BAMBOO WEEKEND MONREGALESE

Nonostante i problemi, il destino e tutte le cose brutte che ci circondano, siamo riusciti ancora una volta a stare insieme. Un weekend non fuori dal mondo ma fuori dal quotidiano, fuori dagli scazzi almeno per un giorno, anche se poi chi più chi meno allo scazzo ci deve tornare. Amici veri, tanto cibo, buon vino, arte e architettura, natura e un po’ di cinema. Si potesse vivere tutti i giorni così! Ogni tanto, almeno per poco, bisogna rifiutare le responsabilità. Altrimenti va a finire che la paura brucia l’anima. Per adesso a me bruciano i polpacci, per la fatica (meritata, comunque) della visita alle grotte di Bossea. Mi gira la testa per la visione ellittica del santuario di Vicoforte e mi frulla il cervello per la visone del Caimano. E guardo le foto dei miei amici, simbolicamente incastrati in un vortice blu, persi in una selva oscura ma sempre con le stesse incredibili facce da cazzoni! 🙂

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FARE LA CACCA NEL BAGNO DELL’UFFICIO

Andare in bagno in ufficio può essere un’esperienza dolcissima. Arrivi, e il locale (angusto ma salubre) è appena stato pulito da qualche inserviente. Tutto è lindo e splendente, non ci sono rumori (salvo quelli eventuali di propria produzione) e si può staccare per qualche minuto dal frenetico mondo del lavoro. Ti abbassi i pantaloni, ti siedi (meravigliosa sensazione di frescura sulle natiche) e magari estrai il tuo cellulare per mandare SMS, farti degli autoscatti o meglio ancora giocare a un solitario. Passi nell’estasi fino a 10 minuti (di più è troppo, i colleghi si chiederebbero dove sei). Ma andare in bagno in ufficio può trasformarsi in un’esperienza molto inquietante e poco piacevole. Come oggi. Fatto tutto quello che dovevo fare, mi appresto ad estrarre una striscia di carta igienica dal distributore (quello tipo torta gigante applicato al muro). Ci metto qualche secondo a realizzare con orrore che non c’è carta igienica, né nel distributore, né misericordiosamente posizionata sul bordo del lavandino o in un angolo per terra. Panico. Fazzoletti di carta manco a parlarne, è già tanto se in tasca ho il cellulare. Valuto rapidamente diverse opzioni: usare l’asciugamani comune (ma dovrei estrarne diversi metri per arrivare comodamente al WC); un bidet sommario nel lavandino (ma potrebbe peggiorare la situazione); i copriwater di carta. Opto per i copriwater. Ne restano giusto due. Peccato che la carta con cui sono fatti è dura, crepitante e poco assorbente. Poco male, cerco di usare tutta la superficie possibile. Ovviamente, mentre sono impegnato nella complicata operazione, qualcuno entra nell’antibagno e comincia a scuotere la porta del cesso tentando di forzare la maniglia. Maledetti, non capiscono che se la porta è chiusa il bagno è occupato? Un sospiro di sollievo: concludo vittoriosamente e mi rivesto. Nella tazza restano i copriwater appallottolati. Tiro distrattamente l’acqua e mentre mi lavo le mani intuisco che qualcosa non sta andando per il verso giusto. I copriwater non sono così biodegradabili, evidentemente. Esco repentinamente dal bagno prima che l’acqua inizi a traboccare dal WC. Andare in bagno in ufficio… Un assaggio di paradiso che può trasformarsi in un’inferno!

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1978 – LA CARICA DEI SARDI

1978. Tutti in riga. L’interno cupo e desolante di un fabbricato di periferia fa da sfondo al rito. Spogliati, i nostri vestiti raccolti in sacchi di plastica che verranno restituiti solo alla fine del soggiorno. Qualcuno trema. I più piccoli piangono già. Quello davanti l’hanno già strillato. Non ha il cognome ricamato sulle mutande. Ci restano solo quelle, del resto. In fila, con i piedi gelati per il contatto sulle mattonelle fredde. Ci controllano i capelli, per vedere se ci sono pidocchi. Ci spingono in un corridoio illuminato da un neon bluastro e abbagliante. Ci spruzzano di polvere bianca. Ci danno la divisa. Siamo pronti per le colonie FIAT. A Marina di Massa si può solo correre su e giù per i corridoi a spirale della torre littoria. In divisa, i maschi da una parte e le femmine dall’altra. Per vederle devi sporgerti in bilico sulla parete divisoria dei bagni. La notte, le luci spente. Mentre le responsabili di camerata passano cantando canzoni tristi, i più piccoli piangono sommessamente. Io mi difendo leggendo Stevenson con una pila, sotto le coperte. Non sono qui, sono sull’isola del tesoro. La mattina, svegliati dal fischietto, tutti al mare con lo stesso costume da bagno. Tutti in acqua nello stesso momento, nello stesso luogo. Passati dieci minuti, ancora il fischietto: fuori dall’acqua. In spiaggia, gli aghi di pino marittimo si mescolano con la sabbia bollente. Il gruppo dei sardi passa il tempo facendo acrobazie e capriole a mezz’aria poco più in là. Mi vedono. Mi accerchiano. Io li osservo in silenzio. Uno di loro si buca una guancia con un ago di pino, per dimostrare la sua insensibilità al dolore. Vuole che io faccia lo stesso. Ma io ho paura. Partono i calci e i pugni. Prima, però, mi tolgono gli occhiali e li calpestano. Perché uno con gli occhiali non lo picchi. Quando finisce, è una liberazione. Si aprono i cancelli e una macchina ti aspetta. Loro non sanno, non potranno mai sapere. Anche la posta è censurata. Il segreto te lo puoi solo portare dentro.

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