Proseguiamo con i listoni della morte, stavolta vi consiglio i 20 dischi (secondo il mio insindacabile giudizio) più rappresentativi dell’anno. Siccome io sono una persona a) di bocca (anzi di orecchio) abbastanza buona e b) ho gusti parecchio ma veramente parecchio eclettici, qualcosa che vi può piacere lo trovate senz’altro. Ho cercato di ridurre a venti perché ne avevo una cinquantina ma forse poi vi annoiavate. Essendo stata un’annata inaspettatamente buona anche per il Belpaese, ho fatto un mischione di roba italiana e internazionale. Enjoy, sapendo che ogni link vi porta al corrispettivo album su Spotify!
IRA (iosonouncane)
Certamente album migliore dell’anno per la musica italiana e – mi voglio rovinare – anche internazionale, perché questo amalgama sonoro plurilingue, ipnotico, coinvolgente e densissimo è una roba che ti lascia senza fiato. Due ore piene di sonorità a volte claustrofobiche, a volte estasianti, più spesso inesplicabili. Da ascoltare e riascoltare ma – diciamo – non in auto o come sottofondo sonoro.
Sometimes I Might Be Introvert (Little Simz)
Tra i due litiganti (Drake e Kanye) la terza (Little Simz) gode. Il miglior album hip-hop dell’anno è dell’artista londinese dal flow assassino che spazia dal grime al soul all’afrobeat con una sicurezza incredibile. Point and Kill è in heavy rotation su tutti i miei dispositivi da quando è uscita, per dire.
Fatigue (L’Rain)
Scoperta dal vivo per caso a Club2Club, L’Rain (Taja Cheek) da Brooklyn ha confezionato un album perfetto per l’era pandemica, tra frammenti di free jazz, rumorismo, ambient, beat hip-hop low-fi, gospel e neo-soul. Fatigue è la fatica accumulata negli ultimi due anni, che qui si sente tutta e viene trasfigurata.
Magica Musica (Venerus)
Venerus ha fatto il miracolo di portare nella musica italiana un mix di avant-pop, soul ed elettronica che finora avevamo sentito arrivare solo dai paesi anglofoni. Magica musica è un album denso, senza un suono fuoriposto, con una produzione incredibile (di Mace) e con momenti irresistibili (io ho un debole per “Fuori fuori fuori” e “Sei acqua”).
Song Machine S1 Strange Dayz (Gorillaz)
Sì, ho barato, quest’album è del 2020 ma ha contraddistinto per me questo anno assurdo con le sue canzoni sghembe e con il singolo di traino cantato dal mio amatissimo Robert Smith, sempre in forma. Strange Dayz, proprio come quelli che abbiamo vissuto in questi mesi.
OBE (Mace)
Mace è il producer più interessante che abbiamo in Italia, e il suo album OBE (Out of Body Experience) è lì a dimostrarlo. Molti featuring interessanti (Venerus, Blanco, Salmo, Chiello, Gemitaiz, Rkomi, Ketama126, Guè, Madame, per fare alcuni nomi) ma soprattutto un superamento della trap in favore di un pop italiano elettronico e urban veramente adulto.
Donda (Kanye West)
Impossibile non averlo ascoltato quest’anno. Il decimo album di Kanye ha una durata smisurata, è tutto nero (a lutto) ed è dedicato alla madre morta Donda. Detto ciò, è un’opera intensa e a volte un po’ avvitata su sé stessa ma che si fa ascoltare e riascoltare per trovare nuove sfumature. E poi è sempre Kanye.
Colourgrade (Tirzah)
Ancora meno strutturato di Devotion, il nuovo album di Tirzah è super intimista, un acquerello elettronico sognante e crepuscolare. Sentito dal vivo è come essere avvolto da una coperta calda e morbidosa, che ha un profumo strano e un po’ intossicante.
La terza estate dell’amore (Cosmo)
Cosmo ha fatto un disco che magari non è il suo migliore ma è un manifesto di resistenza corporale ed elettronica al distanziamento sociale. Con i suoi beat, la sua voglia di ballare e le sue melodie sempre appiccicose questo album vuole farci tornare a sudare, a stare insieme e a vivere appunto una “terza estate dell’amore”. Io faccio tantissimo il tifo per lui.
