LA FINE DE “LA FINE”

E anche questa è andata. Dopo Harry Potter termina anche la Serie di Sfortunati Eventi di Lemony Snicket, con l’ultimo volume appropriatamente intitolato “La fine“. Si tratta dei due cicli di letteratura cosiddetta “per ragazzi” che più hanno segnato la svolta del secolo, per diversi motivi. La Rowling soprattutto per il fattore mitopoietico, l’intreccio appassionante e l’approfondimento psicologico. Daniel Handler (vero nome dell’autore conosciuto come Lemony Snicket) per lo stile, la riflessione metanarrativa e l’approfondimento morale.

Per me, i libri della Serie di Sfortunati Eventi rappresentano un capolavoro di arte retorica. Dovrebbero essere studiati all’università al posto di Cicerone e Quintiliano. Nella loro apparente semplicità di “romanzi gotici per bambini”, i libri di Snicket squadernano tutta l’institutio oratoria a partire dal linguaggio che nasconde continue allitterazioni, anafore, anagrammi, allusioni, allegorie e molti altri tropi con la “a”.

Permettetemi per una volta di spacciare l’analista retorico che è in me: Snicket/Handler è un genio. Il suo stile è una sorta di humor nero improntato senza pietà all’anticlimax, al non sequitur e alla reticenza (basti pensare alle inquietanti missive ellittiche che il narratore invia all’editore alla fine di ogni volume). Il narratore interrompe spesso e volentieri il corso degli eventi con riflessioni sue, sulla sua vita (informazioni ovviamente sempre molto misteriose) o sulla follia del genere umano.

Le digressioni più deliranti sono quelle in cui Snicket riflette sul significato di termini spesso facilmente interpretabili (con la formula “una parola che in questo caso vuol dire…”) – un cotè metalinguistico che trova la sua controparte nei farfugliamenti apparentemente assurdi della piccola Sunny Baudelaire, sempre “tradotti” da uno degli altri fratelli Baudelaire, gli unici a capirla veramente. Mettere in bocca a un bebè l’espressione “Bushcheney” tradotta come “Sei un uomo malvagio che non si preoccupa minimamente degli altri” è insolito e brillante.

A parte questo, la storia degli orfani Baudelaire (che nei primi sei volumi segue un pattern sempre identico mentre dal settimo in avanti diventa una ricerca del significato di V.F., il più grande mistero della serie) presenta numerosi problemi di etica a misura di bambino, evidenzia come il manicheismo non possa essere una valida filosofia di vita e soprattutto istruisce subdolamente il lettore sulla teoria narratologica per cui non esiste un inizio e una fine, ma tutte le storie sono sempre intrecciate l’una con l’altra in un disegno infinito.

In questo senso, si può veramente dire che la Serie di Sfortunati Eventi sia in realtà un pretesto per Handler (tramite il suo elusivo alter ego Snicket) per veicolare alcune idee sul romanzo. Non a caso, gran parte dei misteri resta insoluta alla fine del racconto: molti personaggi vengono letteralmente “inghiottiti” da un enorme punto interrogativo (il “grande ignoto”). E non a caso, una delle ultime parole di Sunny è “McGuffin“, a indicare che in fondo, i misteri non hanno tutta questa importanza.