HAI PAURA DELLA PAURA?

La paura della paura. E’ un po’ una cosa vertiginosa. Solitamente uno ha paura, oppure non ce l’ha, di qualcosa di concreto. Eppure la paura della paura è quello che più spesso mi capita di sentire. La paura di una paura irragionevole, ovviamente. Perché se il pericolo è reale e attuale, mi sembra normale una sana reazione di allarme. Insomma, uno si applica tanto per vivere il più possibile aderente alla realtà ed ecco che quando meno se lo aspetta ricomincia a proiettare, ad avere paura per qualcosa che ancora non c’è. Con questo tipo di paura ti svegli la mattina, cerchi di combatterla tutto il giorno (perché è fondamentale disubbidirle) poi sei stanco e la sera ti prende l’attacco di panico. Paradossale. Che poi abbiamo un’aspettativa di vita superiore a quella dei secoli precedenti, ma siamo bersaglio inerme della paura che i media tentano di instillarci. E non è facile neanche lì, difendersi dalle continue immagini minacciose che sembrano ormai costituire la nostra unica realtà. Non è normale che quando avvii lo scooter per andare a lavorare la mattina pensi "al prossimo incrocio potrei avere un incidente e morire". Anche se, devo dire, il fatto di sopravvivere ogni giorno mi convince di essere, a conti fatti, una persona molto fortunata…!

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NON PIù GIOVANE, NON ANCORA VECCHIO: EFFETTO VELOCITA’

Non so mai definire che cosa sia, esattamente, a farti sentire "vecchio". O più adulto, insomma. Al contrario, so sempre definire che cosa ti fa sentire sempre giovane. Ad esempio: guardare in su quando cammini mentre tutti guardano per terra, sapere che hai mille interessi e vedere che molta gente non ne ha nessuno, ridere un casino con gli amici invece di restare chiuso in un salotto catodico, sentire la forza dell’amore che passa attraverso di te (è un po’ pomposo, lo so, ma non saprei come altro definirla), essere curioso delle cose nuove, sforzarsi di creare qualcosa ogni giorno… E forse è soprattutto una questione di atteggiamento. Quindi: anche se da quest’anno non faccio più parte della categoria commerciale "giovani" (l’unico tipo di categorizzazione che ha valore per la società occidentale) in qualche misura mi porto dietro, come se l’avessi trafugato al me stesso di pochi anni fa, lo spirito di SuperGiovane. Un po’ come Mangoni, insomma. Nello stesso tempo, mentre sei lì, sulla soglia, vedi avanzare sempre più nette all’orizzonte le cose che invece ti fanno sentire vecchio: l’effetto velocità, quello per cui non riesci più a vedere i contorni delle cose perché tutto succede troppo in fretta e tu non fai altro che lasciarti indietro tutto senza nemmeno averlo sperimentato appieno. Quando ti danno del lei nei negozi o in coda all’ufficio postale. Quando ti viene sonno a mezzanotte. Quando preferisci vederti un film vecchio in DVD piuttosto che andarne a vedere uno nuovo al cinema. La rinuncia a determinate cose dettata dalla stanchezza. Il fatto che quando vai a trovare i tuoi ormai è più il tempo che passi ad ascoltare i malanni e gli acciacchi di tutti e a preoccuparti per loro piuttosto che il contrario. Non so. Mi sembra che tutte queste cose entrino in conflitto tra loro. Forse non si escludono a vicenda. Però sono sicuro che è sempre più un casino. Poi c’è il fatto che i tuoi amici intorno a te cominciano ad avere figli. Ecco, forse questa è la chiave, una possibile sintesi tra quello che ti fa sentire vecchio e quello che ti fa sentire giovane. Stupore e velocità, amore e stanchezza, apertura all’esterno e chiusura verso l’interno, eccitazione e sonno. Mah… Decisamente è una questione di atteggiamento.

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ARIA DI OLIMPIADI, ARIA DI LIBERTA’

L’aria olimpica fa se non altro venir voglia di dare un’occhiata più da vicino alla propria città. Non tanto alle strutture olimpiche (sono poco sportivo e poco amante del casino, perciò credo che Oval, Palavela, Stadio Olimpico e tutte queste belle cose me le andrò a vedere a Marzo). Parlo proprio di quei posti che – con l’occasione olimpica – si ristrutturano un po’ e si danno un tono da metropoli proiettata nel futuro. Quando invece non c’è niente di più deliziosamente sabaudo. Il Museo Egizio e il Museo di Scienze Naturali fanno parte di questa categoria di posti. Li puoi vedere in pausa pranzo, se lavori in centro. Polverosi, odorosi di antica pergamena, di mummia, di tassidermia. Con quelle vetrine fine ottocento, i cartigli vergati con la penna d’oca dai coraggiosi esploratori e naturalisti piemontesi. Con quei disperati tentativi di cartelloni colorati per attirare l’attenzione delle scolaresche imbizzarrite (è tradizione taurinense che questi due musei vengano visti una sola volta nella vita, possibilmente all’età di 7 anni). Con quei custodi tristi, scazzati, nerovestiti e perennemente impegnati a parlare fitto a bassa voce tra loro o ad aggirarsi come automi tra i corridoi deserti proclamando a intervalli regolari "Non si toccano le vetrine". Con quella cornice barocca e sorprendente data dal palazzo dell’Accademia delle Scienze (il Museo Egizio) e dall’ospedale San Giovanni "Vecchio" (il Museo di Scienze Naturali).  Con quei piani seminterrati assolutamente in contrasto con il resto del percorso espositivo: nuovi, inquietanti, asettici. Andarci in pausa pranzo vuol dire far echeggiare i propri passi sul palchetto scolorito, respirare il silenzio e perdersi nel meraviglioso sogno di essere una sorta di Indiana Jones / Dottor Pautasso in missione in Egitto, in Australia o in qualche terra lontana. Magari tra gli Inuit, oggetto di una pregevole mostra al Museo di Scienze. Poi, lo confesso, ho fatto un salto anche in Piazza Solferino (la quarta piazza stravolta di Torino). Perché volevo vedere l’iceberg colorato davanti alla fontana angelica (per la precisione, il "Dente del gigante" di Richi Ferrero e Carmelo Giammello). Assolutamente fuori luogo e perciò stesso geniale, questa scultura multicolore non si limita ad essere. Produce suoni inquietanti sotto gli occhi dei torinesi scettici ("Era tanto una bella piazza" è il commento più frequente). Purtroppo pare che lo sposteranno alla fine delle Olimpiadi. Peccato. Chiederò al Chiampa se me lo posso portare a casa io. Starebbe da dio sul mio tavolino del kitsch.

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