Eccomi qua. Chi pensa che sia tornato sui monitor per parlare di Cuba rimarrà, purtroppo, a bocca asciutta. Come dicevo quasi un mese fa, i guai che lasci a casa te li ritrovi amplificati al ritorno. E alla fine è successo. Dopo un improvviso peggioramento, che ha coinciso con un nostro ritorno anticipato dalle ferie, il mio vecchio grande eroe ci ha lasciato. Quello che resta è un vuoto, che viene periodicamente riempito dai suoi ricordi, dalle sue cose (ad esempio il PC sul quale sto scrivendo), da tutto quello che le persone che gli erano vicine mi raccontano di lui. Non posso dire che non me lo aspettavo. In fondo erano ormai quasi due anni che vivevo preparandomi a questo evento. Ed è andato tutto nel migliore dei modi. Persino in un’occasione come questa, lui è riuscito a creare relazioni, a far incontrare persone, a distribuire amore, anche con le sue ultime parole. Al di là del sentimentalismo, che peraltro lui odiava, ho imparato sulla mia pelle quanto la morte faccia parte della vita e non ho potuto fare a meno di notare, come sempre, quanto la nostra esistenza mescoli costantemente il sublime e il grottesco. A questo proposito, vorrei condividere con i lettori di questo blog alcuni degli aspetti più sublimi (pochi, a parte "la cosa in sé") e alcuni di quelli più grotteschi legati a quello che ormai, a una settimana dall’evento, ho definito "il business della morte".
1. LE POMPE FUNEBRI
Arriva per tutti il momento di chiamarle. Mentre componi il numero ti chiedi già perché quella parola, "pompe". Mio padre avrebbe saputo rispondere subito, come sempre. Ha a che fare con il cerimoniale, il rito. Quando rispondono, sembra di parlare con un qualsiasi call center. Poi arriva il titolare, e pensi che non potrebbe fare che quel lavoro. Completo nero, camicia bianca, cravattino di cuoio e aria da Lee Van Cleef. Sembra il beccamorto di un film western. A mio padre sarebbe piaciuto. Peraltro, come tutti i personaggi che gravitano in casa in questi giorni, è estremamente gentile, accomodante e confortante. Se non ci fossero loro sarebbe uno sclero. Fortunatamente si occupano di tutte le pratiche. Certo, quando poi presentano il conto realizzi perché molte persone anziane o malate, come mio padre, insistano a mettere da parte un certo gruzzolo "per il funerale"…
2. IL FUNERALE
Va detto, mio padre era particolarmente religioso. Per di più era amico del parroco da almeno vent’anni. Per forza di cose doveva uscirne un funerale sentito, anche se la chiesa non è più come la ricordavo e ha preso una deriva avanguardista e abbagliante degna di una galleria d’arte contemporanea. Il parroco parla bene, ma nello stesso tempo fa sfoggio di tutta la sua arte retorica, cosa che a me ovviamente non sfugge. Ma tanto sono ormai in una fase di stordimento generale continuo. Vengo sballottato da una faccia all’altra. Facce più e meno note. Poi bisogna andare.
3. LA CREMAZIONE
Posto che condivido la scelta di mio padre e che tutti i familiari restanti hanno deciso di farsi cremare, occorre dire due parole sul Tempio Crematorio di Torino. Per molti, i 10 minuti di raccoglimento presso il Cimitero Monumentale sono peggio di mille funerali. Forse perché c’è la musica. Mia madre è soddisfatta: quando entriamo noi ci accoglie l’Aria sulla quarta corda di Bach, molto amato da papà. Si informa se c’è anche la parte corale. C’è. A me però il pezzo fa venire in mente la versione incisa da Elio e le storie tese, il che mi impedisce di incupirmi. Inoltre il rappresentante della Socrem deve aver studiato anni in una scuola di teatro. Il suo Sant’Agostino è degno di un Gassman. Ma anche questo, credo, sarebbe piaciuto a mio padre.
4. IL CIMITERO
Siccome – mi spiace dirlo – il momento viene per tutti, mi sento di consigliare ai miei lettori di provvedere al più presto all’acquisto della loro ultima dimora. Per una piccola urna (elegante, in legno chiaro) bastano delle cellette minuscole. Per averle bisogna trattare con il custode del cimitero e con un impiegato del comune. Nel nostro caso due donne molto particolari, con la tendenza a chiamare "gioia" indiscriminatamente qualsiasi familiare del defunto e ad essere molto empatiche. La burocrazia funebre è complicata quanto basta, e se non ci fossero questi soggetti sarebbe molto più difficile. La custode, peraltro, ha una spiccata tendenza a fare discorsi imbarazzanti del tipo "Gioia, hai visto che pioggia? Devo correr dietro a tutti i morti, che tendono a uscirmi dalla terra… vogliono scappare!". Il suo unico aiutante è un factotum muratore – giardiniere – uomo delle pulizie che, al momento di murare la celletta, si china scoprendo il candore delle sue chiappe, come un vero muratore che si rispetti…
5. QUEL CHE RESTA
E’ banale dire il ricordo? Forse. Resta di sicuro qualcosa di materiale, da usare per sentirlo sempre vicino. Resta una rete di relazioni e di affetti che ormai funziona anche senza di lui, e questa è la sua grande eredità, morale più che materiale. Resta un caos delirante nel suo studio: molto spesso a un uomo dalla mente perfettamente organizzata corrisponde una stanza decisamente disordinata. Resto io, così piccolo di fronte a questi eventi, ma – spero – abbastanza grande da poter portare avanti un testimone, per non dimenticarlo. Dopotutto, così (parole sue, ovviamente) "non omnis moriar".
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