DUE FILM TAMARRI CHE HO VISTO

I film tamarri non mi sono mai dispiaciuti. Nonostante abbia la fama di colto cinefilo che “ama François Truffaut e Billy Wilder”, come sta scritto sul retro di copertina del mio unico libro. Cioè, è vero, per carità. Io mi entusiasmo per sequenze come questa, questa, questa o questa. Ma non dico mai di no alla santa trinità tamarra “donne, motori e pistole“. Se ci sono le donne è matematica la scena dell’amplesso; se ci sono i motori è d’uopo l’inseguimento interminabile; se ci son le pistole (o meglio i mitra) non si sfugge dalla sparatoria. Poi quando finiscono i proiettili si può passare a farsi il culo a mani nude. Sesso, velocità e ultraviolenza. Questo è quello che chiediamo ai film tamarri.

Ma non sempre il film tamarro ci accontenta. Intanto, per dirne una, il sesso passa sempre di più in cavalleria. La maggior parte dei film tamarri sono americani, e loro non amano “la visione della figa da vicino”. Perciò dobbiamo accontentarci di gran gnocche semisvestite ma quasi mai in azione. Inutile ricordare i bei tempi del grindhouse. Ormai va così. Sugli inseguimenti e le ammazzatine, invece, si può sempre contare. Perché se i giovani virgulti non devono pensare a trombare, possono e anzi devono pensare a come organizzare il loro piccolo genocidio privato.

Recentemente, il film tamarro vuole elevarsi a genere “nobile”, incorporando storie complicate, frammentazione della narrazione, gusto postmoderno, etc. Non è questo il film tamarro che vogliamo. Il vero film tamarro, come il porno, ha una trama molto elementare e basa tutto il suo appeal sulla velocità e sulla violenza. Ebbene, amanti del film tamarro, ho appena recuperato due perle di rara tamarriade che non potranno non farvi saltare sulla sedia: Death Race dell’ineffabile Paul W.S. Anderson e Doomsday di Neil Marshall.

In Death Race (remake di un poderoso Corman d’annata) c’è il poliziotto sfigato che gli uccidono la moglie e lui va in una prigione futuribile dove organizzano nientepopodimeno che la Death Race. In questa corsa della morte ci sono i più zozzi criminali del comprensorio che gareggiano a chi si impala o si decapita più fantasiosamente. Si vedono più interiora che esteriora, e le macchine sono conciate un po’ come nel buon vecchio Wacky Races (manca solo Muttley). Sulla pista interna al carcere ci sono anche i punti di attivazione armi o scudi di protezione. Anderson non riesce proprio a non buttarla sul videogame. Ci sono diversi one-liner non da poco e poi c’è Jason Statham, che è un po’ lo Steven Seagal dei giorni nostri.

Doomsday invece è descrivibile con la tecnica del “meet” (ricorda X incrociato con Y). Doomsday è 1997 Fuga da NY meets Interceptor meets Timeline meets 28 giorni dopo meets Virus Letale. Pur essendo derivativo abbestia, Doomsday è una totale gioia per gli occhi. Dove altro trovi, nel 2009, punk cattivi coi crestoni, i tatuaggi e i piercing che si dedicano al cannibalismo, alla decapitazione rituale e alla tortura con frullo di lingua annesso? (La scena di tortura con frullo di lingua alla Gene Simmons è quello che distingue un film tamarro da un normale film drammatico). C’è uno Snake Plissken donna – molto gnocca – che va in Scozia (la Scozia ovviamente è una terra di nessuno isolata e devastata dal virus dove ci stanno solo i peggio punx) e scopre che in realtà una delle tribù di punx vive in un castello alla foggia medievale. Alla fine, vi dico solo che c’è l’inseguimento topico accompagnato da Two Tribes dei FGTH.

Mi ringrazierete per avervi consigliato di recuperare queste due perle della passata stagione, lo so. Intanto preparate il popcorn e innaffiatelo di ketchup e maionese.
Vi sembrerà materia cerebrale. Yuk!

VAMPIRE EVANGELIST

Facciamo che questo è un breve post di servizio. Facciamo che non sbuffate se mi ripeto un po’. Il punto è che ho deciso di diventare l’evangelist italiano di Let the right one in, il film di cui vi ho già parlato un paio di post fa. Premetto che il film è tratto dal libro omonimo (in italiano “Lasciami entrare”, Marsilio) di John Ajvide Lindqvist, di cui ho già disquisito su Anobii dopo averlo letto tutto d’un fiato.

Cos’altro dire per attirarvi nella rete. Si tratta di un film europeo, o per meglio dire… non omologato agli standard del film hollywoodiano. Rarefatto come un film muto, carico di primi piani molto intensi e significativi, ellittico e dubbioso senza essere criptico. Non è (troppo) splatter, ma trattandosi di vampiri, di sangue se ne vede abbastanza e il fan horror medio sarà soddisfatto. Non è (troppo) strappalacrime, ma è decisamente un mélo, soprattutto quando consideriamo che la piccola vampira si esprime con frasi tratte da Romeo e Giulietta, e ho detto tutto. Se avete avuto (circa) 12 anni nel 1982 apprezzerete ancora di più la ricostruzione storica – e poi lasciatemi dire che non c’è nulla di più triste e struggente di un paese scandinavo negli anni ’80. Posso ancora dire che il titolo è ispirato a un pezzo minore di Morrissey (“Let The Right One Slip In”) – amanti del Mozzer, fatevi avanti – e che, oltre ad una colonna sonora molto particolare, una delle scene chiave è commentata da un pezzo quasi inedito di Per Gessle (che, per gli amanti del pop svedese e non, è più conosciuto come l’uomo dei Roxette anche se nel 1982 era un giovane punk sui generis).

