EVIL DEAD VA IN CITTÀ

Cosa c’è di più iconico, nel campo del cinema horror, della capanna nel bosco dove avvengono (almeno nei primi due film e nel remake del 2013) tutti i fattacci di Evil Dead? E cosa si poteva fare con Evil Dead Rising che aggiornasse almeno un tantino il franchise? Ma trasportare il tutto in un fatiscente condominio, ovviamente! Trailer (red band).

Eh, niente, la novità è questa. Dopo Ash vs. The Evil Dead, che ha sfruttato all’estremo la mitologia dell’eroe buzzurro fino al midollo di Bruce Campbell, rimaneva poco da dire… Perciò, vai col Necronomicon improvvisamente sepolto nei sotterranei di una vecchia banca trasformata in condominio che a sua volta deve essere demolito (ah, la gentrificazione) e con una serie di nuovi protagonisti, quasi tutti femminili.

Passo indietro: Evil Dead Rise parte con un cold open in una casa sul lago (inizio ingannevole assai), una intro che apparentemente non ha alcun legame con quello che accade dopo, ma poi si scoprirà che è tutto collegato. La promessa è quella di sangue a fiumi, splatter e smembramenti, che poi è quello che il fan di Evil Dead va cercando.

Poi siamo nel succitato condominio, dove Beth (una tecnica del suono che ha appena scoperto di essere molto incinta) va in visita alla sorella Ellie e ai tre nipotini. Parole, parole, parole, poi finalmente dopo una piccola scossa di terremoto, nipote 1 scopre il temutissimo libro sumero accompagnato da vinili d’epoca (!) e si mette a sfogliare/ascoltare il tutto con nipote 2. Inutile dire che il male si risveglia in men che non si dica.

Abbiamo quindi, se ben ricordo, ustioni di terzo grado, occhi “succhiati”, arti spezzati, insetti vomitati, motoseghe nel cranio, demoni spinti nel tritatutto e molte altre belle cose che non fanno rimpiangere la gloriosa stagione degli anni ’80. Da segnalare il sottotesto pulsante sulla maternità, che fa molto Aliens di Cameron.

Il problema secondo me è che proseguire i franchise nati negli anni ’80 (ma anche negli anni ’90, vedi Scream), ha un altissimo rischio cagatona. Evil Dead Rise si fa guardare con molto piacere, ma dopo anni di elevated horror, il ritorno allo splatter per quanto da festeggiare puzza sempre un po’ di stantio.

Edit – Scusate, ma questa è troppo gustosa: a Stephen King il film di Lee Cronin è piaciuto assai, e dice su Twitter “C’è persino un ascensore che vomita sangue“! Mi sembra quantomeno ironico, dato che l’altro film famoso con l’ascensore che vomita sangue l’ha sempre cordialmente detestato…!

URGH! A MUSIC WAR

Lo scorso weekend mi è capitato di vedere un film del 1981 che non avevo mai intercettato: Urgh! A Music War di Derek Burbidge. Nel panorama dei film musicali di fine anni ’70 / inizio anni ’80 è abbastanza un unicum, e vado subito a spiegarvi perché (ma intanto: trailer).

Urgh! A Music War (d’ora in poi UAMW, da pronunciarsi uammev’, alla napoletana) è costituito essenzialmente da 2 ore piene di assalto sonoro a base di Police (prima maniera, quindi pre-stadi olimpici), Magazine, XTC, Pere Ubu, Echo & The Bunnymen, X, Gang of Four, Devo, Cramps, Oingo Boingo, Dead Kennedys, Gary Numan e un pacco di altre band più o meno conosciute.

Quindi, laddove ad esempio Jubilee di Derek Jarman o The Great Rock’n’Roll Swindle di Julien Temple (i più “classici” film punk che vengono in mente) hanno una sorta di trama e una serie di invenzioni visive inframmezzate dalla musica, UAMW no. Laddove Blank Generation di Amos Poe o The Decline of Western Civilization di Penelope Spheeris (per citare i due film punk americani più famosi) mescolano esibizioni live e spezzoni di dietro le quinte cercando di presentare un ritratto più o meno approfondito della scena punk a NY o a LA, UAMW presenta a rotazione il maggior numero di artisti possibili, scivolando comunque in modo plateale verso il post punk e la new wave che è poi il “mio” genere, quello che da pischello ascoltavo con più frequenza.

