MI CHIAMO ROBERTA, HO 40 ANNI, GUADAGNO 250 EURO AL MESE

Il libro nuovo di Aldo Nove (uno che ho sempre ammirato un po’ da lontano) non è un romanzo. E’ una raccolta di interviste sul tema del lavoro apparse negli ultimi anni su Liberazione. Un libro snello e terribile, che si fa divorare in un paio di giorni. Secco come un documentario di quelli del nuovo millennio, che ti mettono di fronte le magagne della vita riscoprendo il valore e la produzione di senso del montaggio verticale. Nove introduce ogni intervista con le sue riflessioni personali, che in ogni caso non si vergognano di mostrare esplicitamente le fonti: quelle che ognuno di noi dovrebbe riprendere in mano più e più volte (sopra ogni altra cosa Baudrillard e Debord, tra i pochi ad illuminare le menti curiose sull’attuale senso della vita). E poi ci sono loro, i precari, cui è dedicato il titolo del libro Mi chiamo Roberta, ho 40 anni, guadagno 250 euro al mese… Un titolo atipico (come i lavoratori intervistati) che riassume però il concetto di una generazione senza futuro, senza alcuna possibilità se non quella di attendere con rassegnazione la morte dei propri genitori per poter infine avere la propria prima casa. Storie di avvocati, di operatori di call center, di operai, di producer televisivi, di pastori co.co.pro., di gente che si barcamena tra quattro lavori diversi in una giornata. Storie piccole che messe insieme danno il quadro di un’Italia allo sfascio. Ti lascia un po’ di amaro, e anche un po’ il senso di colpa di quello che ha avuto la botta di culo di vincere un concorso pubblico (ma che fino al 2003 è passato attraverso co.co.co., interinali, due part time diversi ogni giorno, trasferimenti in treno eterni per poter lavorare, casse integrazioni, mobbing e compagnia bella). Una lettura che consiglio vivamente, per capire un po’ di più il senso di un’Italia finta, in cui si continua a recitare una pièce grottesca anche se ci hanno tolto il palco, le luci e i costumi.

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