SERIA(L)MENTE HORROR

SERIA(L)MENTE HORRORHalloween è appena passato, ma qui è già da un po’ che siamo immersi nelle serie televisive più amate, quelle che tanto allietano le serate autunnali con abbondanza di sangue, interiora, zombie, demoni sumeri, vampiri deformi, pratiche sessuali abominevoli, bambini inquietanti e Lady Gaga. Ma andiamo con ordine.

È ricominciato The Walking Dead. Sì, per il sesto anno consecutivo. E sì, anche quest’anno si conferma una noia mortale. C’è chi mi chiede ma perché insisti a guardare TWD, che è una serie che ormai ha fatto il salto dello squalo da almeno tre anni. Ma niente, un po’ perché ti affezioni a un gruppo di personaggi quasi tutti antipaticissimi e vuoi tendenzialmente vederli morti (oh, peraltro in qualcosina siamo già stati accontentati), un po’ perché gli zombie di Berger e Nicotero hanno sempre un loro perché (non a caso Nicotero è l’erede artistico di Tom Savini). Sì, arrivano i Wolves e sì, ci sono un po’ di ammazzamenti, ma seriamente… le lunghe scene in cui si fa da cani da pastore al gregge di zombie… anche no, dai. E poi giriamo sempre intorno agli stessi temi, da anni. Il prequel o spinoff o come vogliamo chiamarlo, non mi sono nemmeno posto il problema.

Direttamente dalla programmazione estiva si è conclusa da poco la seconda stagione di The Strain. Ora, The Strain va visto primo perché c’è dietro Guillermo del Toro. Secondo perché essendo tratta da una trilogia di romanzi c’è da sperare che si concluda con la prossima stagione. Terzo perché è fottutamente pulp, anche senza insistere troppo sullo splatter (intendiamoci, è splatter, ma ho visto di peggio). L’ensemble di personaggi qui almeno è simpatico, a parte il bambino da prendere a roncolate, e i vampiri sono sufficientemente strani da non ingenerare quella sensazione di dejà vu che infestava, per esempio, True Blood. I baby vampiri aracnidi fanno il loro sporco lavoro e poi c’è il custode Argus Filch di Harry Potter nel ruolo dell’ammazzavampiri rumeno novantenne. Che altro… Ah, sì: vermi bianchi che entrano negli occhi della gente.

Les Revenants, con la sua fama da horror d’atmosfera gianfransuà, mi aveva molto colpito. Abbiamo dovuto aspettare giusto quei tre anni di tempo prima che si decidessero a fare la seconda stagione, e insomma. In pratica non mi ricordo più la prima e quindi ci capisco poco. Però è sempre bello, sempre lento, sempre sospesissimo tra il dire, il fare e il baciare. Che i morti tornano, lo sapevate già. Sono uguali a com’erano da vivi (quindi veramente, qui non c’è splatter), ma se possibile sono più inquietanti ancora degli zombie tradizionali. L’atmosfera è più Twin Peaks che La notte dei morti viventi, ma in questa seconda stagione almeno comprendiamo qualcosa in più sul rapporto tra i vivi e i morti, tra il lago e la città, tra la diga e l’aldilà. Oh, poi ‘sti francesi non menano il can per l’aia. Seconda stagione e pum, finito. Niente squali da saltare. E comunque c’è la musica dei Mogwai, bastava quello.

American Horror Story ha dalla sua il bello di essere una serie antologica. Ogni stagione una scheggia di delirio puro nella programmazione televisiva. Questa è una serie che salta lo squalo decine di volte nello stesso episodio a partire dal primo episodio: nei primi quattro anni ogni scena con Jessica Lange era un fiammeggiante inno al kitsch e all’eccesso bagnato di sangue. Ryan Murphy ha sempre giocato sul citazionismo – questa dovrebbe essere la serie horror più amata dai cinefili – mescolando mélo e sottogeneri horror, fantascienza e musical in un caleidoscopio trash di scene sensazionalistiche. Quest’anno non c’è più Jessica Lange ma c’è Lady Gaga (mi duole ammetterlo ma è perfetta per il ruolo). I riferimenti sono Miriam si sveglia a mezzanotte, Shining, Seven, le atmosfere da No New York (la fine della disco, l’inizio del punk, la corrente carsica del glam) e le musiche sono prese a piene mani dal quinquennio 1979-1984 (Bauhaus, Siouxie, Joy Division, Sisters of Mercy, etc). In una parola, impossibile non guardarla.

Ma il vincitore assoluto di quest’autunno horror 2015 è senz’altro lui: Bruce Campbell che torna nei panni dell’uomo con la motosega al posto della mano in Ash vs. The Evil Dead. A parte l’emozione di vedere Raimi che finalmente torna ad esplorare l’universo malsano della trilogia di Evil Dead, è proprio il tono della serie (nonché le prime scene su Space Truckin’ dei Deep Purple) che spinge ad aprire la finestra e urlare “MACCHEFIGATA” alla fredda notte novembrina. La stessa cazzonaggine estrema, gli stessi demoni sumeri che cantano le canzoncine e lanciano urletti idioti mentre fanno le mosse di kung fu, le stesse tonnellate di sangue e cervella che esplodono su Ash e sullo spettatore e soprattutto gli stessi effetti speciali prostetici – in pratica come tornare agli anni ’80 ma col protagonista invecchiato (e vi assicuro che Bruce Campbell imbolsito con la pancera di cuoio e le protesi è irresistibile). Vogliamo un po’ di zucchero baby! Ah, e poi, ragazzi: c’è Lucy Lawless. Fatevene una ragione, Ash vs. The Evil Dead è “la” serie da seguire nella nuova stagione.