PARLIAMO IN BALENESE

Yep! Sono andato a vedere Alla ricerca di Nemo! Questi bastardi della Pixar sanno bene come fare un film di successo, e devo dire che sono sempre più bravi. Li invidio. Hanno portato un po’ di aria nuova in casa Disney, e se non ci fossero stati loro credo che il trend musical-kitsch non si sarebbe più risollevato. Voglio dire, dove altro puoi trovare gli squali che fanno autoanalisi, citazioni da Stalag 17, Psycho, Gli uccelli e Memento tutto in un colpo solo? Il segreto è presto detto: al di là della indiscutibile bravura nel campo della CG e dell’animazione (penso al banco di meduse, alla corrente australiana, all’inseguimento nel relitto) è la storia che conta. John Lasseter e soci sono storyteller di razza, e non si lasciano prendere mai né dal sentimentalismo fine a sé stesso, né dalla gag fine a sé stessa, né dal citazionismo fine a sé stesso… insomma, prima che continui a dire sempre la stessa cosa, nei loro film tutto si tiene. Tutto ha senso ai fini della storia, che è il vero elemento forte e di richiamo del film. A parte gli onnivori dell’animazione come me, esiste il modo di piacere a bambini e adulti, ed è quello che hanno capito sia alla Pixar che alla Dreamworks, sia (a tratti) alla Disney. Non c’è alcun bisogno di chiamare per l’ennesima volta Phil Collins a cantare canzoni nel film. Il cartoon musical è andato bene per La bella e la Bestia e Il re leone, ma solo perché gli autori erano Ashman e Menken da un lato e Elton John e Tim Rice dall’altro. L’ossessione politically correct della Disney di realizzare ogni film per catturare i consensi di un gruppo etnico è veramente obsoleta (abbiamo visto Cina, Africa, Grecia, Perù, Brasile, Francia, abbiamo avuto i nativi americani e presto avremo gli eschimesi)… mah! Al di là di tutto, Alla ricerca di Nemo è un film eccezionale, che ha il pregio di tenerti sempre sull’orlo della poltrona… e sarà meglio restare in sala fino alla fine dei titoli di coda per gustarsi qualche sorpresina finale…

IO VIVO IN UN MUSICAL. SOLO CHE SONO STONATO.

Sergio non sarà contento… invece di concentrarmi sui nuovi articoli che dovrei scrivere per Internet News di febbraio mi sto facendo prendere da La piccola bottega degli orrori (quello di Frank Oz, per intenderci) – per me uno dei migliori musical tra quelli più recenti. Cioè, io cerco di scrivere e di organizzare i comunicati allo stato grezzo delle web agency italiane, ma di tanto in tanto scatta la canzone: come resistere ad interpretare Skid Row, Feed me o Grow for me, come impedire a sé stessi di saltare su in un duetto come Suddenly Seymour? 😀
A questo proposito, se come me siete di quelli che sanno a memoria tutti i musical più di culto (per me, almeno, Hair, Tommy, Rocky Horror Picture Show, Jesus Christ Superstar, Singin’ in the Rain e perché no anche Moulin Rouge) ecco un link interessante: Musical Lyrics vi costringerà a cantare (purtroppo) sotto la pioggia.

SONO UN FAN DI UN POSTO AL SOLE

Lo confesso, anche se molti non se lo aspettano. Io sono un fan di Un posto al sole. Che attualmente resta l’unico motivo per me di "guardare la televisione" con un attenzione superiore alla soglia "sottofondo radiofonico" che spesso MTV mi offre. UPAS è una delle famose fiction italiane (ma il format è australiano) che può vantare un successo costante da diversi anni. Assieme a La squadra, sempre ideato da Wayne Doyle, mi pare l’unico prodotto televisivo italiano di fiction seriale degno di essere visto. Voglio dire, "ottimo artigianato", come si diceva un tempo parlando dei prodotti popolari più riusciti. Quello che mi manda veramente fuori di UPAS è il lavoro degli sceneggiatori. Sempre sull’orlo del trash senza mai finirci del tutto (tranne forse che nella storia tra Marina e Roberto). Sempre attento all’attualità ma pronto a trasformare il politico in privato, in modo da universalizzare i temi e renderli godibili da tutti, casalinghe e studenti, impiegati e operai, intellettuali e non. UPAS ha i suoi stilemi. Ad esempio, quando si vuole far capire che "non tutto è come sembra", due personaggi si abbracciano, ma uno dei due fa un mezzo sguardo in camera. Allora è la fine. Sappiamo che succederà qualcosa. In tema di sguardi, UPAS detiene la palma dell’occhio più sbarellato della televisione italiana – quello di Mina, il personaggio negativo entrato nel cast da qualche mese, pronta a distruggere la felicità di Franco e Angela. UPAS è un parcheggio di lusso per alcuni attori di razza della zona partenopea. Grazie a loro la fiction si alza un minimo come livello di recitazione rispetto ad altri prodotti del genere. UPAS è un rito serale, come l’aperitivo, come la cena. La funzione catartica di UPAS è farti vedere che c’è sempre chi è più sfigato di te. Giornalmente. Però sai che è una finzione (per quanto aristotelicamente verosimile), e allora ne esci pulito. Il resto della produzione televisiva di Rai e Mediaset lascia sempre una certa patina di sporco addosso.