LA RUOTA DELLA FORTUNA DI HAMAGUCHI

Su Mubi forse ancora per un paio di giorni c’è Wheel of Fortune and Fantasy, realizzato da Ryusuke Hamaguchi nello stesso anno di Drive My Car. Laddove però Drive My Car era un filmone di tre ore, qui siamo di fronte a tre cortometraggi da 40 minuti l’uno raccolti sotto un unico emblematico titolo.

Il primo episodio, Magic (or something less reassuring) segue la storia di Meiko e Gumi in taxi: Gumi racconta la sua meravigliosa esperienza con un uomo che, guarda un po’, si rivela essere l’ex di Meiko. Segue un confronto a tre che sarà risolto con un piccolo atto di “magia”.

Nel secondo episodio, Door Wide Open, la matura studentessa Nao cerca di sedurre il professor Segawa leggendogli brani erotici dal suo stesso romanzo. Segawa però non si lascia andare a comportamenti inappropriati (anzi, vuole lasciare la porta dell’ufficio “wide open”). Seguiranno casini.

Nel terzo episodio, Once Again, ambientato inspiegabilmente in un mondo in cui non esiste Internet perché un virus ha bloccato tutti i sistemi informatici, Moka e Nana si incontrano per caso, ognuna delle due è convinta di riconoscere nell’altra la migliore amica dei tempi del liceo, finché emerge che così non è. Segue un esperimento di role playing per permettere alle due donne di “sbloccarsi“.

Hamaguchi basa tutto su tranquille inquadrature e dialoghi spiraleggianti, continui, probabilmente provati e riprovati come a teatro, perché le sequenze senza stacchi sono veramente tante. L’impressione che ne ho derivato è stata molto kieslowskiana (non saprei dire altrimenti), un film sulla forza del caso e sulle soluzioni fantasiose che l’umanità può adottare per far funzionare le relazioni e la comunicazione tra diversi individui.

ROBOT DREAMS, TRA CHAPLIN E ALLEN

Robot Dreams di Pablo Berger ha vinto l’Annie Award e il Festival di Annecy, L’European Film Award come miglior film d’animazione, è stato candidato all’Oscar… e niente, poi lì si è scontrato con dei mostri sacri. Ma è veramente uno dei film animati più belli di sempre.

Intanto è assolutamente internazionale, dato che non si parla. E poi è un “classico”, nel senso che prende moltissime situazioni da film dell’epoca del muto (Chaplin su tutti) e le declina in chiave moderna, ambientando il film in una New York anni ’80 che immerge il tutto in un bagno di nostalgia per Gen-X e Millennial, oltre che richiamare esplicitamente un’estetica da Woody Allen dei tempi d’oro.

In realtà Robot Dreams è un film pensato soprattutto per bambini, ma con easter egg, citazioni e situazioni che possono appassionare gli adulti con riferimenti a Basquiat, alla breakdance, ai Talking Heads, al CBGB e a tutta la cultura dell’East Village dove in effetti si trova la casa di Dog, il protagonista (un cane).

Dog si sente solo, e acquista per corrispondenza un amico robotico da montare. Con lui inizia a divertirsi e a vivere la vita, finché un bel giorno non vanno a Coney Island e il robot rimane un po’ arruginito e senza batteria: non riesce più ad alzarsi dal telo. Da quel momento Dog e Robot sono costretti a separarsi: la spiaggia chiude e riaprirà solo il 1 luglio successivo, unico momento in cui Dog potrà recuperare il suo amico.

Ci riuscirà? Sì e no, come si vedrà nel corso del film che racconta la vita di Dog alla continua ricerca di altre esperienze e i sogni di Robot, sempre immobile sulla spiaggia che anela a ricongiungersi con il suo amico.

Il finale è sorprendente nel suo non essere un vero e proprio lieto fine e insegna anche agli adulti qualcosa di dolceamaro sulle relazioni. Un piccolo capolavoro.

ALL OF US STRANGERS: PIANGIOMETRO A 11

All of Us Strangers di Andrew Haigh è uno studio sulla solitudine, sulla queerness, sul desiderio e sul potere dell’amore – letteralmente, dato che il tema principale è The Power of Love del Frankie Goes To Hollywood (ma a stracciare il cuore arrivano anche i Pet Shop Boys, i Fine Young Cannibals, gli Housemartins, i Blur).

La premessa è questa: Adam (Andrew Scott) è uno scrittore in depressione, che vive solo in un grattacielo semideserto di Londra dove a quanto pare l’unico altro abitante è Harry (Paul Mescal) che una sera ci prova con lui proponendo una bevuta. Adam rifiuta cortesemente. Su un piano di realtà che sembra lo stesso, ma dopo pochi minuti scopriamo che è diverso, Adam si fa prendere dalla nostalgia e torna a visitare la casetta suburbana dove viveva con i genitori 30 anni prima.

In un parco incontra un uomo che gli fa cenno di andare con lui, supponiamo per del sesso rubato dietro una fitta siepe… ma no. Quell’uomo non è quello che pensiamo. Da lì tutto prende una piega molto weird, molto giapponese (il romanzo da cui è tratto il film è giapponese, ci avrei giurato quando alla fine è apparso nei credits) e molto dolorosa.

Ci sta che tutte le recensioni che ho visto (dopo) rivelino nelle prime righe l’elemento chiave del film: si svela nei primi venti minuti, però mi spiace comunque dirvelo, ve lo vedete da soli. Adam è un uomo gay solo, con un grande trauma alle spalle e quello che vive durante le visite alla sua casa d’infanzia è come un balsamo che a poco a poco scioglie il suo dolore che – come dice lui stesso – nel tempo si è solidificato.

Nel frattempo, a Londra, Adam inizia a frequentare Harry e a trovare sempre di più in lui un compagno, un alleato, una persona con cui lasciarsi andare e di cui prendersi cura. Finché anche la sua prima vera relazione con un’altra persona prende una piega fottutamente weird. E stavolta sono cazzi.

Tutto in questo film è superlativo: i due protagonisti sono entrambi eccezionali (giova il fatto che sono i due attori che più di ogni altro fanno vacillare la mia eterosessualità), Claire Foy e Jamie Bell nel ruolo dei genitori di Adam sono perfetti, la colonna sonora è quella che vi ho detto, la fotografia e soprattutto il montaggio, ricco di effetti, sovraimpressioni, tagli strani, immergono il tutto in un’atmosfera irreale.

Inutile dire che il piangiometro va decisamente sull’11. E che è uno di quei film dal finale talmente aperto che poi la gente va a cercare gli articoli on line tipo “All of Us Strangers Ending Explained” invece di continuare a piangere come se non ci fosse un domani.