IL 2021 IN 10 SERIE TV

Sveliamo subito il segreto di Pulcinella, in questa lista ci sono 10 serie + 1, ma quella singola voce in più non è veramente una serie quanto uno speciale televisivo che però è una delle “cose” migliori viste nell’anno e andava pur messa da qualche parte. Le serie che stanno in questa lista hanno due caratteristiche: sono uscite nel 2021, sono miniserie o prime stagioni di una nuova serie, stanno sulle piattaforme legali che vedo a casa mia (cioè, non vi ho messo per amor di chiarezza le cose che vedo in giro con metodi, diciamo così, fluviali). Soprattutto, non stiamo a dire la terza stagione di questo o la quinta stagione di quello se no ogni anno ci ripetiamo e alla fine due palle. Quindi, voilà.

Arcane (Netflix)

La miglior serie dell’anno, per me, è una serie animata. Spider-Man: Into the Spider-Verse aveva rivoluzionato ogni canone del film di animazione; Arcane fa lo stesso per la serialità animata. Una storia fantasy adulta e credibile (tratta da una nota serie di videogame), un reparto tecnico eccezionale, profondità di scrittura, personaggi convincenti, character design magnifico, concept americano con stile europeo. Arcane si prende i suoi tempi (9 episodi da 45 minuti) e scardina tutti  i pregiudizi che chiunque di noi potrebbe avere. Guardatelo: ne rimarrete stupiti.

The Beatles: Get Back (Disney+)

Se la gioca con Arcane per il “numero uno” di quest’anno, ma ho soltanto voluto privilegiare la fiction rispetto al documentario. Qui Peter Jackson ha fatto un lavoro monumentale dandoci in pasto quasi nove ore di John, Paul, George e Ringo come non li avevamo mai visti prima. Improvvisamente i Beatles tornano ad essere sulla bocca di tutti, e non potrebbe essere altrimenti. Una boccata d’aria fresca.

Midnight Mass (Netflix)

La fiction live action migliore dell’anno è certamente questa miniserie horror sui generis in cui Mike Flanagan può finalmente andare a briglia sciolta tra cattolicesimo wow, vampirismo, demoni, miracoli inquietanti e soprattutto la claustrofobia delle comunità chiuse (si svolge su un’isola dove un giovane prete mysterioso arriva in sostituzione del vecchio parroco con Alzheimer). Si tratta di una serie “diesel” (7 episodi da un’ora e le cose cominciano a ingranare al quarto episodio), ma comunque i primi 3 episodi sono un campionario di horror senza spaventoni da manuale…

Maid (Netflix)

Maid (e la sua protagonista Margaret Qualley figlia di Andie McDowell che qui interpreta… la madre) sono state una gradita sorpresa del 2021. Anche qui una miniserie autoconclusiva tratta dal memoir di una aspirante scrittrice che sbarca il lunario facendo la signora delle pulizie. Splatter quanto basta nelle scene di scrostamento cessi, Maid è soprattutto uno studio sui personaggi mai isterico e mai sopra le righe: 10 puntate che ci fanno appassionare a una storia dove il vero villain è lo stato sociale americano.

Them (Prime Video)

Them ha la palma di serie più scioccante dell’anno (se pensiamo in particolare al quinto episodio) ed è un a discesa agli inferi del razzismo sistemico in USA. Prodotta da Little Marvin e Lena Waithe, parla di una famiglia di neri che si trasferisce in un quartiere di Los Angeles popolato solo da bianchi. Ovviamente i bianchi non sono contenti. Ma anche alcune non meglio identificate forze del male non sono contente. Il tasso di violenza razziale è altissimo: è una serie pugno nello stomaco. Ma da recuperare.

Sweet Tooth (Netflix)

Parliamo adesso di serie carucce e pucciose: Sweet Tooth ha i suoi morti e il suo tributo di sangue, ma ha comunque un piglio da favola fantasy post-apocalittica, un po’ “La strada” e un po’ “Kamandi” (perché cazzo nessuno ha mai fatto un film o una serie su Kamandi non me lo spiegherò mai). Il giovane protagonista, bimbo mutante con le corna da cervo è perfetto per stemperare nello zucchero ogni evento terrificante della serie, che funziona a più livelli per adulti e bambini (non la farei vedere a un bimbo di 6 anni, ma magari a 9-10 anni sì).

