LUNGO I BORDI

La piscinaL’altro giorno mi è venuta in mente questa cosa (io ogni tanto ho le epifanie in particolare su alcuni aspetti della mia coscienza): che io vivo ai margini. Anzi più precisamente: non è che vivo ai margini, ma quando posso mi ci trovo bene. Cioè, sono ben poche le cose che mi spingono a mettermi in gioco direttamente, a scendere nell’arena dell’azione, o dell’espressione. L’amore, gli amici, la famiglia. Nel tempo, per non diventare un soggetto autistico, ho imparato ad estendere di qualche metro la sfera di quello che conta.

Ma al di là di questi tre elementi fondamentali (e a volte anche in relazione a questi, quando agitano troppo le acque) mi mantengo quasi sempre lungo i bordi. Sono uno che trae più godimento nel veder agire qualcuno bravo nel suo campo piuttosto che provare io in prima persona a cimentarmi nell’azione.

Immagina questa piscina: dentro c’è molta gente che nuota, qualcuno bene, qualcuno annaspando. Ai bordi della piscina c’è altra gente che osserva. Io sono uno di quelli. Gli osservatori di norma sanno nuotare benissimo, ma preferiscono di no. Sono contenti di studiare quelli che nuotano, magari di aiutarli, incitarli o conversare con loro in un momento di pausa. Ma se possono, non si bagnano.

Aspettano, riflettono, esplorano ogni angolo della piscina, compresi gli spogliatoi, le docce, gli spalti. Poi improvvisamente ci si tuffano, si impegnano a fare quattro o cinque vasche a grandi bracciate, ma appena possibile escono di nuovo, quasi disgustati da ciò che hanno appena fatto.

Ecco, a volte mi devo buttare anche io. La vivo sempre come una forzatura: fosse per me vivrei una vita molto contemplativa. Mi piace iniziare le cose e lasciare che siano gli altri a finirle, magari con il mio aiuto fornito dall’esterno.

Più che un eroe, sono un mentore.
Peccato che quelli di solito fanno una brutta fine.

LA MIA MOTO

Oggi ho rimesso in strada la moto. Lo so, lo avevo già fatto. Durante l’inverno ogni tanto faccio qualche giro in pista, per riscaldarla.
La “pista” sarebbe il sottopassaggio di corso Spezia, dove non va mai nessuno, specialmente la domenica, e dove si può tirare a manetta e fare qualche giro in tondo.

La moto è un po’ acciaccata, ma bisogna ammetterlo, per essere una moto che tra qualche anno diventerà “storica” è bastato tirare un pochino l’aria ed è partita subito, nonostante fosse ferma in pratica dallo scorso novembre. Certo, non è stato facile tenerla accesa. Ho dovuto fare una mezza dozzina di circospetti giri dell’isolato per essere sicuro che non mi abbandonasse nel sottopassaggio – quella sarebbe stata una situazione imbarazzante, soprattutto perché per uscirne a spinta bisogna affrontare una salita interminabile.

E magicamente sono subito riapparsi i doloretti alle mani, causati da frizione e freno un po’ duri, e quel disagio alle spalle e al fondo schiena tanto familiare. In fondo sono nel mezzo del cammin della mia vita, e ho una stazione della metro proprio sotto casa: chi me lo fa fare di andare in moto? Non so. L’inverno sembrerebbe finito, e la moto torna nei miei pensieri come sempre. La guardo, vedo tutti gli acciacchi che ha. Il parafango storto, la marmitta bucata, la forcella un po’ storta, gli specchietti uno diverso dall’altro, la targa sempre in procinto di cadere, il fanale posteriore assurdamente “rientrato” e storto da un lato… Eppure è la mia moto. Mi rappresenta: è un cruiser addomesticato, poco potente ma affidabile, un po’ poltrona un po’ zattera di salvataggio, tanto dignitosa quanto raffazzonata.

Ma soprattutto, prima era la moto di mio padre: una delle poche cose di lui che tengo sempre con me. Anche quando penso che è ora di cambiarla, non penso mai di rivenderla. Piuttosto metterei via i soldi per comprare questa, o quest’altra. Ma non nego che se avessi soldi da buttare, vorrei trovare un’officina di quelle che ti pimpano le due ruote. Sarebbe una personalizzazione basata sul telaio originale… Niente di che: cambierei marmitta, specchietti, manubrio, carena e sellino. La marmitta la farei cromatissima ed enorme, perché con la crisi di mezza età si sa che a noi uomini ci piacciono i sostitutivi del pene. Gli specchietti li farei cromatissimi anche quelli ma con inserti in gomma nera, molto cattivi. Il manubrio lo farei a chopper… no, non esageriamo. Al massimo ci potrei mettere delle strisce di cuoio che pendono. Carena nera opaca, con inserti bianchi minimalisti. Sellino il più possibile simile alla moda del 1940. Che, ci scommetto, piacerebbe un casino anche a mio padre.

Ma non conosco nessuno che lo faccia, e ora come ora continuo con la mia Virago, anche se perde qualche colpo.
D’altra parte, siamo in due.

PUNTI DI SVOLTA

Secondo il calendario siamo passati a un nuovo anno. Lo ammetto, di solito non me ne accorgo. Nel senso che ogni anno mi appare identico al precedente, almeno da cinque o sei anni a questa parte. Ecco, io non ho propriamente vissuto gli ultimi anni: ho vissuto un lustro. Quanto mi è sempre piaciuta questa parola, “lustro”. Dà quell’idea di pulito, asettico, ma nello stesso tempo di piacevolezza e conforto, un po’ come Mastro Lindo. E poi quei profondissimi versi leopardiani, “Non ti dolga di tua poca dimora / in questa piaggia trista, e non ti caglia / ch’ancor del quarto lustro non se’ fora” (e anche stavolta vi ho assicurato il momento cultural-filosofico piazzandovi una bella riflessione sulla morte che fa sempre bene).

Ma non divaghiamo. C’è stato un lustro, che a differenza di quanto evocato dalla parola in sé è stato opaco, disagiato e avaro di soddisfazioni. Un lustro in cui il tempo è sembrato avvitarsi su sé stesso in un copione spanato. Oggi che è il 2012 (e lo so che c’è la fine del mondo, ma lasciatemi dire) percepisco una sensazione di diversità. Sento un fremito nella forza. L’anno è appena iniziato e io sento un senso di compiutezza. Ho messo in ordine, ho chiuso, ho fatto un po’ di pulizia. Diciamo che ho preparato la strada per il prossimo lustro. L’idea sarebbe quella di viverlo con un misto di leggerezza e partecipazione, accogliendo tutto quanto di nuovo l’universo ha in serbo per me.

Poi ricevo l’ennesima telefonata di mia madre relativa a qualche tubatura rotta / crepa nel soffitto / crollo di infissi o simili, e improvvisamente tutto è di nuovo così 2008 da abortire qualsiasi tentativo di un post solare e splendido.

Sono condannato ad essere un poeta crepuscolare.
Felicità mi spiace, felicità è loquace come un bimbo; l’ho a noia!