ANNO NUOVO, PILLOLA ROSSA NUOVA

Ehi, ciao. Anno nuovo, vita… uguale. Chiusi in casa quasi sempre, con il solo aiuto delle piattaforme di streaming e della pesca d’altura. Vorrei dirvi tante cose, ma è meglio se cominciamo subito che c’è tanto da leggere.

HILDA AND THE MOUNTAIN KING (Andy Coyle, 2021)

Primo dell’anno, prima #recensioneflash per tutta la famiglia! Hilda and the Mountain King su Netflix è la degna conclusione, dopo tre stagioni, di una delle serie animate più belle degli ultimi anni. Il film sconta un po’ il problema di essere una sorta di capitolo finale (cioè, devi aver visto le tre stagioni di Hilda per goderlo appieno), ma del resto anche l’ultimo Spider-Man richiedeva un po’ di studio pregresso, no?

Comunque sia, Luke Pearson e il suo team sono riusciti a trasporre in modo eccezionale il mondo di Hilda dalle pagine del fumetto al film (Hilda e il re della montagna è uno dei libri più belli di Pearson). Il mondo dei troll si contrappone a quello degli umani sulle montagne intorno alla ridente cittadina di Trollberg: i personaggi che chi ha visto la serie ha già imparato ad amare stanno cercando di sciogliere l’enigma di Hilda, la bambina che è stata scambiata con un troll e adesso vive nel cuore della montagna. Un coinvolgente e mai banale apologo sulla guerra, la diplomazia, l’accettazione delle diversità e dell’amore familiare. Spero sempre che comunque facciano un’altra serie di Hilda, perché è veramente troppo bella.

LA FAMOSA INVASIONE DEGLI ORSI IN SICILIA (Lorenzo Mattotti, 2017)

Piccolo gioiello forse poco apprezzato dell’animazione italica (d’altronde, Lorenzo Mattotti, e ho detto tutto), La famosa invasione degli orsi in Sicilia è la trasposizione filmica dell’omonimo romanzo illustrato “per bambini” di Dino Buzzati (che – insieme al suo “Poema a fumetti” – si contendevano con Gianni Rodari il posto d’onore sui miei scaffali negli anni ‘70).

Questo LFIDOIS di Mattotti che qui cura regia, sfondi e character design è più debitore degli ultimi sviluppi del suo lavoro più recente come fumettista e illustratore (Ghirlande, la serie dei Pittipotti) che dei famosi fumetti degli anni ‘70 realizzati ad esempio per Alter Alter con il gruppo Valvoline (Dottor Nefasto, Fuochi) e non vorrei sbagliarmi ma presenta una cornice narrativa che non ricordavo – quella del cantastorie e della ragazzina che raccontano la storia all’anziano orso nella caverna.

Per il resto la storia è nota, il re Orso Leonzio perde suo figlio Antonio (il principe Orso). Per ritrovarlo si troverà ad interagire con gli umani, una razza infida e malevola, non certo onesta come gli orsi. Tra avventure naïf e creature mitiche (ma senza abdicare alla critica sociale che già era di Buzzati) e con l’aiuto di voci di punta come Toni Servillo, Mattotti porta a casa il risultato realizzando il film animato italiano degli anni ‘10 – se la giocano questo e La gatta Cenerentola, per dire. Da recuperare. #recensioniflash

GHOSTBUSTERS: AFTERLIFE (Jason Reitman, 2021)

Come si poteva pensare di riallacciarsi ai primi due Ghostbusters cancellando in un colpo solo l’odiatissimo film del 2016 di Paul Feig (che per la cronaca a me era pure piaciuto)? Solo Jason Reitman (col babbo a produrre) poteva osare tanto. E la cosa bella è che i Ghostbusters originali hanno solo un cameo.

Mi spiego meglio. Reitman non ha giocato tutto sull’effetto nostalgia rimettendo in campo Venkman, Stantz, Spengler e Zeddemore (anche perché Harold Ramis è deceduto da mo’), ma è riuscito a fare un film nuovo, diverso, con un tot di agganci e di legami con gli originali ma con protagonisti “nuovi” (vabbè, la figlia e i nipoti di Spengler, che guarda caso muore in circostanze misteriose all’inizio del film).

