Fate come me: andate a vedere Harry Potter e il Calice di Fuoco con una persona che è completamente ignara dei libri di JK Rowling. E poi discutete del film insieme. Io, inevitabilmente, faccio parte della schiera di quelli che "il film mi è piaciuto ma il libro era un’altra cosa". Vediamo perché: l’aspetto critico di tutti i potter-film, non escluso questo, è la sceneggiatura. E gli va bene che hanno scelto uno dei migliori! Kloves per forza di cose sintetizza e condensa, con qualche geniale intuizione dovuta al mestiere, creando uno script dove ad ogni pagina corrisponde un evento spettacolare. Ora, io mi sono sentito a più riprese "bombardato" di eventi: succede questo, quello e quell’altro, senza stacchi, senza un attimo di respiro (un respiro che nel quarto libro cominciava a diventare veramente ampio). Sottotrame sfrondate, spiegazioni telefonate… tutto normale, alla fine. Quindi mi chiedo: come fa un ignaro babbano a capirci qualcosa? E invece, confrontandomi con il suddetto babbano, capisco che il film viene capito tutto, che delle parti poco spiegate si può fare a meno, che non viene percepito nessun "bombardamento", anzi. E’ logico: il film di successo deve essere il più possibile a rotta di collo. Il film di successo non approfondisce quasi mai gli aspetti più o meno oscuri della trama. Se lo accetti per qualunque altro film lo accetti anche per Harry Potter. Sfigati noi che abbiamo letto il libro!
Comunque, passiamo alle impressioni specifiche: sul piano tecnico il film è naturalmente superiore ai precedenti: lo dimostrano in particolare le prove del Torneo Tremaghi, veramente ben congegnate. Gli attori crescono, chi bene e chi male (non voglio far nomi…). Regista e sceneggiatore hanno trovato il giusto equilibrio tra l’azione e i sentimenti (ottima e credibile l’ira di Ron e buona anche la scena del ballo con crisi di gelosia e chiari indizi della coppia Ron/Hermione). I nuovi personaggi sono tutti molto particolari: spiccano Barty Crouch sr. (folle dall’inizio alla fine), Barty Crouch jr. (con l’inquietante tic della lingua di serpente, buona invenzione visiva), Igor Karkaroff (ambiguo quanto basta), Madame Maxime (confesso che la immaginavo un po’ più "donna cannone", invece è un’allucinante perticona troppo simile ad una mia anziana zia), i campioni Cedric Diggory, Fleur Delacour e Victor Krum (forse un po’ impacciati ma funzionali), Rita Skeeter la giornalista (uno dei personaggi più azzeccati, peccato sia stata del tutto eliminata la vicenda che vede confrontarsi lei ed Hermione), Alastor "Malocchio" Moody (Brendan Gleeson offre la miglior prova tra i nuovi attori chiamati per il quarto film). Menzione speciale al Lord Voldemort di Ralph Fiennes, assolutamente azzeccato, perfetto, geniale. Lui ruba giustamente la scena a tutti nel prefinale, in uno scenario degno dell’immaginazione di Edgar Allan Poe (e probabilmente è il motivo principale del divieto ai minori del film in vari paesi).
Cosa mi è piaciuto: Ron, sempre Ron, solo Ron; i vestiti da cerimonia; la tomba di Riddle; le Weird Sisters (il gruppo rock al ballo, formato da metà Pulp e metà Radiohead!!!); i paesaggi intorno a Hogwarts; i costumi di Durmstrang e Beauxbatons; la coppa Tremaghi, molto santo Graal; la faccia di Voldemort, il suo costume e la sua bacchetta; il fondo del lago; Maggie Smith che dà lezioni di danza. Cosa non mi è piaciuto: i denti di Neville (fate qualcosa!); la mascella di Harry (in generale spiace dire che il punto debole è sempre lui); il marchio oscuro (bah!); le mascherine dei Mangiamorte (troppo Venezia anni ’30); la mano nuova di Codaliscia. Sicuramente è un film da vedere più volte, per cogliere tanti aspetti differenti, in particolare per quel che riguarda l’art direction, sempre magistrale. Da lettore appassionato, posso solo concludere con un elenco di scene che mi piacerebbe vedere nel DVD, in ordine di apparizione: un po’ di Quidditch al campionato mondiale (anche se capisco che era la prima cosa da eliminare); un po’ di interazione in più tra Harry e Cho e tra Hermione e Krum; Rita Skeeter trasformata in insetto; la lotta coi rispettivi draghi degli altri tre campioni (anche breve, anche a scapito della lunghissima scena di Harry col suo Ungaro Spinato); una versione estesa del ricordo del processo a Karkaroff; una-scena-una che prefiguri il ricostituirsi dell’Ordine della Fenice. Poi potrebbe anche venirmi in mente qualcos’altro. Purtroppo già così sono 2 ore e mezza. Ce la potrei fare con mezz’ora in più, comunque… 😉
SPIELBERG E LA MORTE DEL CINEMA
