VICINATO SENZA VELI

La scena: un condominio mediamente ben tenuto in un’area suburbana di quasi-campagna. I protagonisti: due anziani vicini di casa. Uno dei quali, del tutto casualmente, è mia madre. Da quando è vedova, come è normale che sia per una persona completamente inetta ai lavori di idraulica, ferramenta o relativi all’impianto elettrico, mia madre è abituata a chiamare sempre una persona.

Questa persona (lo chiameremo “il vicino tuttofare“) è il classico abitante di tutti i condomini del pianeta, famiglia: vicinus domi, genere: pensionatus, specie: trafficans. Quando c’è un guasto in vista, lui è in prima linea, con l’immarcescibile divisa costituita da bermuda, canottiera a coste, sandalo con calzino bianco e cassetta degli attrezzi. Anche d’inverno. Il vicino tuttofare è una brava persona. Non si può dire che non sia generoso, sempre pronto a correre in aiuto del suo prossimo. Ma è anche molto impiccione e – soprattutto – ci prova.

Mia madre è dell’opinione che non si può chiamare il vicino tuttofare per ogni tubo intasato / cortocircuito / serratura bloccata senza peraltro considerarlo anche come “vicino” tout court, e quindi magari farsi sentire anche solo per un saluto. Ma sbaglia. Il vicino tuttofare, se lo chiami così, pour parler, rivela inevitabilmente il suo lato oscuro.

A sua discolpa, va detto che mia madre sperava di parlare con la moglie del vicino tuttofare. Invece al telefono ha risposto lui.
E in una telefonata di cinque o sei minuti è riuscito a dire, nell’ordine:

  1. che lui e la moglie vivono come separati in casa
  2. che non ha rapporti sessuali da 7 anni
  3. che anche volendo, dopo una non specificata operazione (di lei), non gli è possibile “penetrare la moglie
  4. che lui è a disposizione per QUALSIASI tipo di “lavoretto
  5. che se a volte allunga un po’ le mani con mia madre è perché “c’è la voglia

Considerate che il vicino tuttofare ha da poco compiuto 70 anni (mia madre 73), che si vanta di fare ogni genere di “lavoretti” per diverse vedove del circondario e che non è la prima volta che tenta la mano morta o che chiede di essere ricompensato per le riparazioni casalinghe con “un bacetto”.

La situazione diventa ancora più grottesca se pensiamo che il vicino tuttofare estende la sua iperattività (lavorativa, non sessuale) anche al di fuori dei confini del condominio: le sue velate avances vengono infatti contrappuntate da un riferimento mistico del tipo “so che tu non puoi andare spesso al cimitero, perciò ci tengo a dirti che io ogni settimana tengo pulita la tomba di tuo marito”. Semplicemente geniale.

Ora, mia madre ha tutti i suoi difetti ma almeno in questo caso mi sembra se la gestisca bene: non gli dà corda e lo smonta con due battute di spirito. Però un po’ è inquieta. Immagina già un titolo degno di un tabloid: “Molestava le vedove del quartiere perché non gli era possibile penetrare la moglie: tutti i particolari in cronaca”. E a dirla tutta, non mi sento di darle torto.
Voi come vi comportereste?

OUT OF MEMORY

Trovo già significativo che le mie riflessioni personali dell’altro ieri, che volevo tradurre in un post profondo, umorale ed introspettivo ancorché brillante e sapido, siano oggi completamente svanite nella costante caligine del mio cervello.

Detto questo, mi è rimasta in testa questa cosa: che volevo scrivere sulla memoria, e sui problemi ad essa collegati.

“Cosa ti succede, stellina?” – chiederanno i miei lettori più affezionati. Niente, per carità. Soltanto, ho perso la capacità di focalizzarmi sugli eventi, e ho l’impressione che tutto mi scivoli addosso senza lasciare traccia. Mi spiego: fino a qualche anno fa, il flusso della quotidianità presentava (non spesso, ma con una certa cadenza) eventi o fatti “memorabili”. Ripensandoci, ancora adesso ricordo situazioni, volti, frasi, sensazioni.

Oggi questo non si verifica più. Dove sta l’inghippo? Possibile che sia già invecchiato a tal punto da non avere nel “baule dei ricordi” altro che remote esperienze del passato? Su un recente numero di Nòva (non chiedetemi quale, tanto non lo ricordo) ho letto che i nostri tweet, i nostri status update, verranno studiati dagli storici del futuro per svelare la storia quotidiana del XXI secolo. Bella roba. In effetti, è così. Noi siam qui a menarcela con le scritte sui muri di Pompei, e loro scaveranno tra i detriti di Internet.

