CANI E PADRONI DI CANI: DOGMAN

Vale la pena di recuperare Dogman (non quello di Garrone, ma il film omonimo di Luc Besson dell’anno scorso)? Potrei dirvi di sì, ma poi mi aspettereste sotto casa per picchiarmi. Quindi vi dirò di sì comunque, ma con riserva.

Cioè, se vi piacciono le storie talmente assurde, campate in aria e tagliate con l’accetta da fare il giro e diventare quantomeno interessanti, Dogman è il vostro film. Se non è la vostra tazza di tè, in ogni caso, c’è Caleb Landry Jones (quell’attore che vi fa dire “eppure l’ho già visto” e che ha fatto un lavoro egregio come personaggio secondario in decine di film) che nell’interpretare Doug, il protagonista, fa veramente impressione da quant’è bravo. E diciamo che si tiene sulle spalle tutto il film. Cioè: lui, e i cani.

Doug infatti è il “dogman” del titolo. Un bambino talmente seviziato da un padre violento da essere chiuso in gabbia con i cani da combattimento e trattato come una bestia. Quando finalmente si libera, il ragazzo selvaggio ormai orfano trova la salvezza nel teatro. E poi nei cani, con i quali ovviamente riesce a comunicare in modo quasi telepatico.

Doug diventa una sorta di villain alla Joker, senza la follia omicida ma con un gusto particolare per gli spettacoli in drag. Ah, dimenticavo che il povero Doug è anche paralizzato dalla vita in giù e sta in sedia a rotelle perché un colpo di fucile partito per sbaglio l’ha beccato nella schiena da piccolo.

Insomma, immaginatevi questo tipo, che all’inizio del film viene catturato dalla polizia e interrogato da una psicologa racconta la sua triste storia criminale, pittato come in una replica di Cabaret, in sedia a rotelle, tabagista e canaro. Non vi viene la curiosità?

Se la curiosità ve la volete togliere, il film si trova “in giro”, poi però non mi venite ad aspettare sotto casa.

BLUE BEETLE, NON SO CHE DIRE

Ciao, sono Pietro e di tanto in tanto guardo un cinecomic mentre mangio. Siccome ho dato una chance a The Marvels mi sembrava brutto non darla a Blue Beetle, tanto più che c’è di mezzo un supereroe di cui francamente non avevo mai letto nulla, che è messicano e che è interpretato da quel patatone di Xolo Mariduena che tanto ci piace in Cobra Kai.

E niente, Blue Beetle è quel che promette: un action caciarone con uno scarabeo alieno (?!) che si azzecca tipo simbionte sul corpo del nostro spaventando tutta la sua stereotipica famiglia mexicana e causandogli 1) superpoteri un po’ alla Iron Man e 2) l’attenzione di una bella figheira che altri non è che la figlia del “vecchio” Blue Beetle.

Ma la perfida zia di lei (giuro, c’è anche la perfida zia ed è Susan Sarandon) è pronta a tutto per recuperare lo scarabeo e trasformare il suo scagnozzo in un supersoldato. Fa brutto alla famiglia di Xolo finché lui non si predispone alla vendetta. Ma Xolo è un buono e le cose finiscono ovviamente a churros e vino.

Che dire. Ai bambini piacerà. Ha molta musica mariachi che fa allegria.

TO BEE OR NOT TO BEE

Ho voluto vedere The Beekeeper di David Ayer più che altro per confermare un mio sospetto, e cioè che fosse un film talmente di merda che fa il giro e diventa godibile. Sospetto ampiamente confermato.

Il nostro Jason Statham è un beekeeper, cioè un apicoltore. La commedia degli equivoci sta nel fatto che i beekeeper sono una sorta di corpo speciale segretissimo che nemmeno CIA ed FBI conoscono, delle implacabili macchine di morte. Ma Statham, oltre a quello, è anche un vero apicoltore, con le arnie, le fumigazioni e tutte cose, che peraltro nasconde un telefono satellitare in una delle arnie.

Ma insomma, com’è come non è, Statham apicoltoreggia nel terreno della sua anziana amica slash madre surrogata che un bel giorno viene truffata da un gruppo di hacker cattivi che mettono il malware nei computer e ti prosciugano il conto in banca. La vecchia per lo sconforto si uccide e lì parte la vendetta tremenda vendetta del beekeeper.

Dopo i primi venti minuti, quindi, il film decolla, con Statham che si presenta nel finto call center dei truffatori con due taniche di benzina e una cazzimma grande così. Seguono esplosioni, gente che muore male, il capo dei supercattivi (Josh Hutcherson nel ruolo del nepo baby tech bro) e il suo consigliori (Jeremy Irons nella sua marchetta migliore) che gli buttano addosso un boss intermedio dietro l’altro – e Statham li fa fuori tutti in modi molto creativi.

Tutto ciò sempre con un montaggio schizofrenico e una sceneggiatura che – siccome il film si intitola The Beekeepernon può esimersi dall’infilare ogni 10 minuti al massimo una battuta sulle api tipo “to bee or not to bee” o reference al lavoro dei fuchi, alla protezione dell’alveare, alla necessità di eliminare l’ape regina, etc.

Viene fuori infatti che la madre dell’odioso pischello truffatore è… ma no, perché togliervi la sorpresa. Comunque, un sacco di ossa rotte e di accoltellamenti, impiccagioni improvvisate, una bella caduta in ascensore e tutto sommato un’ora e quaranta di spensieratezza e mazzate.