Only Murders in the Building (Disney+)

Altra serie caruccissima e molto New Yorker (fin dai credits il riferimento è esplicito) è questa con Steve Martin, Martin Short e Selena Gomez. I due mostri sacri con la giovane ex-promessa in una trama da crime story che mescola podcast, furti di gioielli, suicidi e loschi titolari di gastronomie armene. La prima stagione è stata una deliziosa sorpresa e adesso io ne voglio sempre di più.

Strappare lungo i bordi (Netflix)

Chi non ha visto la serie di Zerocalcare? Pochi, in verità. Con tutti i difetti che le si possono attribuire, è una miniserie che funziona, anche all’estero, per i temi universali che tratta. Per me l’unico difetto è che va un po’ troppo a rotta di collo, ma se faranno altre stagioni potrebbero anche correggere un po’ il tiro. Nell’ultimo libro di Zero c’è anche un backstage molto interessante a fumetti.

WandaVision (Disney+)

Le serie Marvel, devo confessare, mi annoiano un po’. Quest’anno abbiamo avuto WandaVision, Loki, The Falcon and the Winter Soldier, What If e Hawkeye (le ultime due non le ho nemmeno viste), e ogni volta la sensazione è quella del “raschiamo il barile per imbastire qualcosa su personaggi secondari di cui non frega un cazzo a nessuno”: WandaVision però è diversa, con il suo approccio metatelevisivo e le sue trovate che riprendono i diversi decenni di sitcom USA. Poi dopo diventa convenzionale, ma i primi cinque episodi sono geniali.

Colin in Black and White (Netflix)

Una piccola sorpresa del catalogo Netfix segnalatami in corner e che non mi ha affatto deluso… anzi! Non conoscevo la storia personale di Colin Kaepernick (diciamo pure che non sapevo chi era finché non l’ho googlato): è quel giocatore NFL che per primo si inginocchiava a titolo dimostrativo durante l’inno nazionale pre-partita. In questa miniserie prodotta con Ava DuVernay riflette sul razzismo sistemico in forma di dramedy alternando spezzoni di fiction (con la storia di lui da giovane) a parti di documentario (in cui interviene lui stesso). Curioso e interessante.

Bo Burnham: Inside (Netflix)

Il 2021 non sarebbe il 2021 senza Bo Burnham, che dal cuore del profondo lockdown ci ha regalato un one man show comico al vetriolo, uno spettacolo che fa ridere ma fa soprattutto angosciare, deprimere e imbarazzare. Tutto girato in una stanza, dove Bo ha il suo equipaggiamento da creator digitale, ricco di canzoni orecchiabili e acidissime (le mie preferite “Welcome to the Internet”, “White Woman Instagram” e “Sexting”), Inside è il distillato di un anno di Covid che sembrano dieci (anni) (di Covid).

IL 2021 IN 20 DISCHI

Proseguiamo con i listoni della morte, stavolta vi consiglio i 20 dischi (secondo il mio insindacabile giudizio) più rappresentativi dell’anno. Siccome io sono una persona a) di bocca (anzi di orecchio) abbastanza buona e b) ho gusti parecchio ma veramente parecchio eclettici, qualcosa che vi può piacere lo trovate senz’altro. Ho cercato di ridurre a venti perché ne avevo una cinquantina ma forse poi vi annoiavate. Essendo stata un’annata inaspettatamente buona anche per il Belpaese, ho fatto un mischione di roba italiana e internazionale. Enjoy, sapendo che ogni link vi porta al corrispettivo album su Spotify!

IRA (iosonouncane)

Certamente album migliore dell’anno per la musica italiana e – mi voglio rovinare – anche internazionale, perché questo amalgama sonoro plurilingue, ipnotico, coinvolgente e densissimo è una roba che ti lascia senza fiato. Due ore piene di sonorità a volte claustrofobiche, a volte estasianti, più spesso inesplicabili. Da ascoltare e riascoltare ma – diciamo – non in auto o come sottofondo sonoro.

Sometimes I Might Be Introvert (Little Simz)

Tra i due litiganti (Drake e Kanye) la terza (Little Simz) gode. Il miglior album hip-hop dell’anno è dell’artista londinese dal flow assassino che spazia dal grime al soul all’afrobeat con una sicurezza incredibile. Point and Kill è in heavy rotation su tutti i miei dispositivi da quando è uscita, per dire.

