HAPPINESS IS A WARM GUN

Ci sono volte in cui leggi un libro che ti piace, ti fa stare bene. Ci sono altre volte che leggi un libro e ti fa tornare la voglia di scrivere. Momenti di trascurabile felicità (Francesco Piccolo, Einaudi 2010, p. 136) è uno di questi. Si tratta di un libro in cui posso riconoscermi, perché mette a fuoco quei dettagli insignificanti che tutti assieme vanno a costituire una vita, un universo personale. In un momento come questo in cui tutto cambia, gli anni passano, da 71 minuti è di nuovo il mio compleanno e tra poco meno di 24 ore è Natale, vale la pena anche per me elencare qualcuno di questi momenti. Senza di loro, sarei perso. Per esempio.

Quando c’è traffico e io con la moto riesco a sorpassare zigzagando tutte le auto in coda, poi arriva il momento in cui sono bloccato perché qualcuno sta viaggiando troppo vicino alla fila di auto parcheggiate, allora do gas due o tre volte finché la persona nell’abitacolo si accorge di me e si sposta di lato facendomi passare.

Tutte le volte che riesco a fare benzina al self service fermandomi esattamente ad una cifra tonda tipo 40,00.

Quando ricevo messaggi sul telefonino da qualcuno che mi racconta la sua giornata, senza altro scopo che quello di condividere impressioni di vita. Sono messaggi che non spingono a un comportamento, e perciò tanto più apprezzabili.

La sera alle volte mia moglie si addormenta addosso a me, e io mi diverto a spostarle i capelli, disegnarle simboli col dito sulle guance o sulle braccia, e lei fa le facce nel sonno. Allora io rido, perché è un curioso momento di intimità condivisa ma non del tutto conscia. Mi piace l’idea di poter parlare con lei e che lei mi risponda nel sonno.

Quando ricevo piccoli gesti di gentilezza come una grattatina sulla schiena, una colazione a letto, un regalo inaspettato, e in generale quando capisco che qualcuno tiene a me. Questo non manca mai di stupirmi.

In macchina, da quando sono papà, mi piace sedermi dietro a tenere la mano al piccolo finché non si addormenta. Se qualcun altro guida, io sono sempre enormemente grato.

Mi piace la palpabile sensazione di sollievo che c’è in ufficio quando una persona indesiderata esce dalla stanza. Improvvisamente tutti espirano e diventano più positivi, più belli, anche le scrivanie sembrano più pulite, e poi qualcuno mette una musica, e il pomeriggio passa più veloce.

Le lunghe chiacchierate in auto, quelle che ti fanno pensare che forse l’unico modo di parlare veramente è quello di sedersi fianco a fianco e viaggiare. Ma certamente la cosa è valida anche camminando, o sedendo a un tavolino in un dehor d’estate.

Mi piace quando è estate, esco dall’ufficio in moto e prima di andare a casa taglio per la collina, l’aria si fa più fresca, il sole arriva di taglio e io mi perdo tra le strade. Faccio apposta a perdermi anche se lo so che le strade sono sempre quelle, le stesse. Giro in qualche traversa perché mi dico “di qua non sono mai passato” e dopo qualche svolta finisco in un posto nuovo. Allora mi fermo, magari fumo una sigaretta e guardo il panorama. Mi figuro di essere lì con qualcuno, ma sono soddisfatto anche da solo. Di solito scatto un paio di foto, che poi restano nel cellulare e infine concludono la loro esistenza in una cartella del PC, per poi essere riscoperte anni dopo.

A volte, quando devo andare in bagno, mi piace aspettare finché non ce la faccio più, poi correre verso il WC e tirare un gran sospiro di sollievo. Non so esattamente perché lo faccio, ma è come se tutto fosse più bello, più vero.

Quando compro un libro, o lo ricevo in regalo, la prima cosa che faccio è accarezzare le pagine e annusarle. Poi leggo la frase finale.

