L’HORROR ITALIANO QUANDO NON ERA MUMMIFICATO

Che godimento quando riesci a scoprire una perla nascosta nelle pieghe del tempo, dopo averla rincorsa per più di un mese…! L’ho ordinato tempo fa e finalmente è arrivato, La maschera del demonio di Mario Bava, in edizione doppio DVD della Ripley’s Home Video (secondo me l’unico studio italiano di authoring DVD degno di questo nome, che ha editato Herzog e Wenders tra gli altri). Il film di Bava per me era un mito da sempre conosciuto ma mai vissuto. L’horror italiano nasce con La maschera del demonio, un ibrido strano tra atmosfere gotiche e romanzo ottocentesco, influenzato dall’horror classico ma innovativo nei suoi artigianali eppure efficacissimi effetti protosplatter. Oserei dire una spanna sopra le coeve produzioni di Corman e quelle inglesi targate Hammer: Bava nasceva come direttore della fotografia e il suo film d’esordio è tutto giocato sui contrasti di luce, sul gusto per l’inquadratura, sull’illuminazione espressiva dei volti, degli occhi… soprattutto sulle ombre, come ogni buon horror che si rispetti. La storia, basata su un racconto di Gogol, è quella di un’antica maledizione lanciata da una strega-vampira su una famiglia della Moldavia. Barbara Steele viene subito consacrata icona assoluta del genere, nel suo magico doppio ruolo di vittima polposa e strega perfidissima e sfigurata. I primi dieci minuti dei film, prima dei titoli di testa, sono più potenti del 90% degli horror attuali. Nel secondo DVD, ricco di speciali, spicca un bel documentario che copre tutta la produzione di Bava, "maestro del macabro", fino al 1976 – anno del suo ultimo film. Intanto, il testimone era passato a Dario Argento, al figlio Lamberto e – in tempi più recenti – a Michele Soavi. Da almeno 15 anni, purtroppo, l’horror italiano è mummificato. Aspettiamo ancora un nuovo erede…