico che decidiamo di fare il weekend da scapoli, "come dieci anni fa". Che poi ogni anno facciamo un weekend del genere. Così, tanto per fare un giro, stare insieme, sparar due cazzate e sversarci un po’. Solo che a 26 anni significava svariare in allegria senza deviare troppo dalla quotidianità (che era fatta preponderantemente di cazzeggio). A 36 significa fare qualcosa di assolutamente deviante. Cioè, non abbiamo più il fisico. Nella ridente cittadina di Villefranche sur mer, tra Nizza e Monaco, i nostri eroi sguazzano, guidano, visitano musei, si rilassano… E poi tornano a casa devastati, ustionati, più stanchi di prima. Possibile? Certo, si invecchia. Poi soprattutto se uno si addormenta sotto il sole dalle 13 alle 15 le conseguenze si vedono, si sentono e si toccano… Poi ancora di più se appena tornato devi improvvisamente partecipare all’ennesimo funerale… Insomma. Qui si lotta quotidianamente contro tutto e contro tutti per strappare quei momenti di felicità che – io credo – tutti ci meritiamo. Forse a 26 anni ero ancora convinto che la felicità fosse uno stato normale, garantito per la vita. Ora quantomeno so che me la devo guadagnare. E devo anche farmela bastare. Dicono che le cose che ti sudi te le godi di più… Sarà vero?

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CAN CHE ABBAIA NON MORDE (ORGOGLIO PEDOFILO)

Amo le quindicenni, mi fanno impazzire. Beninteso, mi limito a guardarle da lontano, anche se a volte vorrei che fossero loro ad approcciarmi (io sono troppo timido, sapete… oppure risulterei una sorta di maniaco sessuale). Capisco che molti potrebbero scambiare questa mia passione per una perversione, perciò mettiamo subito in chiaro una cosa: io amo tutte le donne, giovani e mature, bionde, rosse e brune, belle e meno belle, purché abbiano quel tanto di carattere e quel tanto di sfrontatezza mediterranea (leggi: un bel paio di… curve nei punti giusti). Ma le quindicenni hanno quella marcia in più che attira la mia attenzione. Delle quindicenni io adoro il modo di portare la maglia a scoprire l’ombelico, estate e inverno, incuranti della colite. Il modo di portare i pantaloni, che scopre sempre quella parte del corpo femminile che è tra le mie preferite (le due fossettine in corrispondenza delle vertebre lombari). Nella migliore delle ipotesi, la moda giovane scopre anche mezze natiche, il che fa la gioia dei lolita-addicted. Le quindicenni si truccano pesantemente, come a dire "vedi che sono una donna fatta"? Questo mi piace molto, ma ancora di più adoro la quindicenne che di truccarsi non ha voglia, perché è dedita totalmente alla pallavolo e/o al nuoto (non sopporto invece le quindicenni dedite alla danza classica, in genere troppo "secche"). La quindicenne dei miei sogni ha lo zainetto Invicta con le scritte UniPosca, ma non mette lucchetti sui ponti (lo so, è una creatura immaginaria, ma lasciatemi fantasticare). Soffro moltissimo per il fatto che le quindicenni di quando ero più giovane non erano come le quindicenni di oggi (la mia passione per le quindicenni risale a quando avevo 10 anni). Cioè, le quindicenni ti cagano se hai 18-19 anni, e all’epoca (per intenderci) nessuna quindicenne "ci stava". Cioè, non ci stava con me. Le quindicenni poi diventano diciottenni. Ma mi piacciono lo stesso. Anzi, io per l’appunto sto con due diciottenni. Una è casinara, ride sempre, è esuberante a tavola e in camera da letto ed è la persona più altruista del mondo. L’altra è un po’ ombrosa, quasi sempre incazzata, parla poco ma sa essere molto affascinante. Entrambe convivono nel corpo della mia signora moglie, che a sua volta sostiene di aver sposato tre dodicenni… Il che non è bello, dato che i dodicenni non riescono mai a far colpo sulle diciottenni. Per quanto.

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