URGH! A MUSIC WAR

Lo scorso weekend mi è capitato di vedere un film del 1981 che non avevo mai intercettato: Urgh! A Music War di Derek Burbidge. Nel panorama dei film musicali di fine anni ’70 / inizio anni ’80 è abbastanza un unicum, e vado subito a spiegarvi perché (ma intanto: trailer).

Urgh! A Music War (d’ora in poi UAMW, da pronunciarsi uammev’, alla napoletana) è costituito essenzialmente da 2 ore piene di assalto sonoro a base di Police (prima maniera, quindi pre-stadi olimpici), Magazine, XTC, Pere Ubu, Echo & The Bunnymen, X, Gang of Four, Devo, Cramps, Oingo Boingo, Dead Kennedys, Gary Numan e un pacco di altre band più o meno conosciute.

Quindi, laddove ad esempio Jubilee di Derek Jarman o The Great Rock’n’Roll Swindle di Julien Temple (i più “classici” film punk che vengono in mente) hanno una sorta di trama e una serie di invenzioni visive inframmezzate dalla musica, UAMW no. Laddove Blank Generation di Amos Poe o The Decline of Western Civilization di Penelope Spheeris (per citare i due film punk americani più famosi) mescolano esibizioni live e spezzoni di dietro le quinte cercando di presentare un ritratto più o meno approfondito della scena punk a NY o a LA, UAMW presenta a rotazione il maggior numero di artisti possibili, scivolando comunque in modo plateale verso il post punk e la new wave che è poi il “mio” genere, quello che da pischello ascoltavo con più frequenza.

C’è solo un altro film del periodo che ha una colonna sonora simile, ed è Times Square di Allan Moyle, uno stracult difficilissimo da trovare che è comunque la storia di due adolescenti che fanno una vita molto punk a New York (ma la colonna sonora è tutta new wave). In seguito John Hughes avrebbe riproposto queste sonorità nei suoi film, ma non con lo stesso risultato.

Le vette di UAMW sono l’esibizione dei Devo (Uncontrollable Urge!), quella dei Cramps (in cui un giovanissimo Lux Interior fa cosacce col microfono), quella di Klaus Nomi, quella di Pere Ubu (mai visto dal vivo, e qui si capisce molto da chi ha preso James Murphy), gli Oingo Boingo (ma anche gli UB40 prima maniera) con le loro jam infinite.

C’è anche ovviamente un doppio album della colonna sonora che mi sa abbastanza introvabile (su Spotify c’è una playlist che supplisce). Se volete un’esperienza insolita, c’è anche un utente Flickr che ha caricato i flani cinematografici in mezzo a vari altri flani di film horror del periodo.

In ogni caso, io ho visto tutto il film a spezzoni su YouTube, mentre ho scoperto dopo che è possibile vederne una versione integrale su Vimeo. E, a proposito di chicche introvabili, anche Times Square lo potete vedere tutto on line, su Internet Archive. Enjoy!

BUSSANO A QUEST’ORA DEL MATTINO: CHI SARÀ MAI?

No, non è il Conte Dracula, purtroppo. Invece è Dave Bautista in versione insegnante delle superiori sudaticcio e piagnucoloso. Avrete capito che sto parlando di Knock at the Cabin, l’ultimo film di Sciamalayan, Shalamayan… Shyamalan, maledizione! Trailer per voi.

E allora com’è questo ennesimo “ritorno” di Shama… del regista indiano? Sulla carta, interessante. Prende il genere home invasion, lo ibrida con la sua personale ossessione per l’apocalisse e soprattutto lo ribalta radicalmente presentandoci gli “invasori” come personaggi con cui empatizzare.

Ma andiamo con ordine. Il film ha un attacco strepitoso, con la bambina Wen che gioca nel prato davanti alla sua casa delle vacanze e un gigantesco Dave Bautista che si avvicina a lei suadente e tenta di fare amicizia (ma si capisce che dietro c’è qualcosa di ambiguo). Superata l’impressione che di lì a poco la bambina possa dire qualcosa come “Ora più niente restare, cosa possiamo ancora gettare?” (insieme, i due fanno persino m’ama non m’ama con i petali di un fiore), arriva la terribile rivelazione. Bautista non è solo, di lì a poco arrivano Rupert Grint sempre un po’ Ron Weasley e altre due tipe dall’aspetto di pazze tranquille.

I quattro per farla breve irrompono in casa di Wen e dei suoi due papà, li legano e gli spiegano che non faranno loro del male ma che per fermare l’apocalisse già in atto loro dovranno sacrificare un membro della famiglia, non vale il suicidio, serve proprio un sacrificio umano in grande stile, altrimenti Dio onnipotente scatenerà tsunami, cavallette, pestilenza e fulmini incendiari.