Eppure non riesco a levarmi dalla mente che proprio il fiorire dei social network, tanto positivo per alcuni versi quanto devastante per altri, sia in parte responsabile della scivolosità delle mie sinapsi. Deve trattarsi di una fortuita combinazione di circostanze: sono convinto che un ventenne, o un sessantenne, non abbiano a soffrire lo stesso effetto. Le cose, in memoria, sono veramente troppe. Mi rendo conto che io uso Facebook (per fare un esempio su tutti) come un Pensatoio, per togliermi dalla testa le memorie più triviali che occupano spazio e girano nella testa rallentando gli altri processi.

Un tempo, certamente, accadevano meno cose. La vita forse era più noiosa, nel senso che occorreva aspettare un determinato momento per prendere determinate iniziative. Le decisioni erano ponderate nel silenzio. Oggi la vita è ricca da far indigestione, e forse proprio per questo ancora più noiosa. Non trovo il modo di “fermare” adeguatamente il momento. Non trovo il modo di riflettere. Tutto è straordinario, quindi nulla è straordinario.

Da quanto tempo non accade qualcosa di veramente eccezionale? Non lo so più. Certo, ci sono i viaggi. Quelli hanno un notevole carattere di eccezionalità. Gli incontri con persone che non si vedono spesso, quelli sono decisamente memorabili. Per il resto tutto – dalla vita familiare a quella sociale, dal lavoro che paga i conti ai lavori più “creativi” che dovrebbero dare maggiori soddisfazioni, dalle letture, agli ascolti, alle visioni – tutto si confonde in un vortice colorato e indefinito all’interno del quale io mi aggiro accecato, come i due malcapitati nel finale di L’Aldilà.

Non c’è più un metodo, tutto si accavalla, gli eventi si accumulano e io non mi ci raccapezzo più.
E mi sorge spontanea una domanda: ma secondo voi è possibile soffrire di ADD anche a 40 anni?

È UN PAESE PER VECCHI

Mi sento sempre un po’ diverso dalla maggioranza dei miei coetanei. Prima pensavo di essere “rimasto al palo”. Cioè, vedi gli altri che fanno figli, continuano la specie, portano avanti il loro patrimonio genetico perpetuando qualcosa di loro nel tempo. O comunque, in definitiva, entrano nell’ottica di prendersi cura di una piccola persona che poi lasceranno andare nel mondo. E tu no. Perché alla fine è solo un discorso di casualità.

Ma non è questo il vero problema, alla fine non ci vogliamo accanire, va bene anche così. Non bisogna sentirsi al palo, ci sono fior di coppie senza figli che attraversano benissimo lo stesso il mare della vita. Magari un rimpianto (“Eh, cara signora, cosa vuole, i figli non sono arrivati“), ma poi finisce lì. Anche perché sono sempre più convinto che il destino mi abbia assegnato un’altro compito: l‘assistenza agli anziani.

Ci pensavo in questi giorni: è il 2010 e sono esattamente 10 anni che nella vita familiare la mia principale occupazione extra-domiciliare è l’assistenza agli anziani. Prima mio padre, con il suo calvario di ospedali, esami e piccoli palliativi contro grandi e minacciosi tumori. Poi mia nonna, che comunque ha preferito lasciarci una settimana dopo che se n’è andato il figlio. Naturalmente in questi ultimi anni mia madre, autosufficiente ma con riserva. E adesso si è aggiunta l’anziana zia senza figli che tocca ai dieci nipoti sopravvissuti gestire e mantenere.

Certo, la vita è quella cosa che ci accade mentre siamo impegnati a cambiare pannolini.
Poco importa a chi li stai cambiando, no?

Ragionando su questi temi pensavo a quelle realtà tipo il nido condominiale, dove una famiglia si prende carico dei neonati di tutto il palazzo. Ecco, io e Stefi potremmo metter su il concetto di ospizio condominiale. Pagati dalle famiglie che vogliono lasciare i loro anziani in buone mani. Liberi dal lavoro, in una casa più grande, piroettando tra una dentiera e un bingo, organizzando coreografie con i deambulatori. In ogni caso, devo rivedere il film Pranzo di Ferragosto: già la prima volta che l’ho visto avevo capito che il protagonista ero io tra dieci anni.

Mi domando soltanto una cosa: non avendo nessun “bastone per la vecchiaia”, ce l’avremo anche noi un nipote compiacente che ci aiuterà a camminare?
Qui intanto stiamo già facendo le prove generali di acciacchi