Per il resto è una bella cavalcata tra cimeli anni ‘80, nuove sensibilità anni ‘20, vecchi ritornelli (il mastro di chiavi e il guardiano di porta) e antagonisti (Gozer il Gozeriano), un’ambientazione decisamente inedita. Ottimo come sempre Paul Rudd (non fa rimpiangere Rick Moranis) e bravi i giovani protagonisti. Dove il film secondo me si incarta un po’ è proprio quando arrivano gli attesissimi Ghostbusters quasi tutti in carne ed ossa. Lì l’equilibrio si spezza ed è tutto un po’ “ooh guarda come sono invecchiati, ooh Venkman fa le stesse battute” e niente, diventa fan service. Ma con la lacrimuccia. Scene post credits (due) totalmente inutili ma simpatiche. #recensioniflash

FREE GUY (Shawn Levy, 2021)

Vabbè, questo è un curioso cocktail di Matrix, Groundhog’s Day, They Live (gli occhiali), Truman Show, Bandersnatch, Tron, Lego Movie (è tutto meravigliosooo) e chi più ne ha più ne metta. Non è indigesto e non è nemmeno così stupido come sembra a prima vista – di certo è il film perfetto per “staccare”. Guy (Ryan Reynolds, sempre simpatico nonostante vorresti odiarlo) è un PNG – personaggio non giocante – di un videogame genere Grand Theft Auto dove si fan punti compiendo crimini qua e là.

Nel mondo reale invece ci sono Millie (Jodie Comer) e Keys (Joe Keery), i programmatori che hanno creato il gioco. O meglio, una prima build del gioco, poi rubata dal perfido Antwan (Taika Waititi, meravigliosamente stronzissimo) e nascosta tra le pieghe del suo MMO. Millie gioca come una pazza per trovare prove del furto di Antwan nel gioco, ma nel frattempo Guy – che sviluppa una sorta di libero arbitrio – si innamora di lei.

La scrittura e la regia (Shawn Levy) non offrono grandi sorprese ma il film soddisfa per i suoi effetti speciali “buttati là” come se niente fosse e per un paio di strizzate d’occhio Marvel/Lucas… per il resto è derivativo, ma almeno deriva dalle sorgenti giuste. #recensioniflash

ANTLERS (Scott Cooper, 2021)

Antlers (in italiano “Spirito insaziabile” LOL ma anche CRINGE) è una curiosa variazione ecologica sul tema del Wendigo, la mitica creatura delle storie di paura native americane. Una storia pesa perché c’entrano bambini abusati, storie acide di metanfetamine e porte sprangate con diversi lucchetti. La componente splatter mi è parsa eccellente e basata su effetti prostetici di buona qualità – per lo più cadaveri e/o parti di corpi mezzi mangiati. Il problema è che il Wendigo, come viene spiegato ad un certo punto, una volta che assaggia la carne umana va in modalità berserk e sono cazzi.

Tutto è intrecciato con la storia di una maestra che inizia ad indagare sulla vita del suo allievo Lucas, un bambino evidentemente traumatizzato e – pensa lei – abusato dal padre. Solo che non si tratta dell’abuso che pensa lei. La aiuta il fratello sceriffo Jesse Plemons, per me attore dell’anno 2021. Comunque, più che guardabile, anche se sul Wendigo Larry Fessenden aveva messo la parola fine già qualche anno fa. Ah, c’è di mezzo Guillermo Del Toro, solitamente garanzia di qualità. #recensioniflash

MATRIX RESURRECTIONS (Lana Wachowski, 2021)