Ora, capirete anche voi che le premesse sono un po’ assurde, ma questo è Scialam… vabbè.

Lati positivi: una regia che riesce comunque a tenere alta la suspence trattando in pratica una stanza chiusa come una location in cui fare sfoggio di cambi di fuoco, inquadrature angolate in modo inedito e interessanti movimenti nello spazio; Dave Bautista che recita in sottrazione; il fatto che ci sia una coppia gay e che non tutto giri morbosamente sulla loro sessualità.

Per il resto, sangue poco (ce ne sarebbe a fiumi, ma viene deciso di non farcelo vedere); scrittura sciatta e da costante machecazzo; addirittura ti buttano lì una potenziale importantissima sottotrama per poi non risolverla assolutamente (l’identità di uno dei quattro autoproclamati cavalieri dell’apocalisse potrebbe essere già nota ai due padri).

Finale assolutamente prevedibile e moscio come in tutti i più recenti film di Shyamalan, a parte forse The Visit e Split che restano i suoi unici thriller che funzionano – almeno secondo me.

E niente, tutte le volte ci casco. Pensare che i titoli di testa sono belli.

CINEMA SPECULATION

In questi giorni il mio tempo libero è quasi totalmente assorbito da Cinema Speculation, il libro di Quentin Tarantino che racconta la sua matta infanzia di spettatore cinematografico (abbastanza simile alla mia se sorvoliamo sul fatto che lui ha 7 anni più di me e questo fa la differenza sul tipo di film che vedevamo da piccoli).

Fughiamo subito il dubbio: il film più terrificante di tutti i tempi, per Quentin bambino, fu Bambi. Ma tra i 6 e i 9 anni ha visto una serie infinita di revenge movies, blaxploitation, commedie per adulti, robe sanguinose di vario genere perché… i suoi ce lo portavano, a patto che lui non rompesse i coglioni. E a Quentin piaceva da matti stare in mezzo agli adulti. Del resto, come recita la quarta di copertina:

A un certo punto, quando mi resi conto di vedere film che ai miei coetanei con era concesso vedere, ne chiesi conto a mia madre. Mi rispose: “Quentin, mi preoccupa di più se vedi i telegiornali. Un film non può farti male”.
Quentin Tarantino

Descrizioni della sua infanzia a parte, che comunque spiegano molto di più dei film di Tarantino rispetto alla solita nota storia di commesso onnivoro di videostore negli anni ’80, il nostro analizza nel libro una manciata di film chiave usciti nel decennio 1969-1979 alcuni dei quali non ho visto e devo assolutamente recuperare (un esempio su tutti: Rolling Thunder).

Tarantino ovviamente è in grado di fornire interessantissimi backstage sui lavori di Scorsese, De Palma, Milius, Hill, Schrader e di molti altri registi considerati minori semplicemente perché… gli capita spesso di chiacchierarci insieme e di chiedergli conto di alcune scelte creative.

C’è molta storia della critica cinematografica statunitense, anche. E se stiamo al titolo del prossimo (ultimo?) film del nostro, The Movie Critic, questo libro potrebbe offrire più di un indizio su chi sarà il protagonista della storia.

Comunque sia, il punto chiave è che il piccolo Quentin ha cominciato a vedere film esattamente nel periodo d’oro in cui la New Hollywood prendeva piede e faceva piazza pulita del cinema di papà – un periodo in cui i film, inevitabilmente, finivano male (a partire dalla prima fase pro-hippy fino agli ultimi scampoli di giustizialismo in odore di fasci). Solo quando Quentin diventa adolescente comincia il periodo dei Movie Brats (Spielberg, Lucas, Coppola, Scorsese e De Palma) che traghetta Hollywood da un orizzonte senza alcuna speranza al divertimento e al blockbuster.

Ma proprio quando Quentin comincia a lavorare nel proverbiale videostore e comincia a macinare videocassette, arrivano gli anni ’80, il decennio per lui più brutto della storia del cinema americano insieme agli anni ’50. Si capisce quindi come con le sue sceneggiature e i suoi film lui andasse alla ricerca della sua infanzia cinematografica in cui il primo Woody Allen si intrecciava con il Giustiziere della Notte o con il Peckinpah più estremo.

In ogni caso il libro è una fonte inesauribile di annotazioni per film da vedere e attori da riscoprire di quel magico periodo: io ho cominciato ad andare al cinema con mio padre nel 1979, quindi mi trovo slittato in avanti di qualche anno, a livello di spettatore infantile (ho cominciato proprio nel periodo dei Movie Brats).

Se vi piace Quentin, il libro è una lettura fondamentale.
Se non vi piace Quentin è fondamentale lo stesso, per immergersi in un certo tipo di cinema accompagnati da uno che ne sa a pacchi.