IL FABBRO CHE DIVENNE CAVALIERE…

Finalmente torno in sala, dopo un periodo di assenza troppo lungo. Devo confessare che, essendo sempre meno per vari problemi le occasioni di andare al cinema, alla fine vengo attirato dai filmauri, quelli che se li vedi al cinema rendono meglio (e segretamente mi odio per questo comportamento che è esattamente quello che porta ad incassare poco il cinema non di effetti speciali). Comunque sia, Kingdom of Heaven (Le Crociate). Sentimenti contrastanti, come sempre di fronte all’ultimo Ridley Scott. Grandiosa fotografia, ottima ricostruzione di ambienti. Luci affascinanti, inquadrature intense, ricche, con punti di vista classici ma anche innovativi. Storia potente (e si tratta di una storia, non tanto della Storia – secondo me giudicare questi film sulla base della verità storica è una solenne cazzata). Potente perché mette in gioco un conflitto veramente epico, sia in termini di eserciti che in termini di scelte morali. Da manuale, insomma: conflitto esterno e conflitto interno. Potrei anche azzardarmi a dire "il fabbro che divenne cavaliere, che divenne generale, che difese Gerusalemme" (ricorda qualcosa?)… Il fatto che Ridley a volte ripeta sé stesso non mi dà più di tanto fastidio (Il Gladiatore è spesso citato, nei corpo a corpo, nell’ossessione del protagonista per la terra, la polvere, l’erba, nella perdita iniziale). Quel che irrita, come sempre nei filmauri, è – ad esempio – lo sfruttamento della "formula". Se Peter Jackson ha fatto "x", adesso bisogna necessariamente fare "x+1", o almeno "x".  Nessuna originalità nell’assedio di Gerusalemme che è identico a quello di Minas Tirith. Una sequenza che lascia tutti insoddisfatti. I fan degli effettoni non ci trovano nulla di nuovo, quelli ai quali gli effettoni irritano si troveranno disgustati dai nugoli di frecce digitali. Fortunatamente la battaglia finisce (con una dissolvenza geniale), e si ritorna alla pseudo-normalità filmica. L’altra cosa che è assolutamente deleteria nei filmauri è la persistenza, nella mente dei produttori, della necessità di quelle battute che in gergo si chiamano "one-liner", quelle da supermacho che stanno da dio in Die Hard ma c’entrano come i cavoli a merenda in un dramma religioso. E Orlando Bloom, in qualità di superstar del film, ne dice almeno quattro o cinque, per contratto. Peccato, perché il suo è un ruolo tormentato e comunque affascinante, e lui è anche bravo. A volte un po’ di silenzio non guasterebbe, in luogo di dialoghi devastanti.

MORTO UN PAPA…

Morto il papa… Spiace! Anche se non sono mai stato un suo grande fan, mi accorgo ora che la sua immagine invade a forza tutti gli schermi del mondo che era comunque un tassello della (mia) realtà che sembrava non dovesse staccarsi mai…! E invece è toccato anche a lui, come a tutti. Il papa di prima non me lo ricordo nemmeno, quello che verrà non oso immaginarlo (spero non sia Ratzinger)… Sicuramente non potrà essere pacioso e imprevedibile come lui. Era comunque un’icona. Mi sa che da oggi lo sarà anche di più.

UNA SERIE DI SFORTUNATI EVENTI: IL FUNESTO FILM

Che lo spirito del Conte Olaf sia con noi! Mi sa che ci voleva un film per far decollare le vendite dei volumi di Una serie di sfortunati eventi…! Certo è che, per chi si è già divorato gli 11 volumi disponibili su 13, il film di Brad Silberling tratto dai primi tre libri (Un Infausto Inizio, La Stanza delle Serpi e La Funesta Finestra) risulta affrettato e poco soddisfacente sul piano narrativo. Gli orfani Baudelaire non sono Harry Potter (assurdo il tentativo della stampa di creare rivalità stile Beatles vs. Rolling Stones) ed è chiaro che i libri di Snicket sono molto più orientati allo stile che non alla trama: solo negli ultimi volumi i misteri si infittiscono. E allora ecco che arriva il maledetto adattamento cinematografico, quello che fa da sempre tremare i fan della parola scritta. Nel film ci sono scene mai viste nei libri (discutibili) e c’è un rimescolamento di carte narrativo (originale). Forse è vero che un film non avrebbe potuto reggere l’interesse senza qualche succoso indizio sul misterioso incendio di casa Baudelaire, ma in compenso i personaggi di contorno (Giudice Strauss, zio Monty e zia Josephine) che tanto peso hanno nei libri in quanto elemento "di rottura" che definisce la diversità di un volume rispetto ad un altro sono parecchio striminziti. Tutto questo comunque va a favore dei tre elementi più azzeccati del film: Jim Carrey sempre e comunque, in tutti i suoi geniali travestimenti; i ragazzi, molto azzeccati e in parte; le scenografie eccezionali che da sole comunicano meglio di ogni altra cosa il mood del film. Certo che questo non basta a fare un bel film se la storia zoppica… Rimanderei il giudizio ad una versione "allungata" da vedere magari in DVD. Peraltro, occhio ai titoli di coda del film (e anche a quelli di testa, se è per quello)… Tra le cose migliori viste negli ultimi anni in tema di animazione 2D e 3D…! 🙂