Fatigue (L’Rain)

Scoperta dal vivo per caso a Club2Club, L’Rain (Taja Cheek) da Brooklyn ha confezionato un album perfetto per l’era pandemica, tra frammenti di free jazz, rumorismo, ambient, beat hip-hop low-fi, gospel e neo-soul. Fatigue è la fatica accumulata negli ultimi due anni, che qui si sente tutta e viene trasfigurata.

Magica Musica (Venerus)

Venerus ha fatto il miracolo di portare nella musica italiana un mix di avant-pop, soul ed elettronica che finora avevamo sentito arrivare solo dai paesi anglofoni. Magica musica è un album denso, senza un suono fuoriposto, con una produzione incredibile (di Mace) e con momenti irresistibili (io ho un debole per “Fuori fuori fuori” e “Sei acqua”).

Song Machine S1 Strange Dayz (Gorillaz)

Sì, ho barato, quest’album è del 2020 ma ha contraddistinto per me questo anno assurdo con le sue canzoni sghembe e con il singolo di traino cantato dal mio amatissimo Robert Smith, sempre in forma. Strange Dayz, proprio come quelli che abbiamo vissuto in questi mesi.

OBE (Mace)

Mace è il producer più interessante che abbiamo in Italia, e il suo album OBE (Out of Body Experience) è lì a dimostrarlo. Molti featuring interessanti (Venerus, Blanco, Salmo, Chiello, Gemitaiz, Rkomi, Ketama126, Guè, Madame, per fare alcuni nomi) ma soprattutto un superamento della trap in favore di un pop italiano elettronico e urban veramente adulto.

Donda (Kanye West)

Impossibile non averlo ascoltato quest’anno. Il decimo album di Kanye ha una durata smisurata, è tutto nero (a lutto) ed è dedicato alla madre morta Donda. Detto ciò, è un’opera intensa e a volte un po’ avvitata su sé stessa ma che si fa ascoltare e riascoltare per trovare nuove sfumature. E poi è sempre Kanye.

Colourgrade (Tirzah)

Ancora meno strutturato di Devotion, il nuovo album di Tirzah è super intimista, un acquerello elettronico sognante e crepuscolare. Sentito dal vivo è come essere avvolto da una coperta calda e morbidosa, che ha un profumo strano e un po’ intossicante.

La terza estate dell’amore (Cosmo)

Cosmo ha fatto un disco che magari non è il suo migliore ma è un manifesto di resistenza corporale ed elettronica al distanziamento sociale. Con i suoi beat, la sua voglia di ballare e le sue melodie sempre appiccicose questo album vuole farci tornare a sudare, a stare insieme e a vivere appunto una “terza estate dell’amore”. Io faccio tantissimo il tifo per lui.

Friends that Break Your Heart (James Blake)

Siamo sempre in territorio urban / electronica / cantautorato intimista, e qui James Blake mi sta basso in classifica perché questo album non è un capolavoro come Assume Form e la forma-canzone se vogliamo è “più tradizionale” e vira alla semplicità del folk. Però bello.

Daddy’s Home (St. Vincent)

Annie Clark ha fatto il sorpresone dell’anno confezionando un album filologicamente rock blues di matrice seventies. Cioè, sembra un’altra artista del tutto. Ma la cosa non è poi negativa, anzi. L’album come si capisce è dedicato al padre e riprende in tutto e per tutto quel tipo di rock che animava le strade di New York quando il padre era pischello. Curiosissimo.

Medioego (Inoki)

Ragazzi, è tornato Inoki dopo 7 anni di silenzio e spacca di brutto come sempre. Uno dei migliori rapper “storici” che abbiamo in Italia, qui impreziosito da produzioni del livello di Crookers, Salmo, Chris Nolan, lasciato libero di volare alto con un flow old skool sempre all’altezza della situazione.

Chemtrails over the Country Club (Lana del Rey)

Niente, per me qualunque cosa faccia Lana Del Rey è comunque un “album dell’anno”, anche se stavolta è uscita con due album (c’è anche Blue Banisters) e c’è l’imbarazzo della scelta. Lana è sempre lei, e appena parte White Dress sei conquistato e non hai più speranza.

