ATTRAVERSO IL RAGNOVERSO

(LOL ma perché non lo hanno intitolato così… vabbè). Ma che dire di questo nuovo Spider-Man animato? Due ore e venti di assalto visivo e sonoro che rilancia tutto quello che c’era nel primo film di (non ci posso credere) cinque anni fa e se possibile amplifica ancora di più la figaggine estrema di questa saga nella saga nel cinematic universe della Casa delle Idee.

Il trailer, sono ormai due mesi che lo vediamo e lo rivediamo analizzandone ogni sfumatura. Ma non ti prepara abbastanza ad un film-monstre (il più lungo film d’animazione prodotto in USA finora) che cambia prospettiva, stile e ritmo ad ogni universo messo in scena. L’universo di Gwen Stacy è fluo, pastelloso e fluido, quello di Miles Morales è “Sony Animation Traditional”, quello di Spider-Punk (uno dei personaggi più carismatici di questo nuovo capitolo) è modellato sullo stile delle fanzine punk tardi anni ’70 (difetti di ciclostile compresi), quello di Spider-Man 2099 alias Miguel O’Hara è stilizzato e cyberpunk, quello di Pavitr Prabhakar (Spider-Man India) è… oddio, è uno dei set migliori del film (e Pavitr uno spasso). Per non parlare di quell’Avvoltoio che esce da una dimensione “leonardesca”, o delle pazze pazze Spider-Persone che si trovano al quartier generale dei Ragni (Spider-Cat e Spider-T.Rex su tutti). C’è persino un’incursione nella dimensione Lego, una strizzata d’occhio al Prowler di Donald Glover e… basta, è ovvio che questo film inanella una serie di fan service senza precedenti.

Ma non si tratta solo di quello, sarebbe banale. Lord e Miller (qui produttori e sceneggiatori, ma tra i registi spunta il Kemp Powers di Soul) hanno riservato a Miles Morales un approfondimento non banale, che il film Marvel medio si sogna, in termini di crescita, di lotta verso l’autodeterminazione e di gioco metatestuale con il “canone” che non deve essere pervertito in nessun modo (e Miles da questo punto di vista è la “perversione” personificata).

E non ho ancora detto nulla su “La macchia“, il supercattivo del film che inizia come una presa per il culo (sembra di stare ne “Gli Incredibili”) e poi diventa sempre più potente e minaccioso, capace di aprire portali tra i diversi universi e di causare danni irreparabili ovunque nella sua caccia a Miles.

Across the Spider-Verse è il secondo film di una trilogia, e spiace dire che si interrompe sul più bello strappandoti un “cazzo no” sui titoli di coda. Si permette il lusso di non inserire nessuna scena post credits, devi aspettare il 2024 per vedere come va a finire e vaffanculo. Ma sai già che torneranno Noir, Spider-Ham, Peni Parker, Peter B. Parker con la piccola Mayday e ovviamente anche Spider-Punk e Spider-Byte (avatar stile metaverso di una studentessa con visore VR). Favorisco link per orientarsi nel Ragno-Verso.

Le due ore e venti scivolano via senza che tu le patisca (anche se la Creatura accanto a me ad un certo punto ha sussurrato “non ci capisco niente ma è bellissimo“). In effetti, forse sarò io, ma mi pare che questo Spider-Man parli quasi più agli adulti – vorrei dire ai genitori – che non ai bambini, e che tocchi un range tematico che può essere apprezzato universalmente da tutti.

Comunque, la storia in breve è: Miles è rimasto solo, Gwen anche. Ma Gwen – combattendo con una versione rinascimentale di Avvoltoio – viene reclutata da una società segreta di Spider-Persone che controllano le anomalie nel multiverso. Miles è egli stesso un’anomalia (il ragno che lo ha morso proveniva da un universo differente dal suo) e ha causato un’anomalia ancora più grave alla fine del primo film creando… la Macchia (non potete capire quanto è figo sto supercattivo). Miles vuole aiutare a catturare la Macchia che si sposta tra le dimensioni, ma fa un casino. Riuscirà a metterci una pezza?

Di più non voglio dire. Fatevi un favore e andatelo a vedere perché non è solo un film, è un’esperienza.

SUZUME, CAPOLAVORO O MANIERA

Mentre ero al Salone del Libro in questi giorni ho visto il romanzo da cui è tratto Suzume (l’ultimo anime di Makoto Shinkai) e mi sono ricordato che non vi ho parlato di questo film, che mi ha lasciato un po’ interdetto.

