Francamente, alla fine non so come siamo arrivati qua.
Me lo chiedo spesso, ma ogni volta mi rispondo che non me ne sono nemmeno accorto.
Tu hai sei anni, il mio ruolo di papà ha sei anni, e quel che resta guardandosi indietro è una nebbiolina che rende difficile distinguere le cose. Sei anni fa, quando eri appena nato, mi sono preso un periodo sabbatico da lavoro perché volevo conoscerti, annusarti, assaggiarti, fare parte del tuo mondo se non quanto la mamma, almeno un po’. Un neonato in casa fa più che altro paura, sai? La mamma era terrorizzata, io intimorito e curioso. A poco a poco ci siamo acclimatati l’uno all’altro. Quel che ricordo sono le interminabili canzoni e/o i percorsi in passeggino per farti addormentare, la tua predilezione nell’usarmi come materasso vivente, la pappa che entrava e la cacca che usciva. Il moccio, anche. Si riusciva ancora, tutto sommato, a gestire la vita familiare. Bastava essere pronti, organizzati come una caserma, e tutto filava liscio.
Poi hai iniziato a gattonare, a camminare, a parlare. A manifestare tutte le adorabili caratteristiche che ancora oggi ti contraddistinguono. La fiera opposizione a qualsiasi cosa, la testardaggine, l’ostinazione nel non voler sentire nulla di quello che ti potevamo dire io o la mamma. Di più, la profonda convinzione che tutto quello che usciva dalla nostra bocca – dalla bocca degli adulti, in generale – erano bugie. Sei sempre stato un piccolo cospirazionista. La tua fame di indipendenza ti ha fatto sembrare per anni un quindicenne intrappolato nel corpo di un bambino piccolo. Gli altri bambini hanno mille paure, cercano rifugio nei genitori, tu quasi mai. Sei una continua fonte di stupore. Probabilmente ti abbiamo amato troppo, ma non possiamo farci nulla. Sei adorabile.
Sono passati gli anni. Tra i tuoi due e i tuoi sei anni è stato tutto un vortice senza sosta di scuole, giardinetti, corse, tuffi, wurstel, cartoni animati, abbracci di famiglia, il nostro lessico famigliare, il mare, i nonni, il ballo, le notti a infilarsi nel lettone – e te lo lascio fare perché so che tra breve non lo vorrai più fare, e anche perché sei un perfetto peluche umano – le domeniche in pigiama, la maionese e il ketchup, tutti i tuoi meravigliosi interessi e la difficoltà che hai nel rapportarti con gli altri bambini.
Ecco, tra pochi giorni compirai sei anni e mai come in questi ultimi mesi mi hai riportato alla mente – e al cuore – come ero io quando ero piccolo, come te. Si dice che non sia possibile ricordarsi della propria vita prima dei quattro anni, o giù di lì. Per me è tuttora molto difficile ricordare cose successe prima dei miei 10 anni. Ricordo solo le cose che hanno carattere di eccezionalità, perché legate a traumi o esperienze piacevoli, qualche schiaffone particolare, i primi baci o le prime carezze. Posso sforzarmi, ma non riesco. Invece vedo te, e capisco molte cose.
Tu hai una tremenda voglia di esprimerti, con i tuoi disegni, i tuoi colori, il glitter, le tue coreografie, i discorsi strampalati e le canzoni buffe. Lo fai in punta di piedi e nei tuoi spazi protetti, perché dentro di te sai che non sempre le persone sono buone o bendisposte. Ti piacciono cose che non piacciono a nessun altro, e per me va bene così, è sempre stato così anche per me. Ma questo ti farà sentire sempre molto solo. Finché non troverai un amico o un’amica che apprezza le stesse cose, e allora sarà veramente un tesoro, come dicono i proverbi.
Ti guardo con ammirazione e tenerezza e di nuovo ho paura, ma è una paura diversa da quella che hai con un neonato in casa. La mia paura adesso è che tu venga a contatto in modo traumatico con il brutto del mondo, e non intendo per forza di cose la guerra, la carestia, la violenza (arriveranno anche queste cose, ne sono convinto, ma spero che tu abbia i mezzi per andare via, il più lontano possibile). Il brutto del mondo è anche, soprattutto, vivere in una società che fa di tutto per appiattire le diversità, per schiacciare chi non è omologato, per soffocare la creatività, per stroncare l’entusiasmo. Questa bruttura la vivi e la vivrai anche tu ogni giorno, a modo tuo me ne stai parlando già oggi e io posso solo promettere che sarò sempre lì per aiutarti a capire che come sei tu va bene. Che ognuno è diverso, ognuno fa storia a sé. E che palle se fossimo tutti uguali.
Va bene. Per i miei primi sei anni (da papà) esprimo qualche desiderio. Mi piacerebbe che potessi ascoltarmi di più, che abbandonassi almeno un po’ questa ossessione per le scoregge e le chiappe, che ti sforzassi di mangiare appena un po’ di verdura. Per il resto sei un bambino perfetto.
E, nel caso ti chiedessi chi è il bambino nella foto, eccoti una pillola di cultura pop di quelle che ti piacciono tanto. Questo è Danny Bonaduce, che nella fortunata sitcom La famiglia Partridge in onda quando papà tuo era piccolo, interpretava il bassista (poco carismatico) Danny Partridge. La sua particolarità è aver inciso una canzone in cui con la sua allegra voce bianca cantava “Sarò il tuo prestigiatore, ti toccherò piano con la mia bacchetta magica e tu non resisterai più, sarò il tuo mago, e dopo averti stregata ti farò l’ammore”.
Non lo so, mi ha fatto pensare a te.