Sono un maniaco del controllo per quel che riguarda il mio iPod. Traggo soddisfazione dal mettere in ordine tutta la mia raccolta musicale, cercando le copertine degli album, taggando generi, artisti, anni e numeri d’ordine delle tracce. Poi carico la musica in modo da avere un panorama il più eclettico possibile, dal pop che tira al momento al krautrock, al folk, al black metal, dal cantautorato italiano alla bossa nova, fino ad arrivare all’indie rock più oscuro o all’elettronica e al dubstep. Poi ascolto tutto con diligenza, in due modalità: la prima è in cuffia a tutto volume. La seconda è sull’autoradio, sempre a tutto volume, ma coi finestrini chiusi.

Mi piace moltissimo osservare i dettagli del volto della persona con cui parlo. Gli occhi, le pagliuzze di colore nell’iride, la lunghezza delle ciglia, il colorito del viso, le imperfezioni della pelle, le labbra, sottili, carnose, la mimica facciale, i sorrisi. A volte mi rendo conto che questo mio atteggiamento mette a disagio l’interlocutore, ma è più forte di me.

Da quando sono papà, la cosa che mi dà più gioia è stare un po’ da solo col piccolo (quando è tranquillo, certo, perché come molti papà non sono bravissimo a gestire la creatura urlante per troppo tempo). E quando siamo soli, parlargli come se fosse un vecchio saggio e ascoltare le sue risposte come un oracolo in una lingua sconosciuta, e poi affondare il naso e la bocca nella sua nuca. La nuca dei bambini è bellissima. E poi mi piace che sorrida quando gli canto, perché vuol dire che non sono poi tanto male (o che lui non ha assolutamente orecchio).

Mi piace entrare al cinema e sedermi in prima o seconda fila, cosa che ad oggi è sempre meno possibile, dato che quando fai il biglietto tendono ad assegnarti posti lontanissimi. Inoltre, mia moglie non ama stare vicino allo schermo, e se lo fa è solo per dimostrarmi il suo amore (vedi piccoli gesti di gentilezza). Mi piace stare finché non scorre l’ultimo titolo di coda, e prima di uscire dalla sala accarezzare lo schermo bianco.

Quando cammino per strada, se vedo delle irregolarità nei muri devo passarci la mano, per tastare la sostanza della città. Come mettere un dito in una ferita, ma senza il sangue.

Poi mi piacciono tutte le dinamiche da ascensore, entri prima lei, no io vado solo al secondo, le dà fastidio la borsa, e mi piace che la gente si appiattisca sul perimetro della cabina e guardi le chiavi di casa propria con estrema attenzione. Io per primo guardo sempre nello specchio e non interagisco. Provo un piacere sadico nel chiudere la porta e avviare l’ascensore quando sento che qualcuno è appena entrato nel portone, per non dover fare il viaggio insieme.

Quando arrivo a casa e sono stanco ma ho ancora la forza di passare come un tornado nelle stanze e mettere a posto tutto il caos che si è inspiegabilmente creato negli ultimi giorni. Mi piace impilare e buttare cose, alternativamente.

A casa degli altri, mi piace moltissimo guardare nei loro frigoriferi, e negli armadietti del bagno. Se siamo abbastanza in confidenza, e mi fanno vedere anche il ripostiglio, mi sento appagato.

Mi piace dire stupidaggini e doppi sensi a sfondo sessuale anche se mi è chiaro da anni che questo riduce moltissimo la possibilità di scopare, ma è più forte di me. D’altro canto, mi fanno anche molto ridere i rutti e le scoregge. In questo, il mio lato femminile si va nascondere in qualche luogo lontanissimo. Però sono anche una persona seria e sensibile, quando serve. In ogni caso, faccio molta, molta fatica a non fare battute salaci almeno due o tre volte in una conversazione, specialmente con mia moglie. Che non le apprezza quasi mai.

La notte, quando c’è silenzio in casa (ma non fuori, che le macchine e le ambulanze intrecciano fughe di sirene e motori) mi piace ticchettare sulla tastiera e vedere le parole che si dipanano sullo schermo bianco. Le parole continuano ad apparire ed è come se dovessi scrollarmele dalle dita. Quello che leggo insomma, filtra dentro di me come un liquido in eccesso di cui liberarsi. Poi vedo che sono le due di notte, e allora penso che forse mi fermo qui.