PSICOPATOLOGIA DEL LAVORO

Psicopatologia del lavoroUna delle cose belle, se così si può dire, del posto dove lavoro io è che c’è lo psicologo del lavoro. Non è una cosa per tutti, beninteso, solo per i dipendenti in situazioni tali da essere maggiormente esposti allo stress da logoramento. Lo so cosa state per dire tutti: ma quale logoramento, nel settore pubblico al massimo si fa finta di lavorare. Non è così. Nel settore pubblico si lavora molto, solo che molto spesso lo si fa per i motivi sbagliati, con un’organizzazione sbagliata, senza programmazione.

Vi espongo con un po’ di immaginazione come percepisco io la mia situazione lavorativa. Metafora n. 1: l’ente in cui lavoro è come una di quelle macchine che i giocatori di baseball usano per allenarsi, quelle che sparano le palle a 120 km/h. Io sono solo in mezzo al campo con una mazza in legno scadente e devo rimandare indietro le palle che arrivano a intervalli sempre più veloci. Metafora n. 2: lo scavo di una trincea di cui non sai l’esatto percorso, che periodicamente va riempita di terra e poi di nuovo riscavata (o, se vogliamo farla più semplice e classica, “la tela di Penelope“). Il problema sta in una serie di elementi chiave per la gestione quotidiana del lavoro: la programmazione e la gestione del tempo, la motivazione e i valori condivisi, i messaggi paradossali.

La sensazione quotidiana più forte è quella di dover svolgere il proprio lavoro nei ritagli di tempo, affannosamente e senza la necessaria attenzione. Questo modo di lavorare genera errori. Ad ogni errore corrisponde un processo di analisi e individuazione di soluzioni per ovviare all’errore che ben presto occupa il 100% del tempo lavorativo: la programmazione diventa impossibile e lo straordinario diventa l’unico tempo effettivo da dedicare al lavoro. Anche i momenti di formazione, di per sé positivi, cominciano ad essere percepiti come un ulteriore “perdita di tempo” che distoglie dal lavoro che si accumula.

Il discorso sulla gestione del tempo è la principale causa della perdita di motivazione: il lavoro si trasforma in un continuo stimolo pavloviano di azione e reazione: non rimane molto spazio per la progettualità o l’espressione di particolari competenze. Ci sono rari momenti di ripresa della motivazione (cioè, quando riesci a fare quello per cui sei stato assunto), ma finisce che cadono nel nulla o si scontrano con mille messaggi contraddittori che impantanano l’iniziativa.

La sensazione di paralisi è acuita dalla certezza che qualsiasi strada intrapresa per risolvere un problema lavorativo è sbagliata. Non vedendo vie d’uscita, ci sono solo due alternative: l’inazione (chi non fa non sbaglia) o l’azione casuale (so che vado incontro a un cazziatone, ma intanto faccio qualcosa e vedo se riesco ad andare avanti coi miei progetti).

Detto questo, io tra un paio di giorni devo vedere lo psicologo del lavoro. Inizialmente la mia reazione è stata “Diamine, cosa potrò mai dirgli?“. Poi sono andato a vedere le tre componenti della sindrome da burnout: deterioramento dell’impegno nei confronti del lavoro, deterioramento delle emozioni originariamente associate al lavoro ed un problema di adattamento tra persona ed il lavoro, a causa delle eccessive o contraddittorie richieste di quest’ultimo.

Allora ho capito che qualcosa potevo dirgli.
Poi è da valutare se conviene dirgliela o meno.