NICOLAS CAGE + A24 = DREAM SCENARIO

Allora, prima di tutto, questo è un film A24 con Nicolas Cage che (garantito) a un certo punto sbrocca. Secondo poi, è un film molto alla Michel Gondry ma senza le carinerie di Gondry: qui alle redini c’è il norvegese Kristoffer Borgli alla sua opera seconda, e tutto è molto più squallido e cattivo.

In ogni caso: Nicolas è un professore di etologia che inizialmente si comporta in modo strano nei sogni della figlia. A seguire, anche i suoi allievi cominciano a sognarlo. Poi un po’ tutto il mondo comincia a sognarlo. Nei sogni Nicolas, che di norma è un professore imbolsito e molto impacciato, si comporta in modo strano e inquietante, poi in modo sempre più pazzo fino a uccidere (nei sogni) il malcapitato sognatore.

Ovviamente questo crea del disagio: nei suoi allievi traumatizzati che non vogliono più avvicinarsi a lui, in lui stesso che diventa a poco a poco una sorta di “maschera di halloween” buona per tutte le stagioni (cioè, solo per l’autunno, ma è un modo di dire, ci siamo capiti) e nello spettatore, che non capisce assolutamente dove voglia andare a parare il film.

Ma è presto detto: il film non va a parare da nessuna parte! Perché? Perché no. Così come era iniziata, subitaneamente termina la breve vita infelice nella dimensione dei sogni del nostro prof. A quel punto però tutti vorrebbero entrare nella dimensione dei sogni. Succede quindi che una startup sviluppa una tecnologia per viaggiare nei sogni delle persone, ricreando l’esperienza “Cage”. Ma non è la stessa cosa, e se ne accorgerà il nostro eroe per primo. 

Quando ho fatto vedere il film a mia moglie lei mi ha detto testualmente “Ma cosa cazzo abbiamo appena visto“. Per me, da vedere assolutamente.

TUTTI SESSATORI DI PULCINI CON MINARI

A partire da gennaio, mi sono imbarcato in una missione: guardare tutti i film A24 che mi mancano, perché sono un fanboy A24 ma sono prevalentemente orientato sull’horror, e ad esempio non avevo visto Minari di Lee Isaac Chung: una saga familiare del 2021 ambientata però negli anni ’80 in un Arkansas ruralissimo.

Minari ha vinto molti premi, ed è un film molto strano, nel senso che non scorre come ci si aspetterebbe. C’è la storia di questa famiglia di immigrati coreani (il film è tutto in coreano pur essendo prodotto in USA) in cui il padre (Steven Yeun) vuole fare il salto di qualità e diventare, da pur abilissimo sessatore di pulcini (un mestiere che ho scoperto guardando questo film) un imprenditore agricolo che coltiva e rivende prodotti coreani ai suoi connazionali immigrati.

La moglie non ci crede troppo, i figli vanno a scuola e il figlio minore ha pure un soffio al cuore difficile da curare. A un certo punto entra in scena la nonna (Yoon Yeu Jeong che ha vinto anche il Golden Globe per questa interpretazione) che instaura un rapporto molto particolare col nipotino, prima conflittuale e poi di complicità.

Ti aspetti il tema razziale, ma è solo sfiorato. Ti aspetti la tragedia, tipo che papà e mamma divorzino, la nonna muoia, il bambino muoia, ma no. Tutto è molto slice of life (oddio, la nonna ha un ictus, ma capiamo che si riprenderà). L’unica tragedia, se così si può dire, è nel finale, ma è una tragedia che riunisce tutta la famiglia e la spinge a perseverare. 

Indubbiamente uno dei film top degli ultimi anni, senza “alzare troppo la voce”.

SILENZIO, È TORNATO JOHN WOO

Buongiorno, sono John Woo, ho 77 anni e sono un regista d’azione. Per il mio ritorno dopo praticamente 20 anni al cinema mainstream americano, ho scelto di adottare il trucco del silenzio.

In pratica io me lo figuro così, John Woo, che presenta l’idea per Silent Night, il suo thriller di vendetta tremenda vendetta uscito subito prima delle feste e che io ho visto l’ultimo giorno di feste perché poi non sta bene guardare film con i maglioncini di Rudolph la Renna dal Naso Rosso dopo il 6 gennaio.

In Silent Night nessuno parla, mai. Il protagonista Joel Kinnaman (piacevolmente atterrato qui dopo Suicide Squad) perché all’inizio del film gli sparano in gola e lui invece di morire male si salva ma resta muto. Gli altri perché boh… la moglie due parolette bofonchiate le dice mentre i cattivi del film, che sono i membri delle gang rivali di Las Palomas TX, semplicemente comunicano via SMS.

Gimmick a parte, Silent Night non è come i vecchi film di John Woo – o meglio, ci sono alcune cose che richiamano quegli stilemi, tipo il pappagallino, le palle di Natale riflettenti, le tombe da abbracciare. Ma per il resto il regista cinese ha pensato fosse meglio (forte della collaborazione con i produttori di John Wick) adottare uno stile più brutale e diretto, meno estetizzante.

Il protagonista è un padre di famiglia che il giorno di Natale insegue e tenta di uccidere i membri di una gang – sapremo poi il perché – e gli sparano in gola. Dopo c’è la riabilitazione e dopo ancora – con quella magnifica e ingenua scritta sul calendario nel 24 dicembre dell’anno dopo “KILL THEM ALL” – l’intento di indagare, rintracciare, menare e uccidere dal primo all’ultimo dei cattivi.

Un po’ Giustiziere della notte (c’è un deathwish molto pronunciato, diciamolo) e un po’ John Wick, il nostro impara a scazzottare accoltellare sparare sgommare driftare – in una parola impara a diventare un action hero perdendo a poco a poco la sua umanità e trasformandosi in una sorta di Robocop (altro personaggio interpretato da Joel Kinnaman qualche anno fa).

L’ultima mezz’ora è effettivamente esaltante e il tutto finisce in un bagno di sangue e di poetic justice con un supercattivo che sembra un po’ preso di peso da Il Corvo (cioè è una macchietta assoluta).

Comunque a me è piaciuto assai, e l’ho trovato un ottimo film per accompagnare lo smontaggio dell’albero.