E finalmente ho visto The Matrix Resurrections. Avevo un po’ paura. Molti dicevano “bah, occasione sprecata”, altri dicevano “troppo meta”, altri “troppo poco meta”, alcuni dicevano “combattimenti mosci” e poi insomma, ormai è fin troppo facile arrivare alla visione di un film con la testa già piena di (pre)giudizi negativi. Invece devo dire che io ho goduto abbastanza. Perché io ho un sentire comune con Lana Wachowski.
Al di là di Bound e della trilogia originale di Matrix, io ho amato alla follia anche creature imperfette come Speed Racer o Jupiter Ascending, per non parlare di capolavori come Cloud Atlas. E – pur con un certo ritardo – ho scoperto Sense 8, vera summa del wachowski-pensiero. E proprio da Sense 8 (che cede alcuni attori a Matrix Resurrections) vorrei partire. L’interesse di Lana Wachowski, alla fine, è “banalmente” l’amore. E Matrix Resurrections, con buona pace di tutti è un film d’amore. Un fottutissimo film su una storia d’amore oltre la morte, oltre le macchine, oltre il mindfuck. Se questa cosa non vi va giù, meglio non vederlo.
Poi certo, c’è tutto il sottotesto filosofico: “It is so much simpler to bury reality than it is to dispose of dreams”, è la citazione di Don De Lillo scritta nel cesso del cafè dove Thomas Anderson incontra l’elusiva Tiffany nel “nuovo” Matrix frutto della mente perversa dell’Analista (il nuovo Architetto, in pratica). Ma è un sottotesto con cui Lana Wachowski gioca perché deve, in modo a volte un po’ imbarazzante con continui insert dai film precedenti come a dire “Vedi? Questo è il nuovo agente Smith, tienilo a mente” (e comunque Jonathan Groff si mangia ogni scena dove appare e il combattimento tra lui e Keanu Reeves è una delle cose migliori del film).
Quindi sì, tutta la prima parte del film è un po’ una selvaggia presa per il culo delle convenzioni di hollywood, un’autosatira a grana a volte un po’ grossa. Poi improvvisamente siamo di nuovo con gli uomini liberi, con le macchine, i baccelli, Niobe (Jada Pinkett invecchiata fighissima), i tentativi di liberare Trinity, il braccio di ferro con l’Analista, la super battaglia finale… Tutto molto giusto e (qualcuno potrebbe dire) tutto molto compitino.
A me che c’ho 50 anni e che ho cominciato a leggere cyberpunk nel 1990 e che nel 1999 mi esaltavo per le avventure di Neo, The Matrix Resurrections è sembrato comunque affascinante pur con i suoi lati imperfetti. Sono invecchiati anche loro come me, nessuno di noi si prende troppo sul serio, ma quando c’è da rivivere certe storie e certi temi, ci mettiamo d’impegno.
Che altro posso dire… occhio a Christina Ricci, all’autocitazione di Rise Up dei RATM nella cover di Sophia Urista e soprattutto alla scena dopo i titoli di coda, che non aggiunge un cazzo ma è assolutamente geniale.

THE ETERNALS (Chloé Zhao, 2021)

Quando ero piccolo, per me non esisteva la Marvel. Esisteva solo l’Editoriale Corno, i cui fumetti divoravo ogni giorno. I miei preferiti erano quelli di Jack Kirby, di cui adoravo il lavoro su Kamandi e i Fantastici 4, e di Marv Wolfman, che con il suo penchant per i vampiri aveva dato vita a Dracula con Gene Colan e ovviamente a Blade. Inutile dire che uno dei miei “giornaletti” preferiti era Gli Eterni, in cui Kirby e Wolfman titaneggiavano con le serie dedicate agli Eterni e al supereroe Nova.
Flash forward al 2022. Ricordo vagamente Gli Eterni come una saga complessa e filosofica, e mi approccio al film di Chloé Zhao con curiosità: la regista di Nomadland in un film Marvel? Cosa potrebbe mai andare storto? Sulla carta, molte cose. Alla prova dei fatti, Eternals è un film-fiume di 157 minuti che – almeno per la mia sensibilità – non è per niente noioso. È certamente contemplativo, filosofico, a tratti verboso (ma ci sta), epico in un senso in cui nessuno dei precedenti 25 film Marvel è mai stato “epico”. Ma non noioso.
Scopro dopo averlo visto che il film è stato preventivamente stroncato perché – orrore – reo di non aver rispettato il materiale d’origine (ma che noia, cazzo) e soprattutto di aver inserito tra gli Eterni un gay di colore e sovrappeso, una ragazzina androgina, una sordomuta, due asiatici, un indiano e Angelina Jolie. Finalmente, direi.
Polemiche a parte, Zhao ha fatto un film equilibrista, in linea con le sue consuete scelte registiche pur nel solco della “tradizione Marvel”. Perciò sì, è un film che a tratti ha delle questioni irrisolte, lungaggini, scene d’azione potenti, ma che è destinato a lasciare l’amaro in bocca ai fan dei film spensierati e cazzoni ma anche ai duri e puri dell’autorialità. Per me Zhao ha fatto una scelta coraggiosa e Kevin Feige indica Eternals come il film chiave per la nuova fase MCU (il che mi fa pensare che andremo sempre più verso il lato cosmico della Marvel, e da piccolo kirbyano questo non può che farmi piacere).
La trama, dai che la sapete, in due parole gli Eterni sono una razza “super” creata dai Celestiali che viene mandata sui pianeti a difendere la popolazione locale dai Devianti (che in questo film purtroppo sono mostroni in CGI) e far evolvere la civiltà. Da piccolo non avevo capito che molti dei nomi degli Eterni erano divinità olimpiche o comunque personaggi della mitologia (Ikaris/Icaro, Thena/Atena, Phastos/Efesto, Makkari/Mercurio, Sersi/Cerere, etc). Poi però gli Eterni si comportano come una qualsiasi famiglia (molto) disfunzionale e lì sono cazzi amari. A scompaginare il tutto la notizia che dentro la terra c’è un Celestiale intrappolato che vorrebbe uscire (ma per uscire deve distruggere il pianeta).
Due o tre flash interessanti: l’uso di Time dei Pink Floyd all’inizio del film, L’arrivo di Harry Styles (!!) nella scena post-credits, la riproposizione della rivalità tra Jon Snow e Robb Stark (qui rispettivamente fidanzato umano e amore Eterno di Sersi). Ah, ovviamente le scene post credits sono due. Guardatele entrambe. #recensioniflash