Parliamo di Spielberg. Potete tentare anche voi questo curioso esperimento: vedere Duel e War of the Worlds uno di seguito all’altro nella stessa giornata. Spielberg è un ottimo professionista, secondo me questo non si discute. Però bene o male lui e Lucas sono anche i responsabili della deriva del cinema americano dal 1976/77 (Lo squalo + Guerre Stellari) in poi. Mi spiego meglio: i due amichetti di spiaggia californiana – oggi tra gli uomini più ricchi e pagati del mondo – hanno fatto capire a Hollywood che una major poteva guadagnare una valanga di dollari realizzando film "di serie b" con grande dispendio di mezzi e di budget. Siamo tutti d’accordo che film come quelli citati, fino all’inizio degli anni ’70 sarebbero stati un puro prodotto da drive-in, contrapposti ai più seri film drammatici o alle commedie più o meno oscarizzate. Il film di genere fatto coi soldi guadagna molto, ed è tuttora l’unico investimento che le major si sentono di fare. Non voglio dire che questo tipo di cinema sia da buttare a prescindere, perché molti film di genere hanno più livelli di lettura. Ma indubbiamente questa infantilizzazione del pubblico pagante porta ad un inevitabile abbassamento del gusto, per cui un film è valido solo se "supera" in tamarraggine quello uscito appena pochi mesi prima. Tutto questo cappellone, infine, per dire che tra Duel e War of the Worlds c’è ben poca differenza. Nel 1971 Spielberg aveva pochi soldi, nel 2005 ha un budget altissimo. Questa è l’unica diverità sostanziale. I soldi permettono a Spielberg gli effetti visivi e sonori allo stato dell’arte (e chi vede il film in DVD con un buon impianto capirà a cosa mi riferisco). I soldi gli permettono di avere due collaboratori geniali come Janusz Kaminski (direttore della fotografia preziosissimo, capace di dare un look al film che vale mille volte più della presenza di Tom Cruise) e Michael Kahn (che monta in modo magistrale). I soldi gli permettono di far scoppiare gran parte degli Stati Uniti orientali, per la gioia di grandi e piccini. Ma per il resto, la storia del commesso viaggiatore inseguito dal camion e del gruista inseguito dai tripodi sono la stessa cosa. Spielberg non fa che mettere l’uomo ordinario in circostanze eccezionali, facendo sua la lezione di Hitchcock, e lo fa (quasi) sempre da gran professionista. Sa come costruire la suspence, sa quali leve tirare. Purtroppo il problema, a volte, è che noi sappiamo che lui sa. E che lui sa che noi sappiamo che lui sa. E avanti così… all’infinito.
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MASTERS OF HORROR, IL GORE CONTINUA!
Tornano alla carica i Masters of Horror! Meno code, più relax. Stanotte era la notte di Hooper, Landis, Coscarelli. Diciamo che il festival diventa l’occasione pressoché unica di vedere il maestro Tobe Hooper all’opera. L’anno scorso fu la volta del pesissimo The Toolbox Murders. Quest’anno il mai dimenticato autore di Non aprite quella porta e Poltergeist conferma la sua svolta sempre più dark e malata, con "Dance of the Dead", un mini-capolavoro basato su uno dei migliori racconti di Matheson, musicato da Billy Corgan e interpretato tra gli altri da un deviatissimo Robert Englund. Che dire. Dopo la terza guerra mondiale i morti possono essere fatti rivivere tramite iniezioni di plasma e vengono usati come attrazioni nei locali: stimolati con scosse di corrente danzano scomposti su note grind metal in scenari degni di un clip di Marilyn Manson. Hooper risulta il più sperimentale del gruppo, con riprese, fotografia e montaggio volti a creare disorientamento ed ansia nello spettatore. John Landis si becca anche lui i suoi bravi applausi con "Deer Woman", una storia sulla falsariga del suo celebre Lupo Mannaro… che viene anche citato nel film! La donna cervo è una predatrice che uccide i suoi amanti… calpestandoli a morte! Paura e delirio, ma soprattutto grandi risate, come è tipico del grande John. Non si prende troppo sul serio, non ci è abituato. Ma alcune inquadrature rendono comunque il brivido delle leggende native americane (vedi anche Wendigo di Fessenden, visto un paio d’anni fa sempre al TFF). Don Coscarelli stupisce con l’adattamento di una delle migliori storie brevi di Joe R. Lansdale (anzi, secondo me la migliore in assoluto): "Incident on and off a mountain road". Una donna separata dal marito fanatico di armi e corsi di sopravvivenza incappa nel maniaco dei boschi (la figura dell’uomo nero qui è tratteggiata magistralmente: Coscarelli ed Argento propongono i due "mostri" migliori della serie). Ma la ragazza è determinata, e la classica situazione horror con la damigella in pericolo si ribalta ai danni del maniaco e, perché no, anche dell’ex marito… Stupri, crocifissioni e trapanamento di globi oculari fanno il resto. D’altronde Lansdale è così, prendere o lasciare, e Coscarelli ribalta la prospettiva che lo vede come il solito cazzone pop che dirige la solita serie dei Phantasm o quella nuova di zecca di Bubba Ho Tep e Bubba Nosferatu (preparatevi, sta per arrivare anche questo). Insomma grandissima soddisfazione in sala, e speriamo che escano presto i DVD – quasi tutti da collezionare!
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