Epsilon (Jolly Mare)

Una piccola perla poco conosciuta del panorama italiano elettronico odierno. Jolly Mare (il pugliese Fabrizio Martina) confeziona un album ricco di groove, funky e psichedelia, appoggiato su tappeti di synth che ricordano a volte Tony Esposito, altre volte Franco Battiato, più spesso Tullio de Piscopo se avesse incontrato i Kraftwerk. Tutta l’estate ho sentito solo questo.

Noi, loro, gli altri (Marracash)

Arriva a fine anno e sbaraglia il rap italiano con un nuovo disco che magari non è totale come Persona, ma è comunque la dimostrazione che Marra è veramente il king del rap. Testi intelligenti, storie che si fanno seguire, e una punta di nostalgia nineties per il pop di Infinite Love con Guè, che è la mia canzone di Natale.

Montero (Lil Nas X)

Ho visto il futuro del pop e il suo nome è… vabbè, dai, Lil Nas X può piacere o meno. Per me è un fenomeno assoluto. Chiaramente come tutti i fenomeni pop è un prodotto multimediale in cui la musica è solo uno dei molti componenti, e tuttavia Montero è un album piacevole ed è ideale per capire dove sta andando il pop nel 2021.

Carnage (Nick Cave / Warren Ellis)

Il mio amore per Nick Cave non scema nemmeno di fronte a Carnage, l’album della pandemia. Più difficile di Ghosteen, o forse semplicemente difficile in modo diverso, questo è l’album dove “& The Bad Seeds” scompare in favore di “& Warren Ellis”, e infatti le sonorità sono molto più secche. Però è un must.

Madame (Madame)

Madame per me è una sorpresa continua, e vorrei dire che – piaccia o no – è una delle poche performer italiane che riconosci al volo qualsiasi cosa faccia. L’album d’esordio ha qualche piccola caduta (ci stava magari mettere meno pezzi) ma fa veramente ben sperare per un’artista che rappresenta bene il nostro panorama urban.

Happier than Ever (Billie Eilish)

Billie è cresciuta e si muove in territorio pop/urban con una consapevolezza incredibile, aiutata dal fratello produttore (ma testi e musiche sono suoi). Ci sono ancora episodi electro che richiamano il primo album ma ora ci sono anche sonorità più mature che vanno dalla psichedelia a broadway passando per la bossa nova (!!!). Adorabile.

Promises (Floating Points / Pharoah Sanders / London Symphony Orchestra)

Fuori da ogni schema, potrebbe essere al ventesimo come al primo posto assoluto, l’outsider di questa lista è un disco etereo e paradisiaco, che mescola il jazz del saxofonista ottantenne Pharoah Sanders con l’elettronica di Floating Points. Una suite unica in 9 movimenti accompagnata dalla London Symphony Orchestra da ascoltare con attenzione e in stato meditativo (meglio di notte al buio). Adatto a chi vuole sentire qualcosa di assolutamente nuovo e al tempo stesso antichissimo.

IL 2021 IN 15 LIBRI

Dai, partiamo con i listoni di fine anno che tanto solleticano e placano quello spirto catalogator ch’entro mi rugge. Che poi peraltro il tempo è poco e non sono nemmeno riuscito ancora a leggere uno di quei libri che mi prefiggevo di leggere nell’anno e che invece non ho nemmeno ancora iniziato che è Crossroads di Jonathan Franzen (che secondo me stava sicuro nella top ten ma non avendolo ancora letto per onestà non ce lo metto). Allora vado eh. Mescolo come sempre romanzi, racconti, saggi e graphic novel e soprattutto magari parlo di libri che non sono veramente usciti quest’anno ma che io ho scoperto solo quest’anno, perché ci arrivo tardi ma ci arrivo.

1. Pelle d’uomo (Hubert / Zanzim)

Per me, il miglior libro che ho letto quest’anno. Graphic novel francese ricco di soluzioni visive interessanti per un fabliaux medievale intelligente e sorprendente sull’identità di genere e le tematiche ad esso legate.

2. Ragazza, donna, altro (Bernardine Evaristo)

Una scoperta sorprendente (ma volevo leggerlo da mesi, è del 2020). Storie intrecciate di donne di colore di ogni genere, età e classe sociale nella Londra di ieri e di oggi. Capitoli a incastro, scrittura sincopata, tematiche attualissime.

