LE PAROLE SONO IMPORTANTI

Ci sono espressioni alle quali di solito non presto attenzione. Sono modi di dire che solo dieci, quindici anni fa, non avrebbero avuto alcun senso. Si tratta di parole in apparenza innocue, ma quando mi ci soffermo mi fanno rabbrividire, e mi riprometto di non usarle mai più (fino alla volta successiva in cui, come per magia, escono anche dalla mia bocca). Non parlo tanto degli orridi inglesismi marchettari (tipo “schedulare un appuntamento”, “shiftare di un posto”, “avere un particolare skill”): chi parla così e non sta scherzando per me è semplicemente un alieno. Parlo piuttosto di alcuni modi dell’italiano che hanno preso piede nell’ultimo decennio, e che vado ad elencare qui sotto, speranzoso che anche voi lettori possiate aggiungere tutti gli altri che mi sono dimenticato nel frattempo. Partiamo dai saluti…

Buongiorno / Buonasera vs. Buona serata / Buona giornata
Avrete sicuramente notato che ormai tutti vi salutano dicendo buona serata e buona giornata (spesso sono io il primo a farlo). La forma “buongiorno” è quasi obsoleta, mentre “buonasera” sembra pronunciabile soltanto più da Pippo Baudo. Si potrebbe obiettare che la forma in “-ta” è più adatta per un commiato. Verissimo. Quando ci penso, però, mi irrito perché il suffisso “-ta” mi fa l’effetto di un obbligo all’attività, ad un tempo che in qualche modo deve essere produttivo, divertente, interessante. La sera è un attimo, la serata è un lungo ed estenuante processo. Saranno paranoie mie, ma se non ho voglia di far nulla di particolare preferisco vivere un giorno che una giornata.

Come va? vs. Com’è?
Qui si scivola nel gergo gggiovanile ormai entrato nel sentire comune. Eppure, a pensarci bene, chiedere come va sottintende più cose (come va la vita, come va il lavoro, come va il rapporto con i tuoi familiari, come vanno le cose in generale). Chiedere com’è mi fa pensare prima di tutto “com’è chi?“, e poi a una pericolosa inclinazione verso l’individualismo esasperato: non ci sono cose che “vanno” intorno a te, c’è solo un’entità che “è”. Un po’ mi inquieta: è una questione filosofica.

Che lavoro fai vs. Di cosa ti occupi
Non si spiega perché le persone, al volgere del secolo, non lavorano più. Si “occupano”. Al di là delle reminiscenze morettiane dirette del post, a me ricorda tantissimo il vecchio “giro, vedo gente, faccio cose”. Se notate, ci sono persone alle quali chiedere “che lavoro fai” sembra quasi insultante, mentre ce ne sono tantissime altre che alla domanda “di cosa ti occupi” ti guardano e ti chiedono “in che senso?”. A me personalmente crea imbarazzo il “di cosa ti occupi”. Mi mette proprio a disagio. Ma del resto mi mette a disagio anche il “che lavoro fai”, quindi sono a posto così.

Oggi vs. Di oggi
Questa è tipica degli account executives (categoria che tutti imparano ad odiare, sia che si definiscano “account” che “commerciali”). Il progetto, il lavoro, deve essere finito “di oggi”. Perché? Non va bene “oggi”? O magari “Entro oggi”? Forse “entro” è una parola troppo complicata per certi soggetti. Solitamente tutti quelli che lavorano in team (altro termine abusato) con un account dimostrano di irritarsi grandemente all’uso di questa inspiegabile espressione.

Hai [operatore] vs. Sei [operatore]
Questa è legata al mondo pervasivo della telefonia mobile, che è tutto intorno a noi. Ho cominciato a sentirla a Ivrea, quando la Vodafone prese piede sulle ceneri dell’Olivetti. “Sei Tim o sei Vodafone?” era la domanda comune. Come “sei”? Cioè, io mi identificherei, baserei la mia identità, sull’appartenenza ad uno o ad un altro operatore telefonico? No caro, io “ho” una scheda telefonica, non “sono” un’estensione carnosa del mio cellulare. Questa è una delle espressioni che odio di più in assoluto, ma d’altra parte – forse – la usano solo nel Canavese.

Poi, beh, ce ne sarebbero altre, ma sul momento non mi vengono in mente… A voi?

6 risposte a “LE PAROLE SONO IMPORTANTI”

  1. “ma anche no” o “anche no” nasce credo come battuta simpatica e sarcastia, poi dilaga e ora lo dicono tutti. Anche io lo sopporto molto poco.

  2. anche io odio il buona serata… e poi non sopporto i ‘ma anche no’ del tipo io chiedo a qualcuno ‘ti va di andare al cinema stasera?’ e quello mi risponde ‘ma anche no’ ma che vuol dire?? che lingua parli?:)))

  3. A dire il vero, “com’e'” si usa anche a Verona. Oddio, non che sia super diffuso, ma comunque la percentuale non e’ poi cosi’ irrisoria.

    Sara’……

    e per inciso, “Buona giornata” a tutti quanti!

  4. infatti “di oggi” e “com’è” sono piemontesismi. quando vado in puglia e dico “com’è?” mi guardano chiedendosi “cosa”. ma anche qui i più spiritosi ti rispondono “mol, furà ‘n punta e cugià s’le bale”.
    io buongiorno e buonasera li uso e con mucho gusto. il buongiorno addirittura in famiglia, con le persone a cui do del tu.
    buona serata lo riservo a chi ha in programma qualcosa.

  5. “Com’è” e “di oggi” io sinceramente li sento solo qui a Torino e dintorni.
    Ricordo con un misto di affetto e fastidio le mie prime reazioni al “Com’è” appena arrivai a Torino nell’89.
    Stordito già di mio, mi veniva sempre da rispondere: “Com’è cosa?” con espressione integralmente interrogativa e, suppongo, involontariamente comica.

  6. beh per me quello che mi genera urticaria è “piuttosto che”.

    Piuttosto che ha due usi, uno fighetto e uno , secondo me, onesto.

    Quello fichetto è “Questo appartamento ben si adatterebbe ad un’abitazione decorosa, piuttosto che ad un ufficio di rappresentanza, piuttosto che alla sede di un’azienda”.

    Quello onesto è: “Piuttosto che tornare in ufficio mi farei asportare un testicolo”.

    Ecco, il primo piuttosto che mi fa scattare il braccio tipo big jim per sferrare il ceffone automatico. Non so a te.

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