POLANSKI E IL SADISMO SUI BAMBINI

Il nuovo film di Polanski, Oliver Twist, è un corpo estraneo nel cinema odierno. Mi spiego: c’è tutta la spettacolarità che lo spettatore del 2000 chiede ad un film di intrattenimento, ma non ci sono sconti. C’è anche tutto il meglio e il peggio di Dickens, sbattuto in faccia (a me pare) con un certo cinismo adorabile, tipico di Polanski. Immaginate un cinema pieno di bambini irrequieti e di genitori che al 90% non hanno mai letto veramente il romanzo di Dickens. Poi immaginate i bambini ammutolire dopo le prime, inquietanti scene di lavoro minorile, degrado urbano, sporcizia e male assoluto. Oliver è una scheggia di purezza in un mondo irrimediabilmente corrotto. Una visione scandalosa al giorno d’oggi, dove siamo abituati ad altre sfumature, altri tipi di ironia. Qui l’unica ironia è quella perfida della sorte, che prende a schiaffi il lacrimevole marmocchio ogniqualvolta si convince di aver finalmente trovato la pace. Anche l’incredibile finale, con Oliver che invita Fagin ormai folle a pregare per la sua anima, suona strano visto in una multisala. Insomma: lieto fine, i cattivi muoiono tutti (anche Nancy la prostituta, perché si è redenta ma è comunque peccatrice) e il bene, cioè la buona borghesia londinese benpensante ed illuminata, trionfa. Ma non vuol dir nulla, perché Oliver ha la pelle segnata dal male. Al di là della ricostruzione mirabile (a volte anche un po’ fredda), il film scorre via bene, gli attori sono tutti scelti benissimo (con menzione speciale per il piccolo Oliver, sempre credibile con la sua lacrima sulla guancia e l’immenso Fagin di Ben Kingsley, vero mattatore del film) e la mano di Polanski è sempre sicura. Almeno è riuscito ad annichilire completamente i bambini che, in fila per uscire dalla sala, non osavano dire nulla.

ROBOTS, THE INCREDIBLEMACHINE

L’animazione mi appassiona di per sé, quindi salvo rare eccezioni (tipo quando non mi piacciono i disegni o trovo insulsa la storia) guardo tutta la produzione che riesco a seguire. Perciò ho recuperato Robots in DVD. Il film di Wedge e Saldanha (già autori de L’era glaciale che è un cult se non altro per il personaggio dello scoiattolino Scrat) ha superato ogni aspettativa. Se sorvoliamo infatti sulla pessima, immonda e delirante idea di affidare il doppiaggio del protagonista Rodney Copperbottom a DJ Francesco (!!!!!!!!!!!!), il film si sviluppa come una classica commedia americana "adulta" (Frank Capra revisited, grazie alla sceneggiatura degli espertissimi Lowell Ganz e Babaloo Mandell). Le trovate del film sono decisamente gustose: Rodney nasce come un "assemblato", cresce con "pezzi di crescita" passati da zie e cugini più grandi (chi non è incappato nei vestiti smessi dei parenti?), si appassiona alla meccanica e diventa inventore. Decide di andare nella big city, dove gli inventori vengono ricevuti da Bigweld, il capo dell’industria "buona" che realizza pezzi di ricambio e oggetti che "migliorano la vita dei robot", ma trova solo Ratchet, l’uomo nuovo, il manager rampante e viscido che ha deciso di produrre solo costosissimi nuovi componenti e di fermare la produzione dei pezzi di ricambio. Ovviamente Rodney si oppone a questa situazione, e con l’aiuto di amici rugginosi come lui ritrova Bigweld, salva la città, e bla bla bla. Non è la prevedibilità della storia che interessa. Piuttosto l’inserimento nel corso degli eventi di personaggi così schifosamente reali come i neocapitalisti liberisti in collusione con le forze che tramano "underground" (geniale l’uso della musica di Tom Waits nelle scene della fonderia). Il resto è "eye candy" (ormai mi piace usare questa espressione) con scene complicatissime degne di The Incredible Machine (un videogame che giocavo a manetta all’inizio degli anni ’90 – qualcuno lo ricorda?) e un production design incredibile che unisce Metropolis, Brazil, Blade Runner e le linee di design anni ’50 – tutti i robot infatti hanno l’aspetto di frullatori, frigoriferi, lavapiatti, aspirapolveri, juke box e apparecchi vari che sembrano appena usciti da American Graffiti. Secondo me, il miglior cartoon della stagione 2004/2005.

DOUBLE FEATURE PICTURE SHOW (WITH CHOCOLATE)

In un giorno solo mi sono sparato Madagascar e La fabbrica di cioccolato. E che cazzo, era troppo che non andavo al cinema! Potrei liquidare in due parole il film di animazione Dreamworks, godibile, divertente ed apprezzabile tentativo di non realizzare cloni di Shrek. I pinguini dello zoo sono in assoluto i personaggi più azzeccati. Ma siamo comunque lontani dai capolavori dedicati all’orco verdastro. Sull’ultimo Tim Burton il discorso è (ovviamente) molto più ampio. Burton prende il libro di Roald Dahl (a sua volta un cult-book della letteratura per ragazzi) e lo visualizza, come è giusto che sia, filtrandolo attraverso la sua sensibilità dark che comunque sarebbe piaciuta all’autore (non a caso la vedova di Dahl ha coprodotto il film). Troviamo quindi una classica struttura-fiaba rivitalizzata dall’occhio del regista, dello scenografo e del musicista. Soltanto il set della casa di Charlie, cadente e soprattutto obliqua, varrebbe il prezzo del biglietto. Naturalmente la casa si contrappone all’ambiente-fabbrica, dove tutto è caleidoscopico, delirante, burtoniano all’eccesso fin dai titoli di testa. I bambini vincitori dei biglietti d’oro sono sufficientemente odiosi e anche i loro genitori sono perfettamente in parte. L’evoluzione della CG permette di avere Umpa-Lumpa tutti uguali (lo stesso incredibile attore: Deep Roy) e i loro numeri musicali sono degni della grande tradizione MGM, grazie anche alle musiche mai banali di Danny Elfman (mi riservo di ascoltarle in originale, ma è un fatto che ti entrano in testa con i loro fraseggi a volte swing, a volte psichedelici, a volte bizzarramente heavy metal). Guardando La fabbrica di cioccolato si capisce veramente cosa intendono quegli esaltati degli americani quando parlano di "eye candy". Un film come questo è veramente una "caramella per gli occhi", nel vero senso della parola. In più, Burton riesce anche ad infilarci una backstory per il personaggio di Willy Wonka (magistrale Johnny Depp coi dentoni finti) in modo da scritturare anche Christopher Lee, del quale evidentemente non riusciva a fare a meno…! Applausone finale in sala.