C’è solo un altro film del periodo che ha una colonna sonora simile, ed è Times Square di Allan Moyle, uno stracult difficilissimo da trovare che è comunque la storia di due adolescenti che fanno una vita molto punk a New York (ma la colonna sonora è tutta new wave). In seguito John Hughes avrebbe riproposto queste sonorità nei suoi film, ma non con lo stesso risultato.

Le vette di UAMW sono l’esibizione dei Devo (Uncontrollable Urge!), quella dei Cramps (in cui un giovanissimo Lux Interior fa cosacce col microfono), quella di Klaus Nomi, quella di Pere Ubu (mai visto dal vivo, e qui si capisce molto da chi ha preso James Murphy), gli Oingo Boingo (ma anche gli UB40 prima maniera) con le loro jam infinite.

C’è anche ovviamente un doppio album della colonna sonora che mi sa abbastanza introvabile (su Spotify c’è una playlist che supplisce). Se volete un’esperienza insolita, c’è anche un utente Flickr che ha caricato i flani cinematografici in mezzo a vari altri flani di film horror del periodo.

In ogni caso, io ho visto tutto il film a spezzoni su YouTube, mentre ho scoperto dopo che è possibile vederne una versione integrale su Vimeo. E, a proposito di chicche introvabili, anche Times Square lo potete vedere tutto on line, su Internet Archive. Enjoy!

BUSSANO A QUEST’ORA DEL MATTINO: CHI SARÀ MAI?

No, non è il Conte Dracula, purtroppo. Invece è Dave Bautista in versione insegnante delle superiori sudaticcio e piagnucoloso. Avrete capito che sto parlando di Knock at the Cabin, l’ultimo film di Sciamalayan, Shalamayan… Shyamalan, maledizione! Trailer per voi.

E allora com’è questo ennesimo “ritorno” di Shama… del regista indiano? Sulla carta, interessante. Prende il genere home invasion, lo ibrida con la sua personale ossessione per l’apocalisse e soprattutto lo ribalta radicalmente presentandoci gli “invasori” come personaggi con cui empatizzare.

Ma andiamo con ordine. Il film ha un attacco strepitoso, con la bambina Wen che gioca nel prato davanti alla sua casa delle vacanze e un gigantesco Dave Bautista che si avvicina a lei suadente e tenta di fare amicizia (ma si capisce che dietro c’è qualcosa di ambiguo). Superata l’impressione che di lì a poco la bambina possa dire qualcosa come “Ora più niente restare, cosa possiamo ancora gettare?” (insieme, i due fanno persino m’ama non m’ama con i petali di un fiore), arriva la terribile rivelazione. Bautista non è solo, di lì a poco arrivano Rupert Grint sempre un po’ Ron Weasley e altre due tipe dall’aspetto di pazze tranquille.

I quattro per farla breve irrompono in casa di Wen e dei suoi due papà, li legano e gli spiegano che non faranno loro del male ma che per fermare l’apocalisse già in atto loro dovranno sacrificare un membro della famiglia, non vale il suicidio, serve proprio un sacrificio umano in grande stile, altrimenti Dio onnipotente scatenerà tsunami, cavallette, pestilenza e fulmini incendiari.

Ora, capirete anche voi che le premesse sono un po’ assurde, ma questo è Scialam… vabbè.

Lati positivi: una regia che riesce comunque a tenere alta la suspence trattando in pratica una stanza chiusa come una location in cui fare sfoggio di cambi di fuoco, inquadrature angolate in modo inedito e interessanti movimenti nello spazio; Dave Bautista che recita in sottrazione; il fatto che ci sia una coppia gay e che non tutto giri morbosamente sulla loro sessualità.

Per il resto, sangue poco (ce ne sarebbe a fiumi, ma viene deciso di non farcelo vedere); scrittura sciatta e da costante machecazzo; addirittura ti buttano lì una potenziale importantissima sottotrama per poi non risolverla assolutamente (l’identità di uno dei quattro autoproclamati cavalieri dell’apocalisse potrebbe essere già nota ai due padri).

Finale assolutamente prevedibile e moscio come in tutti i più recenti film di Shyamalan, a parte forse The Visit e Split che restano i suoi unici thriller che funzionano – almeno secondo me.

E niente, tutte le volte ci casco. Pensare che i titoli di testa sono belli.