Intendiamoci, è sempre un nuovo film di Makoto Shinkai ormai universalmente riconosciuto come il “dio degli anime” cinematografici, costantemente campione di incassi con i suoi film (e Suzume non si smentisce, top al box office sia in Giappone che in Cina).

Il comparto visivo è sempre il punto di forza dei film di Shinkai e qui, in un film ispirato a disastri naturali come il terremoto del 2011, le luci, le ombre e i paesaggi naturali e urbani sono lo scenario impressionante attraverso il quale si muovono i protagonisti Suzume e Souta.

Il problema se vogliamo sta nel comparto narrativo… C’è un primo atto del film spettacolare: nei primi 10 minuti la liceale Suzume incontra il bel tenebroso Souta, decide di seguirlo in un villaggio in rovina, scopre “i portali” che conducono ad una sorta di aldilà dove un minaccioso vermone in CGI (unica cosa che mi ha lasciato un po’ perplesso) tenta di uscire per depositarsi sul Giappone suscitando terremoti e tsunami e ovviamente scopre anche che Souta è un “chiudi portali” discendente da una stirpe di “chiudi portali”.

Suzume rimuove un sigillo che si rivela un carinissimo gatto malvagio di nome Daijin (personaggio un po’ stile Kyubei di Puella Magi Madoka Magica) che trasforma Souta in una seggiolina di legno a tre gambe. Che detto così sembra una minchiata e invece è il motore di tutte le gag della parte centrale, un road movie attraverso il Giappone all’inseguimento di Daijin,

Poi devo dire che la storia si sfilaccia un po’ e diventa meno appassionante, fino ad un finale che invece mette in prospettiva alcuni elementi fino a quel momento incomprensibili in cui ha una parte importante proprio la seggiolina di legno, regalo che la madre di Suzume le fece quando lei era piccola…

Ma non facciamo spoiler. Per me è difficile capire se Suzume è un altro capolavoro o se ormai Makoto Shinkai si è perduto nei suoi manierismi.
Sinceramente ho amato di più Your Name e Weathering With You.
Suzume è bello. Però è un po’ freddo.

RENFIELD E LO SPIRITO DI BELA

Ci ho messo qualche giorno prima di scrivere qualcosa di Renfield, perché sulla carta è un film che spacca: vampiri, quel pazzo di Nicolas Cage nel ruolo di Dracula (a 34 anni da Stress da vampiro, LOL) e un mood che dal trailer faceva pensare moltissimo a What We Do In The Shadows, film e serie TV assolutamente TOP per chiunque ami il pericoloso incrocio tra commedia e horror.

Sulla carta spacca, dicevo, ma come sempre fare questo tipo di film è un gioco pericoloso. Basta esagerare uno degli ingredienti e si rischia di svaccare. In questo caso purtroppo un po’ di svacco c’è. Ci si diverte, c’è tantissimo splatter veramente esagerato, ma da un certo punto in avanti è tutto buttato in caciara.

Ma partiamo dall’inizio. Nei primi 15-20 minuti Renfield è tutto quello che si può desiderare da un film su Renfield con Nicolas Cage e Nicholas Hoult. Al primo basta rifare sé stesso con denti ferini e protesi facciali, il secondo è credibile nel ruolo di un “famiglio” che si vede in una relazione tossica con il proprio datore di lavoro e che per questo frequenta un gruppo di terapia dedicato (questo è il pitch del film ed era perfetto per un cortometraggio, in effetti).

Nel ripercorrere la loro storia insieme, il racconto di Renfield viene visualizzato tramite un remake inquadratura per inquadratura del Dracula di Tod Browning del 1931 con Bela Lugosi (la cui interpretazione ieratica è evidentemente la base dalla quale Cage parte per poi ricamarci su).

Poi però Renfield decide che vuole essere buono, uscire dalla relazione tossica, aiutare le forze dell’ordine e sgominare una banda di mafiosi locale. E lì il film si indebolisce, a causa anche di scelte di casting un po’ deboli come quella di Awkwafina (simpatica ma inadatta) o Ben Schwartz (molto più efficace nella serie Muppets Mayhem).

La cosa si risolve in un sacco di mazzate tra “famigli” coi superpoteri derivati dal sangue di Dracula che ovviamente nel frattempo si è alleato con i mafiosi. Una deriva splatter/fumettistica che probabilmente è stata fortemente voluta da Robert Kirkman da una cui idea è nato tutto il progetto.

Insomma, se siete “bimbi di Nicolas Cage” come il sottoscritto, il film va assolutamente visto. Altrimenti, mi sento di dire, anche no.