THE HOUSE (Niki Lindroth von Bahr, Paloma Baeza, 2022)

Due parole su The House, il film animato a episodi uscito di recente su Netflix, per il quale scomoderei Jan Svankmajer, il mio regista ceco favorito. The House è un film unico perché protagonista è la stessa casa in tre storie differenti: una si svolge nel lontano passato, in un’atmosfera da favola dei fratelli Grimm; una nel presente, una in un futuro post-apocalisse climatica. Tutti e tre gli episodi sembrano usciti da un misto di Henry Selick + Twilight Zone + Creepshow + Edgar Allan Poe.
Non si può dire che sia esplicitamente un film horror, anche se ne ha tutte le caratteristiche. Il primo episodio racconta la genesi della casa in un tripudio di scricchiolii, zone buie, inquadrature sghembe, silenzi carichi di tensione e un character design fortemente disturbante. Il secondo episodio (il cui protagonista ha la voce di Jarvis Cocker, nientemeno) è un esempio di grottesco urbano che con la scusa dell’ironia e del nonsense racconta una storia di discesa nella follia abbastanza agghiacciante. Il terzo episodio, forse il più “debole” si abbandona alla malinconia dell’ignoto ma ha comunque dei momenti visivamente molto potenti.
Tutto il film è animato in stop motion, con tre diverse regie e tre diversi character design. Sulla trama non dirò nulla di più perché ogni episodio riesce a spiazzare con soluzioni e svolte inaspettate. Alla fine c’è una canzone di Jarvis Cocker (obbligatoria, direi). Ho scomodato Svankmajer perché il mood è quello, per chi avesse mai avuto il piacere e l’inquietudine di vedere i suoi cortometraggi. Se non lo avete avuto, abbiatelo ora. E poi guardate The House. #recensioniflash

THE CONJURING 2 / THE CONJURING: THE DEVIL MADE ME DO IT (Michael Chaves, 2021)