Friends that Break Your Heart (James Blake)
Siamo sempre in territorio urban / electronica / cantautorato intimista, e qui James Blake mi sta basso in classifica perché questo album non è un capolavoro come Assume Form e la forma-canzone se vogliamo è “più tradizionale” e vira alla semplicità del folk. Però bello.
Daddy’s Home (St. Vincent)
Annie Clark ha fatto il sorpresone dell’anno confezionando un album filologicamente rock blues di matrice seventies. Cioè, sembra un’altra artista del tutto. Ma la cosa non è poi negativa, anzi. L’album come si capisce è dedicato al padre e riprende in tutto e per tutto quel tipo di rock che animava le strade di New York quando il padre era pischello. Curiosissimo.
Medioego (Inoki)
Ragazzi, è tornato Inoki dopo 7 anni di silenzio e spacca di brutto come sempre. Uno dei migliori rapper “storici” che abbiamo in Italia, qui impreziosito da produzioni del livello di Crookers, Salmo, Chris Nolan, lasciato libero di volare alto con un flow old skool sempre all’altezza della situazione.
Chemtrails over the Country Club (Lana del Rey)
Niente, per me qualunque cosa faccia Lana Del Rey è comunque un “album dell’anno”, anche se stavolta è uscita con due album (c’è anche Blue Banisters) e c’è l’imbarazzo della scelta. Lana è sempre lei, e appena parte White Dress sei conquistato e non hai più speranza.
Epsilon (Jolly Mare)
Una piccola perla poco conosciuta del panorama italiano elettronico odierno. Jolly Mare (il pugliese Fabrizio Martina) confeziona un album ricco di groove, funky e psichedelia, appoggiato su tappeti di synth che ricordano a volte Tony Esposito, altre volte Franco Battiato, più spesso Tullio de Piscopo se avesse incontrato i Kraftwerk. Tutta l’estate ho sentito solo questo.
Noi, loro, gli altri (Marracash)
Arriva a fine anno e sbaraglia il rap italiano con un nuovo disco che magari non è totale come Persona, ma è comunque la dimostrazione che Marra è veramente il king del rap. Testi intelligenti, storie che si fanno seguire, e una punta di nostalgia nineties per il pop di Infinite Love con Guè, che è la mia canzone di Natale.
Montero (Lil Nas X)
Ho visto il futuro del pop e il suo nome è… vabbè, dai, Lil Nas X può piacere o meno. Per me è un fenomeno assoluto. Chiaramente come tutti i fenomeni pop è un prodotto multimediale in cui la musica è solo uno dei molti componenti, e tuttavia Montero è un album piacevole ed è ideale per capire dove sta andando il pop nel 2021.
Carnage (Nick Cave / Warren Ellis)
Il mio amore per Nick Cave non scema nemmeno di fronte a Carnage, l’album della pandemia. Più difficile di Ghosteen, o forse semplicemente difficile in modo diverso, questo è l’album dove “& The Bad Seeds” scompare in favore di “& Warren Ellis”, e infatti le sonorità sono molto più secche. Però è un must.
Madame (Madame)
Madame per me è una sorpresa continua, e vorrei dire che – piaccia o no – è una delle poche performer italiane che riconosci al volo qualsiasi cosa faccia. L’album d’esordio ha qualche piccola caduta (ci stava magari mettere meno pezzi) ma fa veramente ben sperare per un’artista che rappresenta bene il nostro panorama urban.
Happier than Ever (Billie Eilish)
Billie è cresciuta e si muove in territorio pop/urban con una consapevolezza incredibile, aiutata dal fratello produttore (ma testi e musiche sono suoi). Ci sono ancora episodi electro che richiamano il primo album ma ora ci sono anche sonorità più mature che vanno dalla psichedelia a broadway passando per la bossa nova (!!!). Adorabile.
Promises (Floating Points / Pharoah Sanders / London Symphony Orchestra)
Fuori da ogni schema, potrebbe essere al ventesimo come al primo posto assoluto, l’outsider di questa lista è un disco etereo e paradisiaco, che mescola il jazz del saxofonista ottantenne Pharoah Sanders con l’elettronica di Floating Points. Una suite unica in 9 movimenti accompagnata dalla London Symphony Orchestra da ascoltare con attenzione e in stato meditativo (meglio di notte al buio). Adatto a chi vuole sentire qualcosa di assolutamente nuovo e al tempo stesso antichissimo.