THE WHALE PER ME È UN NI

Sto ancora cercando di decidere se The Whale mi è piaciuto o no. Normalmente apprezzo Darren Aronofsky, nonostante la sua propensione all’entomologia cinematografica (o forse proprio per quello). Aronofsky a mio avviso fa film molto freddi che coinvolgono testa e stomaco ma quasi mai il cuore (il quasi è per The Wrestler). Anche in The Whale c’è sicuramente “bisogno di cuore”, il film sembra costruito per entrare in empatia con il protagonista e invece… ni. Ma intanto, il trailer.

Brendan Fraser (bravissimo) si porta a casa il ruolo di una vita e ovviamente l’Oscar per una interpretazione in “fat suit” che di solito viene usato per scopi comici e che invece qui è portata all’apice drammatico (il “fat suit” è la tutona + effetti prostetici che sta al fat shaming come la blackface sta al razzismo). Sadie Sink è perfetta nel ruolo della figlia adolescente incattivita e Hong Chau (già vista in The Menu) nel ruolo dell’amica infermiera che accudisce il protagonista.

Il problema forse sta in una messa in scena claustrofobica (ok, ci sta, è comunque un testo teatrale), poco illuminata, virata su colori freddi e sgranata (ok, è un film A24, è pure in 4:3, però questo allontana l’identificazione) e su un’insistenza per me troppo ambigua su tutti gli aspetti più sordidi della condizione di Charlie, il protagonista (lo vediamo sempre che si masturba, che si ingozza, che vomita, che soffoca, che suda, che ondeggia per casa, che si lava con difficoltà) che non capisci se voglia creare empatia (e se l’intento era quello per me è fallito) o stigma (non penso, ma l’ambiguità resta).

Un tempo questo tipo di film si definiva exploitation, nel senso che “sfrutta” un gimmick clamoroso (la grande obesità) per costruirci su una trama tanto semplice quanto diretta: Charlie sta per morire, la figlia Ellie lo va a trovare, lui cerca di riallacciare il rapporto interrotto otto anni prima quando lui ha abbandonato la famiglia per inseguire un amore gay. Tra Charlie e la figlia si inseriscono i personaggi di Liz (l’amica infermiera nonché sorella dell’amante ormai defunto di Charlie) e di Thomas, un ragazzo che vuole far scoprire a Charlie l’amore di Gesù. Entrambi i personaggi di Liz e Thomas sono sostanzialmente delle funzioni narrative che servono a fare gli spiegoni, C’è questo parallelismo con Moby Dick che viene portato avanti per tutto il film fino ad un finale… molto Aronofsky.

Vabbè, sono contento di averlo visto ma non lo rivedrei un’altra volta, diciamo. Sta più sul versante Mother! / Black Swan che sul versante The Wrestler / Requiem for a Dream, per me.