3. Diventare uomini (Lorenzo Gasparrini)

Quando ho scoperto che esisteva Gasparrini ho capito che non ero il solo maschio etero cis a interessarmi di questioni di genere e l’ho divorato (i libri, intendo, non lui). Questo è quello che ho amato di più (nuova edizione 2020).

4. Yoga (Emanuel Carrère)

Carrère si conferma uno dei miei scrittori preferiti in questa autofiction a tema meditazione / yoga / vipassana intrecciata con i fatti di Charlie Hebdo e la vita folle e schizofrenica che ha condotto negli ultimi anni.

5. Piranesi (Susanna Clarke)

Il romanzo che ho atteso di più negli ultimi 20 anni è Piranesi. Misterioso e intossicante a partire già dai primi capitoli spezzati e afasici. Ci sono architetture impossibili, menti spezzate, indizi e verità nascoste. Un romanzo rompicapo che si svela solo alla fine.

6. Prima persona singolare (Murakami Haruki)

L’ultima raccolta di racconti del mio amato Murakami, magari non eccezionale ma un’ottima compagnia per i momenti di solitudine. Contiene classici istantanei come la scimmia che parla e beve birra Sapporo e lo scherzone del disco mai uscito di bossa nova di Charlie Parker.

6. La città dei vivi (Nicola Lagioia)

Libro pesissimo dell’anno scorso che ho deciso di affrontare solo quest’anno a proposito dell’omicidio di Luca Varani da parte di Manuel Foffo e Marco Prato. C’è anche un podcast, ma non lo ascolterò. Ho amato il libro ma ho fatto fatica a finirlo.

7. C’era una volta a Hollywood (Quentin Tarantino)

La novelization del film di Tarantino a cura… dello stesso Tarantino. Ci sono alcune cose in più e alcune cose diverse rispetto al film, ma è una valida lettura per reimmergersi in quel clima e quelle atmosfere.

8.Tu sei il più bel colore del mondo (Golo Zhao)

Graphic novel dell’autore cinese che preferisco, in bilico tra poesia adolescenziale e romanzo di formazione con aspetti sociali che parte dalla Cina contemporanea per approdare all’universale. Un ottimo manhua (il manga cinese).

10. Il silenzio (Don De Lillo)

L’apocalisse secondo De Lillo: tutta la tecnologia del mondo, un bel giorno… si spegne. Il mondo diventa improvvisamente molto delilliano! Sullo sfondo, si agitano i personaggi umani.

11. D Una storia di due mondi (Michel Faber)

Un fantasy inaspettato dall’autore di Il Petalo cremisi e il bianco, a metà tra Narnia, Oz e Gianni Rodari, adatto a bambini e adulti che vogliano approfondire il tema dei migranti e il potere del linguaggio.

12. Figure (Riccardo Falcinelli)

Falcinelli è autore di oggetti-libro piacevolissimi, e questo non fa eccezione. Qui smonta tutti i meccanismi della comunicazione visiva per farci capire come funzionano le immagini, dal rinascimento a Instagram, come promette il sottotitolo.

13. Femminili singolari (Vera Gheno)

Uno dei testi più discussi di quest’anno, un trattato leggero ma puntuale sul rapporto tra lingua e realtà, e su come il sessismo reale si rifletta pienamente nel sessismo linguistico. Garantito come spunto di litigi e flame infiniti a botte di “non si può più dire niente”.

14. In. (Will McPhall)

Un graphic novel perfetto per i tempi di pandemia: un fumettista con problemi di comunicazione deve imparare a riconnettersi con le persone. Tragicommedia con uno stile asciutto e molto pungente.

15. Niente di nuovo sul fronte di Rebibbia (Zerocalcare)

Vabbè, dopo la serie TV non si poteva prescindere dal libro, che è una raccolta delle ultime storie già edite in giro ma soprattutto di un interessante e inedito backstage della serie stessa.

Menzione speciale per Alla ricerca del tempo perduto di un tale Marcel Proust, che nei primi mesi dell’anno ho macinato come un pazzo per via di una challenge che poi si è arenata sui Guermantes (perché a 50 anni, ancora non ce la posso fare a leggere tutta la Recherche).