UN FILM COMPLETAMENTE AMORALE, FINALMENTE!

Vinto dal fervente entusiasmo di Sissi e Francesco, appena ho visto che nel locale Blockbuster noleggiavano La casa dei 1000 corpi di Rob Zombie me lo sono subito accaparrato. Come spesso succede nel caso di un film di cui mi hanno parlato in termini troppo positivi, non sono riuscito a farmi coinvolgere più di tanto. Nel senso che – come horror – il film di Rob Zombie è troppo citazionistico e videoclipparo per prendermi allo stomaco. Però di testa ti prende molto. La storia è la solita dei ragazzotti che finiscono preda di una famiglia di assassini e vengono falciati uno ad uno. Il tono del film è grottesco e in una certa misura molto dylandoghiano (dello Sclavi migliore, non del DYD annacquato degli ultimi anni). Rob Zombie ha frullato insieme Tobe Hooper, Marylin Manson, Russ Meyer, Brian Yuzna, gli EC Comics e Zio Tibia, i classici Universal –  il tutto condito con una bella iniezione di metal. Però a mio avviso, anche se le intenzioni erano buone, vedere gli originali (Hooper, Meyer e Yuzna in particolare) è sempre meglio. Comunque il film è abbastanza malsano, putrido, psichedelico, marcio, disturbante, sanguinoso da divertire un sacco. Torture e rasoiate a go-go e un finale delirante tra satanismo e rivelazione del personaggio che si nasconde nelle caverne sotto la casa dei protagonisti. Rob Zombie, nell’intervista, racconta dei suoi problemi a far uscire il film (ci ha messo 4 anni, è tutto detto). La frase migliore è "Alla fine la Warner non si è fatta problemi etici a far uscire il mio film. Loro sono d’accordo con tutto ciò che corrisponde al loro senso morale. Quindi, dato che il mio film è completamente amorale…" ;-))

VAI COME UN PAZZO

Di ritorno dal dentista. L’otturazione è stata fatta, nel giro di pochi minuti, senza anestesia. Henry non crede nell’anestesia. Nella fredda sera di campagna, torno da Grugliasco verso Torino. Mi tengo sulla destra, in questi stradoni con auto sfreccianti, perché non si sa mai. Ad esempio, quella Volvo nera come la notte, quanto va lenta? E perché improvvisamente si ricorda che deve svoltare proprio a destra? In un attimo, il botto. Con torto, ovviamente. Ho un bel borbottare che il signor Volvo aveva messo la freccia all’ultimo momento. Chi tampona ha sempre torto, e comunque stavo tentando di superare a destra. Il signor Volvo è un medico, e tra una bestemmia e l’altra (l’auto è nuova di pacca) mi chiede se sto bene. Io, che come sempre barcollo ma non mollo, faccio un rapido check. Livido su stinco sinistro, un po’ di gonfiore a lato del polpaccio. I miei stivaletti da motociclista saranno anche tamarri ma hanno fatto il loro dovere. Una passante mi si avvicina dicendo "Scusi… questo dev’essere suo, l’ho raccolto così non ci passano sopra le macchine". Il mio bauletto. Hmmmm… Intanto il signor Volvo è alle prese con la dichiarazione amichevole. Io decido di chiudermi in un prudente mutismo. Nella mia vita di patentato ho avuto quattro incidenti. Tre col motorino e uno in auto. Nessuno grave. Due con ragione e due con torto. In quelli con ragione sono stato ingannevolmente messo dalla parte del torto. In uno di quelli con torto mi sono ribellato e ho tentato di dimostrare comunque che avevo ragione io. Stavolta non era il caso. Quel che è certo, è che mi figuravo già il dialogo a casa.
"Ah, eccoti! Mi stavo preoccupando! Tutto bene dal dentista?"
"Sì, sì… dal dentista tutto ok…"
"Ma perché zoppichi?"
"Ma no, niente…"
"…" (silenzio corrispondente ad un’occhiata penetrante/sardonica/inquisitoria di Stefi)
"E va bene, ho avuto un piccolo incidente…"
"LO SAPEVO, MA SE VAI COME UN PAZZO!…"
Ora, io non vado come un pazzo. Svagato, a volte, un po’ sportivo, altre, ma mai tanto veloce da poter dire "guida come un pazzo". Eppure, la scena si ripete poco dopo con Lorenzo, che mi attende all’angolo di via Nizza con la sua Y10 bordeaux.
"Tutto bene?"
"Ma sì, ho fatto un piccolo tamponamento…"
"Per forza, VAI COME UN PAZZO!"
Ok. Sono circondato dai pregiudizi. Marco non lo ha detto, ma so per certo che lo pensa. Stamattina, ora di trasmettere via fax la denuncia di sinistro alla mia assicurazione, faccio una telefonata preventiva.
"…ma è leggibile la dichiarazione?"
"Sì, certo."
"Ci sono tutti i dati della persona con cui ha avuto il sinistro?"
"Sì, ci sono"
"E lei ha ragione, vero?"
"Ehm… no, direi proprio di no."
"…" (silenzio corrispondente al pensiero interiore della segretaria dell’agenzia La Previdente "Se lei va come un pazzo, poi non può pretendere…")
"…Altrimenti avrei un tono meno scazzato, non le pare?"
"Certo."
Nessuno mi capisce. Io vorrei solo essere coccolato. E soprattutto non voglio che nessuno mi dica "vai come un pazzo". Ma questo non è possibile. E io soffro.

CHE PASTICCIO, BRIDGET JONES!

Bridget Jones: The Edge of Reason non è bello quanto il suo prequel. Non è altrettanto divertente, non è altrettanto eccitante, non è altrettanto commovente. Anzi, per dirla tutta è anche poco originale. Però si salva almeno un po’. Perché Renée Zellweger non è ancora arrivata al punto di rifare sé stessa con troppo compiacimento, e perché la sua interpretazione della casinista totalmente fulminata sembra sincera. Colin Firth ha sempre la sua impagabile scopa nel culo e Hugh Grant è splendidamente stronzo con classe. Infatti non si capisce perché, invece di rilanciare, la commedia ricalchi a carta velina il film precedente. All’inizio è dovuto. Si tratta di autocitazione con sorpresa. Poi è semplicemente noioso: Firth e Grant rifanno la stessa scazzottata con le stesse mosse e sbuffi del primo film: solo di giorno, in un’altra location e con un’altra musica (i Darkness al posto di Geri Halliwell – e non so se il cambio guadagna). Le gag sono divertenti, questo è certo. Bridget sugli sci, Bridget che deve acquistare il test di gravidanza, Bridget che fissa Darcy mentre dorme, Bridget che si fa consigliare dal tassista, Bridget che mangia i funghi allucinogeni e l’inevitabile Bridget che prova la guaina contenitiva. Però sono slegate, messe lì una di seguito all’altra (in effetti anche il secondo libro non aveva la stessa freschezza del primo). La colonna sonora manda in visibilio tutte le femmine in sala, ma a parte quella non c’è niente di nuovo sotto il sole. Piuttosto, si nota con amarezza quanto siano invecchiati tutti gli attori principali. Persino Stefi, che nella vita è una delle molte donne totalmente identificate con Bridget (anche lei mi fissa mentre dormo), ha da ridire sull’originalità del film. Ma il suo sguardo lucido sui titoli di coda mi fa capire che sta solo aspettando l’uscita del DVD per consumarlo nel lettore come ha fatto col primo episodio (record di visioni ripetute: 23, di cui in lingua originale: 18).