Io, lo sapete, non sono uno che insiste.
Ma sul serio, lasciate perdere Twilight e buttatevi su Let the Right One In.

Allora, fate così: andate a scaricarvi il film (lo so che non si dovrebbe fare, ma poi voi andate tutti a vederlo anche al cinema quando esce, no?): qui c’è il link a un torrent. Poi, siccome il film è in svedese – e vi assicuro che non è una lingua così comprensibile, vi scaricate anche i sottotitoli in italiano accuratamente compilati dal vostro affezionatissimo (ecco qui il file srt). A questo punto non avete più scuse e potete guardarvi il film in tutta tranquillità.

Al buio, mi raccomando. E poi mi dite qualcosa.

PROGRAMMAZIONE EMOZIONALE

Non so di preciso quale collaboratore di Nanni Moretti abbia curato la programmazione del TFF. Una cosa però è certa. Il tizio va santificato. Subito. Non ha nulla di umano la perfezione con la quale stamattina ha infilato all’Ambrosio una doppietta di pellicole che mi hanno colpito al cuore.

Ma andiamo con ordine. I due film in questione erano Mein Freund Aus Faro (in concorso) e Låt den Rätte Komma In (fuori concorso). Parole chiave: pubertà e lesbismo nel primo caso, pubertà e vampirismo nel secondo. Ora, essendo io un grande fan del vampirismo, del lesbismo, e soprattutto della pubertà, non potevo mancare all’appuntamento.

In due parole, Mein Freund Aus Faro è un film tedesco a tematica glbt che riesce a non cadere né nel cliché del film gay né nella tristezza del “film tedesco”. Guarda con un occhio a Boys Don’t Cry ma non esagera col mélo, mettendo in scena una storia d’amore pura e totalizzante vissuta attraverso gli occhi e il corpo di una giovane donna androgina che – innamoratasi di una ragazza conosciuta per caso – si finge maschio e per di più portoghese. Ciò che rende tutto credibile è la protagonista, che tiene sulle spalle (larghe) l’ossatura del film. E poi il ritmo, la leggerezza, la sincerità. L’impossibilità dei sentimenti.

Riguardo a Låt den Rätte Komma In, posso solo dire che raramente mi capita di vedere al cinema un film che mi coinvolge emotivamente così tanto. La storia è di per sé intrigante. Dodicenne svedese sfigato e molestato dai compagni incontra dodicenne attraente e carismatica. Peccato che lei è una vampira. Tra omicidi efferati, atmosfere lugubri (siamo nella suburra svedese anni ’80, mica cazzi) e dettagli splatter ma non troppo si sviluppa una storia d’amore sghemba, impossibile e struggente. Di più non dico, perché il film è veramente sorprendente. Uscirà in Italia a gennaio col titolo “Lasciami entrare”, ma suggerirei di vederlo in originale (si scarica facilmente l’edizione sottotitolata inglese cercando “Let the right one in”) prima che il doppiaggio e la promozione post-Twilight lo massacrino. Sappiate anche che stanno già preparando il remake made in USA, ma non riusciranno mai a cogliere la stessa atmosfera, soprattutto per quanto riguarda la recitazione perfetta dei due giovani protagonisti.

E veniamo al motivo profondo del coinvolgimento. La pubertà. Ho già scritto qui, forse, che tutto quanto segna in profondità la vita di una persona avviene tra l’undicesimo e il tredicesimo anno di età. Quando ho compiuto trentasei anni, per me era “tre volte dodici”. Perché penso che le cose significative, nella vita di un uomo, avvengano ogni dodici anni. E se penso alla mia vita, per quanto debba ammettere che in fatto di esperienze e relazioni gli anni più belli siano stati tra i diciannove e i ventinove, sul piano della vita emozionale il meglio è stato tra gli undici e i quindici anni.

A dodici anni la vita è pigra, bellissima e crudele. A dodici anni il sesso è una scoperta che attrae e spaventa. A dodici anni l’amore è perfetto, senza limiti e senza compromessi. Le sensazioni che provi quando ti innamori a dodici anni non si ripetono mai più nella vita: a quindici sei già proiettato verso la penetrazione, a venti verso il sesso seriale e a venticinque, se tutto va bene, a costruire qualcosa in comune con un partner.

Oggi è normale pensare che tutto cambia, che il mutamento è il senso della vita, che le persone così come le storie d’amore funzionano perché cambiano e si evolvono continuamente. Ma a dodici anni tutto è immobile e perfetto. Si può sperare che nulla cambi, e che “per sempre” voglia dire “per sempre così”: non crescere mai, non crescere più.

Film come quelli visti oggi riguardano le emozioni dei dodici anni. Emozioni fortissime, che ti segnano per il resto della vita, che – se riproposte – soffiano via le sovrastrutture della cosiddetta maturità e ti fanno ritrovare la parte più profonda di te. “Ma è solo un thriller/ un horror / un mélo” diranno i miei giovani lettori. Non è così. Sono film – rari – che rimangono negli occhi e nel cuore per diverse ore dopo la visione, come i sogni più vividi, quelli che non si sfilacciano al mattino.

E questo è il Cinema. Come dovrebbe essere.