Negli ultimi giorni (notti, per la verità) ho costretto la Titti a immergersi con me nel Conjuring Universe, di cui avevo visto finora solo tre film su otto (vabbè, direte voi, non che sia una gran perdita). Eppure, va detto che The Conjuring 2 e The Conjuring 3: The Devil Made Me Do It hanno un loro perché nel mercato dell’horror degli ultimi 10 anni. La serie “ufficiale” (se lasciamo perdere gli spinoff di Annabelle, The Nun, La Llorona) è quella che gradisco di più, probabilmente per l’efficacia della coppia Patrick Wilson / Vera Farmiga nel ruolo di Ed e Lorraine Warren, gli investigatori del paranormale e dell’occulto nei gloriosi seventies.
Conjuring 2 è l’episodio più lungo ed epico della saga (basato sul caso famosissimo degli Enfield Poltergeist, ma con un accenno alla storia di Amityville, dove anche i Warren avevano messo lo zampino), non a caso – a quanto pare – il maggior incasso horror di tutti i tempi dopo L’Esorcista di Friedkin.
Conjuring 3 è più un legal thriller che un horror vero e proprio (è basato sul caso che non conoscevo di un omicidio il cui colpevole era posseduto da un demone – e su questo si basò la sua difesa) ma ha comunque i suoi spaventoni, le sue ragnatele, i suoi angoli bui, il suo villain inquietante. I Warren si amano TANTISSIMO e con la forza dell’amore sconfiggono satanisti, streghe, suore demoniache, tizi contorti e ghignanti e tutto l’armamentario spaventoso tipico degli horror anni ’70 aggiornati al gusto di oggi (che poi è un po’ il motivo per cui apprezzo la saga). Insomma, se amate il genere non sono da buttar via, non dei capolavori ma molto godibili.
Sui titoli di coda, come nel primo Conjuring, ci sono sempre le registrazioni originali dei Warren dei vari esorcismi praticati, che comunque un filo di angoscia te lo lasciano. La Titti li guarda con la coperta sugli occhi e poi alla fine vuole vedere “un episodio di Seinfeld” per stemperare l’orrore. #recensioniflash

SING 2 (Garth Jennings, 2021)

Per dirvi di Sing 2 di Garth Jennings parto da alcune domande e una premessa. La premessa è che a me i musical piacciono, i film animati pure, quindi di base non potrei dire (troppo) male della serie di Sing. La prima domanda è: quanto senso ha nel frenetico mondo dell’intrattenimento attuale lanciare un sequel CINQUE anni dopo il film originale? Tipo, i piccoli fan del film originale saranno, come dire, un po’ cresciuti? Ma vabbè. La seconda domanda è: va bene che un sequel secondo il canone commerciale deve sempre essere la stessa cosa dell’originale ma DIPPIU’ MOLTO DIPPIU’, ma non è parso all’ineffabile Jennings di aver messo forse troppa carne al fuoco? Mi spiego.
Gli adorabili animali antropomorfi che già conoscevamo, il koala Buster Moon, l’elefante Meena, la porcospina Ash, il gorilla Johnny, la maiala Rosita etc etc partono da dove eravamo rimasti (stanno in cartellone con una produzione di Alice in Wonderland che prevede un numero su Let’s Go Crazy di Prince: un ottimo inizio) ma non sembra abbastanza. Loro vogliono sfondare nella big city stile Las Vegas. E ci provano, con un musical fortemente ispirato a Barbarella creato dal maiale Gunther e prodotto da un lupo manager che poi è il supercattivo del film. Fino qui tutto bene, ognuno ha il suo numero musicale, ci sono tante canzoni, tanti colori, una cura del dettaglio abbastanza maniacale.
Tanta roba. Forse… troppa? Il problema di Sing 2 è che accumula talmente tanti numeri musicali che ti stordisce, la bellezza della theatricality di cui il film (come il suo predecessore) è intriso non riesci quasi a godertela, dovresti mettere in pausa ogni tot per vedere le scenografie ma non puoi perché è già finita e si passa ad un’altra superhit. E poi il macguffin del leone/Bono che son 15 anni che non canta più ma loro lo convincono a cantare di nuovo le canzoni degli U2 (gli U2 che hanno anche fatto un pezzo nuovo apposta per il film).
Non so, a me questa cosa di metterci in mezzo Bono (che peraltro recita in growl costante) mi è sembrata vagamente forzata, un po’ come quando la Apple aveva infilato di straforo in tutti gli iPhone del mondo l’album Songs of Innocence. Poi magari la forzatura ce la vedo solo io e in realtà Sing 2 è proprio un film diretto ai fan adulti del musical MA ANCHE ai fan degli U2, e quindi bon. Però mi è sembrato sì “più grande” del primo ma non “più bello”.
A parte Mrs. Crawley. C’è bisogno di più Mrs. Crawley per tutti. #recensioniflash